La buona vittima

La storia di Cloe sta emergendo in tutta la sua atroce e feroce crudeltà, solo che per l’ennesima volta la narrazione è sbagliata. La stiamo descrivendo come la buona vittima: remissiva e passiva, in balia di eventi che sono responsabilità di Stato, patriarcato e transfobia sistematica, girando attorno alle motivazioni senza mai partire dalle ragioni più profonde, da ciò che ha scatenato la sua discesa verso l’agonia.

Smettiamo di costruire narrazioni romantiche che si concentrano sul quadretto dell’insegnante transgender che avrebbe potuto fare la differenza ma che, ahimè, non c’è più. Bisogna partire dal contesto, analizzarlo e capire come fare in modo che episodi del genere non avvengano più.

Se da viva è stata lasciata andare, da morta purtroppo non viene ancora colto il suo gesto estremo di denuncia e che parla di esclusione, dove la matrice scatenante è la transfobia e che ci porta a tre fattori e direttrici che sono menzionate ovunque ma che vengono poi ignorate per poter deviare verso una retorica fatalista che parla del «mondo cattivo». Un modo banale per nascondere la testa sotto la sabbia e non affrontare le responsabilità sociali e civili di cui la comunità Lgbtqia+ deve farsi carico.

Lavoro, casa e salute mentale

È lì in poche frasi lucidamente scritte. Cloe era un’insegnante a cui era stato assegnato un ruolo ben preciso dalla società ed è proprio da qui che inizia la sua discesa nell’abisso, nel momento esatto in cui decide di uscire fuori e mettere sé stessa al primo posto.

I passi che seguono sono fondamentali. Cloe viene sospesa dal lavoro – atto molto grave in sé – e decide di fare ricorso. Utilizza gli strumenti che ha e inizia la sua battaglia. Un passaggio, questo, che non viene analizzato e sufficientemente evidenziato proprio per trasformare la vicenda in una narrazione mesta e vittimistica. 

Da qui il secondo passaggio: è stata messa in un posto di lavoro che non era il suo. Normalmente non abbiamo difficoltà nel riconoscere che estraniare o spostare una persona dal suo posto di lavoro con mansioni che non le competono è vero e proprio mobbing e, nel caso specifico, demansionamento. Perché allora non parlare anche di questo nel caso di Cloe? Perché non parlare di come è rimasta incastrata pur di sopravvivere? Lei alla fine ha scelto di rimanere lì e la sua frustrazione è aumentata, così come la sua rabbia, finché non ha deciso di uccidersi. Cloe ha combattuto con tutta sé stessa conoscendo bene i rischi a cui andava incontro ed è rimasta delusa e schiacciata da un sistema che le ha tolto tutto, fino a farla diventare un nome tra i titoli della cronaca nera, destinata a scivolare via come un pugno di sabbia.

Mettetevi nei panni di Cloe. Vivi in un contesto transfobico, dentro e fuori dal posto in cui lavori, e nel momento in cui ti servono strumenti normativi per far valere la tua identità non li hai; perché? Dovrebbe essere impossibile ignorare l’evidenza di quest’affermazione, eppure leggendo intorno alla vicenda pare che si ignori quello che per noi è un problema scritto tra le righe a caratteri cubitali.

Perché lo si ignora? Una possibile risposta è che ci siamo persi per strada i pezzi concreti di ciò di cui sono fatte le nostre vite. Parte della comunità Lgbtqia+ si è glorificata delle conquiste ottenute in merito alle unioni civili, dimenticando però che nella sigla sono presenti altre lettere oltre alla l, la g e la b. Noi persone trans abbiamo necessità di vivere una vita dignitosa ed essere riconosciutə a livello identitario. Ci servono punti fermi, diritti. 

Partiamo dal lavoro. Degli articoli di legge che dovrebbero tutelare i lavoratori, solo 3 – art.3 della Costituzione, art.15 della legge 300 /70 integrata con il Dlgs 206 /13 e art. 4 – potevano aiutare Cloe a risolvere la sua causa, peccato tra questi non si menzioni mai la discriminazione causata dall’incongruenza tra genere di elezione e sesso assegnato alla nascita. La transfobia rimane il filo conduttore e il sistema che gli è stato costruito attorno è indistruttibile e opprimente se non si hanno gli strumenti necessari per sopravvivere. 

Prima di perdere il lavoro Cloe era riuscita ad andare avanti nonostante tutto, ma quando a una persona vengono tolti il suo reddito e il suo ruolo le conseguenze non tardano ad arrivare e l’impatto di essere stata espulsa dal tessuto sociale e relegata ai margini della società l’ha colpita in pieno. 

Quando parliamo dei bisogni materiali della comunità Lgbtqia+ il lavoro e la possibilità di avere un tetto sopra la testa sono fra questi, tangibili e concreti punti programmatici politici, vitali. Non si campa d’aria e noi abbiamo bisogno di tutele. 

«Sì alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt»

Eppure qualcuno non vuole, qualcuno come Giorgia Meloni che recentemente si è fatta portavoce del pensiero di estrema destra con parole intrise di odio e discriminazione. «Sì alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt, sì all’identità sessuale, no all’ideologia di genere, sì alla cultura della vita, no a quella della morte», ha detto durante un discorso sul palco di Vox, partito di estrema destra spagnolo. 

C’è da chiedersi come ci si possa guardare allo specchio dopo aver pronunciato parole tanto contraddittorie, soprattutto alla luce degli avvenimenti più recenti. Quanta ipocrisia deve permeare una persona che professa un tale credo? E quanta ignoranza? Quanto bisogna essere indifferenti ai bisogni della popolazione se non si è nemmeno in grado di capire la sofferenza che parole del genere sono in grado di causare?

Ci sarebbe molto da dire sull’idea di famiglia naturale, ma ci limiteremo a specificare che quello di «famiglia» è un concetto culturale elaborato artificialmente dall’uomo e che di naturale non ha nulla. Per non parlare poi dell’identità sessuale, concetto che riguarda sia persone eterosessuali che transgender, sia persone eterosessuali che non, e che comprende tutti gli individui – che la Meloni lo voglia o no.

Non esiste un noi e un loro che sia giustificato dalla scienza con argomentazioni fattuali: esistono solo l’ignoranza e il desiderio di discriminare proprio di persone che hanno interesse a lucrare sulla sofferenza altrui. Una sofferenza che, prima o poi, tornerà alla matrice, poiché a forza di escludere e ghettizzare il cerchio dell’odio arriverà alla gola dell’ultimo oppressore in mancanza di Altri da opprimere.

Noi non vogliamo vergognarci

La storia di Cloe è un insegnamento, ed è l’ultimo suo lascito che grida: non lasciateci morire da solə. Quello con cui rimaniamo, però, è la consapevolezza che una donna è morta perché non sono stati fatti valere i suoi diritti come persona, i suoi bisogni, la sua dignità e soprattutto la sua identità.

È una donna che non è stata riconosciuta né da viva né da morta. Il perché abbiamo lasciato che una persona morisse così è davanti ai nostri occhi. Come ha scritto Francesco Cicconetti (@mehths) in un suo post:

Credete che le persone trans si tolgano la vita perché ritengono davvero che essere trans sia una vergogna? Questo non è un pensiero naturale e innato; la vergogna arriva da fuori, ce l’avete instillata voi.

Nessuno pensa di sé in maniera istintiva di non essere valido, è il mondo a decretare i criteri, a decidere per noi cosa è giusto o sbagliato. Voi avete creato gli standard. […]

Essere una persona trans oggi è una disgrazia perché voi l’avete resa tale. Il coming out è ancora una roulette russa, come andrà? cosa mi succederà? […]

Il mondo ci dice che siamo vergognosi, che facciamo schifo; l’unica grande speranza che abbiamo è di incontrare qualcuno, almeno una persona, che ci ricordi che non è così. Che ce lo dica a ripetizione, perché altrimenti noi ci crediamo, a quella roba là.

I più fortunati di noi avranno questo privilegio, e oggi più che mai ringrazio i miei affetti per rendermi ogni giorno una persona forte e felice.

Gli altri rimarranno soli, allontanati dalla famiglia e dal lavoro, privati di tutto e svuotati di ogni cosa; si riempiranno del vostro odio e ci crederanno.

Ci crederanno e scriveranno che è vero, che è giusto morire quando si è brutti, quando si è trans.

Il nostro cammino iniziò con una rivolta perché eravamo stanchə di essere repressə e ammazzatə. Non riportiamo le lancette indietro: la transfobia non è un destino ineluttabile, dateci gli strumenti per combattere il sistema, non rendeteci mansuete vittime sacrificali da piangere e dimenticare il giorno successivo.

Marte Manca è attivista transfemminista Lgbtqia+ e operaio in fabbrica.

Mako Pilati è professore di storia e filosofia e attivista Lgbtqia+.

19/6/2022 https://jacobinitalia.it

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