La Cgil in piazza con le sue contraddizioni. Ma la grande parte del popolo reale, e non quello sfigurato dalla comunicazione dei salotti televisivi, è scesa in piazza con la Cgil a Roma per rispedire al mittente la libertà di licenziamento, la precarizzazione totale del lavoro, una legge di stabilità recessiva che demolisce il welfare. Le tante mobilitazioni di questi giorni rendono evidente la possibilità di consolidare una seria opposizione sociale a questo governo, che fa politiche di destra e ha in Confindustria e in Berlusconi i principali sostenitori. Arrivare rapidamente allo sciopero generale: solo la continuità delle lotte e della mobilitazione popolare possono rovesciare le politiche di austerità.

La Cgil in piazza con le sue contraddizioni

La Cgil porta in piazza la sua forza assieme a tutte le sue contraddizioni. In questi decenni il principale sindacato italiano da un lato è stato l’attore sociale della sinistra, perfettamente collaterale al PD, dall’altro ha ripetutamente tentato un “patto dei produttori” con l’impresa, per agire di concerto con essa rispetto al potere politico. Entrambi questi capisaldi della strategia della Cgil ora franano clamorosamente e il suo gruppo dirigente non sa letteralmente che fare; il che non è un buon messaggio da trasmettere ad una piazza. Certo ci saranno altre mobilitazioni e magari anche uno sciopero generale. Ma senza mai riuscire a chiarire dove si sta andando. Perché la rivoluzione reazionaria di Renzi si combatte non solo rompendo con le sue manifestazioni estreme, ma anche con le ragioni e con il percorso che ad essa ci hanno portato.

Il governo Renzi, ma lo potremmo chiamare il governo Renzi-Marchionne almeno per quel che riguarda il lavoro, rappresenta l’ultimo e più intelligente tentativo delle classi dirigenti italiane ed europee di imporre da noi le politiche liberiste che hanno distrutto la Grecia. Intelligente perché si è capito che la pura brutalità dei diktat della Troika alla lunga non paga. Per questo le politiche liberiste oggi devono essere accompagnate o addirittura precedute da cambiamenti politici e culturali che rendano accettabile o persino condivisibile l’accentuazione delle già così esplosive diseguaglianze sociali. Per fare questo non basta la destra tradizionale, bisogna occupare il campo della “sinistra” e portare la parte più grande di essa a sostenere politiche più a destra della destra tradizionale. Questo è il renzismo, l’ultima versione di quel trasformismo politico che nella storia del nostro paese é sempre partito dalla mutazione genetica della sinistra.

La cancellazione dell’articolo 18 ha il valore simbolico dell’abbattimento dell’ultima bandiera dell’uguaglianza e serve a rendere accettabili provvedimenti ben più ímmediatamente sostanziosi, come il via libera ai licenziamenti di massa dato alla Tyssen Krupp, o il regalo alla Confindustria della riduzione delle tasse sui profitti pagata con i ticket dei malati. “Abbiamo realizzato un sogno”, ha detto Squinzi mentre lavoratori e precari vivono nell’incubo.

Un governo così sfacciatamente filopadronale non poteva che nascere da una operazione culturale e politica che si accampasse e giustificasse nel Pd. Il governo Renzi riassume trenta anni di politiche liberiste contro il lavoro e le conduce alla punto estremo. E proprio per questo rende palese la doppia contraddizione della Cgil. La prima e più evidente è che il rapporto del primo sindacato italiano con il Pd sta diventando sempre più insostenibile, ma allo stesso tempo resta inscindibile. La Cgil, i suoi gruppi dirigenti hanno sinora avuto il Pd come referente istituzionale fondamentale, rompere con esso significherebbe praticare un mare aperto nelle reIazioni politiche che fa paura. Questa contraddizione rischia di essere fotografata dalla presenza al corteo della Cgil di quegli esponenti del Pd critici con Renzi , ma poi disciplinati nel votare la legge sul lavoro.

Ma ancora più pesante di quella politica è la contraddizione sindacale vera e propria. La Cgil oggi si oppone al jobs act, ma in questi trenta anni ha sempre finito per accettare tutti i patti e i provvedimenti che hanno portato ad esso. La legge Fornero sulle pensioni e il primo attacco all’articolo 18 del governo Monti son passati tranquillamente. E se ora la Cgil si oppone alla legge delega, non fa certo altrettanto con quei jobact diffusi che vengono definiti in accordi che riducono diritti e salario. Da ultimi l’accordo del 10 gennaio con la Confindustria sulla rappresentanza e alcuni pessimi contratti.

Lo scatto d’orgoglio della Cgil di fronte agli sfregi di Renzi è un fatto comunque positivo, ma non sufficiente né a fermare l’offensiva di un governo che le contraddizioni del sindacato ben le conosce ed usa, né tantomeno a invertire la tendenza al degrado delle condizioni di chi lavora. Perché tutto questo cambi è necessaria una rottura di fondo della cgil con la linea politica e le pratiche sindacali di questi trenta anni. Ma di questo al momento non si vede alcuna traccia.

Giorgio Cremaschi

25/10/2014

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *