La distopia on-demand

Cinque anni prima che il Covid 19 costringesse la gente a chiudersi a casa durante il lockdown, la giornalista Lauren Smiley aveva già scritto di come una nuova ondata di aziende stesse producendo «un’economia di reclusi». Questi reclusi però non erano bloccati loro malgrado, né si stavano proteggendo da una crisi sanitaria senza precedenti; erano tech workers che passavano così tante ore lavorando da non avere tempo per altro.

Invece di ridurre le ore e trovare un sano equilibrio tra lavoro e vita sociale, hanno iniziato a usare i servizi on-demand praticamente per tutto: si facevano recapitare i pasti in modo da non dover cucinare; pagavano perché altri facessero la spesa per loro e si occupassero di sistemare la credenza e si affidavano ad Amazon e ad altre app invece di uscire di casa personalmente. 

Molti di questi servizi on-demand sono stati ideati da membri di imprese hi-tech per soddisfare i bisogni di persone come loro, approfittando di una forza lavoro sempre più precaria. Ma gli investitori che li finanziavano non si sarebbero mai accontentati di una fetta di mercato così di nicchia: le aziende dovevano per forza spingersi verso il monopolio, e questo significava raggiungere un mercato molto più ampio.

I cinque grandi colossi tecnologici degli Stati uniti – Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft – hanno fatturato un guadagno combinato di 1,2 migliaia di miliardi di dollari nei primi dodici mesi di pandemia, oltre il venticinque per cento in più dell’anno precedente. La pandemia ha portato molte più persone a usare i servizi on-demand e a diventare più dipendenti da Amazon. Probabilmente guardandoci indietro vedremo nella pandemia il punto di svolta che ha accelerato il passaggio a  un’economia on-demand: un’economia che avrà conseguenze sul modo in cui viviamo e lavoriamo, e su come funzionano le nostre comunità.

La nascita dell’economia on-demand

L’economia on-demand è stata resa possibile dalla convergenza delle nuove tecnologie e delle conseguenze della crisi economica del 2007-2008. Nel 2002, Amazon aveva creato Amazon Web Services, una piattaforma di cloud computing che offriva un accesso economico e on-demand alle risorse del server, rendendo molto più facile per le persone e le aziende lanciare nuovi servizi online. Sul finire del decennio, altre compagnie come Google e Microsoft avevano ideato i propri Cloud, rivoluzionando completamente il modo in cui le persone entravano in contatto con internet e i suoi servizi.

Nel 2007, pochi mesi prima del crollo finanziario, la Apple ha lanciato il primo iPhone. Questo telefono era in grado di spostare la connessione internet dalla scrivania al palmo della mano dei suoi utenti. Inizialmente, c’erano molti limiti riguardo a ciò che i programmatori potevano fare con l’iPhone; poi nel 2008 la Apple ha lanciato l’App Store, proprio mentre le nazioni europee stavano uscendo dalla recessione e cercavano nuovi modi per incoraggiare la crescita economica. Questo ha portato a una corsa frenetica alla creazione di aziende che potessero aggiudicarsi una fetta della crescente economia delle app.

Da qui è nata la cosiddetta sharing economy o economia della condivisione, che ha tratto immensi benefici non solo dalle nuove tecnologie ma anche da altri fattori derivanti dalle condizioni immediatamente successive alla recessione. Le neonate aziende potevano accedere al capitale molto più facilmente grazie ai bassissimi tassi d’interesse, il che dava loro il via libera per sacrificare ingenti quantità di denaro in brevissimo tempo vendendo sottocosto i propri servizi pur di ottenere il monopolio. In più, l’economia che stava tornando a crescere non serviva certo tutti allo stesso modo.

Se i fondatori potevano ottenere finanziamenti con relativa facilità e c’era una grande richiesta di tech workers, la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici aveva pagato il prezzo della recessione. Le aziende che si affollavano nell’economia della condivisione hanno ideato un messaggio da mandare a queste persone: avrebbero potuto guadagnarsi da vivere mantenendo il controllo delle proprie ore di lavoro. È stata Uber a definire questo nuovo spazio «flessibile». L’azienda è nata nel 2009 come tramite per assumere un autista privato ma ci ha messo poco a inglobare l’industria dei taxi, permettendo a chiunque di diventare autista ed eludendo le normative del settore. 

Nonostante queste aziende si nascondessero dietro a concetti come condivisione e comunità, la realtà era che si trattava di imprese come tutte le altre anche se con un’unica eccezione significativa: avevano la facoltà di bruciare capitale per anni, a patto di dimostrare di aver raccolto nuovi clienti. Per inseguire l’accumulo di utenza erano disposte a sfruttare chiunque potessero, sia i lavoratori che fornivano il servizio sia le altre ditte su cui si appoggiavano.

La convenienza che maschera lo sfruttamento 

I servizi che tenevano in piedi l’economia on-demand sembravano ottimi dal punto di vista del consumatore: erano relativamente a buon mercato, incredibilmente convenienti e accessibili direttamente dal telefono. Ma con il marketing e il design, le aziende nascondevano la modalità di consegna del servizio e ciò che comportava per il lavoratore e più in generale per la comunità.

L’economia on-demand si è presto sviluppata ben oltre i servizi basati sulle app. Amazon ne è diventata parte integrante, offrendo la consegna rapida ai membri Prime e costruendosi la propria rete di consegne. Ma queste infrastrutture si reggono sullo sfruttamento dei lavoratori: i lavoratori e le lavoratrici dei magazzini di Amazon negli Stati uniti subiscono quasi il doppio degli infortuni sul lavoro della media dell’industria, mentre la loro paga è molto al di sotto di ciò che offre la competizione. Sono stati fatti reclami riguardo all’impossibilità di andare in bagno: i fattorini dell’azienda hanno denunciato di aver dovuto urinare in bottiglia e addirittura defecare in dei sacchetti perché gli obbiettivi di consegna erano troppo alti. E questo è solo uno dei costi della convenienza. 

I servizi di consegna alimentare come Uber Eats e Deliveroo devono affidarsi non solo ai lavoratori sottopagati ma anche ai ristoranti che preparano il cibo da consegnare; con l’aumento dei clienti che scelgono servizi via app, soprattutto durante la pandemia, i ristoranti sono stati costretti a proporre i loro menù su queste app. Ma acquisendo più clienti, i servizi di consegna hanno acquisito anche il potere di estorcere dei costi di consegna più alti, arrivando anche a chiedere il quaranta per cento del totale. Con l’aumento dei costi, molti ristoranti hanno dovuto alzare i prezzi oppure sono stati costretti a chiudere.

Per quanto l’economia on-demand fosse venduta come un servizio per il bene collettivo, non lo è mai stata. I servizi sono stati pensati per rispondere ai bisogni di professionisti carichi di lavoro, quindi hanno sempre servito un gruppo di persone estremamente benestanti approfittando di lavoratori precari con pochissimo controllo sul proprio lavoro, sottopagati e spesso privati dei diritti e benefici garantiti dallo status di lavoratore.

Nel 2015, Smiley ha messo in luce questa cosa. «È il nuovo mondo del tutto on-demand», ha osservato, «o sei un membro della famiglia reale viziata e isolata, o fai parte della servitù del ventunesimo secolo». I ricchi hanno sempre avuto una schiera di personale addetto a fare tutte le cose che loro non hanno voglia di fare, ma i servizi on-demand promettevano a un gruppo un po’ più ampio di persone benestanti di scaricare più facilmente su qualcun altro le proprie faccende, sfruttando la crescente classe di lavoratori in difficoltà. Ma nel frattempo queste aziende hanno anche iniziato a cambiare il mondo che ci circonda.

Rimuovere il contatto dalle interazioni

Nelle prime fasi della pandemia molte persone si sono «recluse», rispettando l’ingiunzione di restare a casa per ridurre al minimo il contagio di Covid-19. Ma non tutti hanno avuto questo privilegio. I lavoratori e le lavoratrici della sanità, dei trasporti e dei supermercati sono stati riconosciuti come essenziali, mentre i lavoratori delle consegne che svolgevano una funzione necessaria non hanno ricevuto lo stesso riconoscimento. Poiché a causa del rallentamento dell’economia in molti hanno perso il lavoro, sempre più persone si sono riversate sulle app in cerca dei soldi necessari per vivere. La dinamica di cui scriveva Smiley nel 2015 si è ulteriormente rafforzata e i servizi on-demand che la alimentavano sono diventati parte integrante delle nostre vite.

Nei primi tre mesi del 2021, le vendite di Amazon sono salite del quarantaquattro per cento rispetto allo stesso periodo nel 2020, la gente preferiva comprare online piuttosto che rischiare di prendere il Covid nei negozi locali. Ma ora che la minaccia del virus è scemata, le persone si sono abituate a fare shopping online e probabilmente continueranno a farlo. Il caos tra produzione e distribuzione che sta alimentando l’inflazione nella nostra economia oggi è profondamente legato a questo processo di ridefinizione del modo in cui i beni e i servizi sono offerti.

E questo è solo l’inizio. Dopo aver collaudato per anni lo shopping senza cassieri nei negozi di Amazon Go e Fresh, l’azienda ha iniziato a mettere in opera il sistema «Just Walk Out» in alcuni alimentari Whole Foods degli Stati uniti. L’obiettivo è rimpiazzare la cassiera umana o la cassa automatica con un sistema di sorveglianza che traccia ogni articolo preso dal cliente per poi addebitare la spesa direttamente sul suo account Amazon quando esce dal negozio.

Tutto questo può sembrare interessante e conveniente ma solo se si sceglie di ignorare la vasta gamma di telecamere che tracceranno tutto quello che il cliente fa nel negozio e la capacità di Amazon di tenere d’occhio i suoi acquisti. Ed è anche escludente. Per poter usare al meglio questa tecnologia è necessario avere uno smartphone con una connessione internet e un account Amazon con un metodo di pagamento associato, in genere una carta di credito. Quando Amazon ha aperto uno dei suoi negozi Fresh a Ealing, West London, a marzo del 2021, l’Independent ha osservato che un anziano signore, dopo che gli erano stati spiegati i numerosi passaggi necessari per accedere, ha replicato: «E allora vaffanculo».

Il desiderio di eliminare l’interazione umana – considerata una forma di contatto inaccettabile dalle aziende tech – è al centro di molte tra queste innovazioni, anche se dietro le quinte ci sono sempre degli esseri umani che riempiono gli scaffali, rispondono agli ordini ricevuti online o consegnano il cibo. Durante la pandemia, molte compagnie hanno anche introdotto la consegna contactless così che i clienti potessero evitare completamente di interagire con il lavoratore umano.

Considerando il modo in cui le app di consegne stanno cambiando l’economia dei ristoranti, c’è una spinta crescente verso la creazione di «cucine al buio» associate: spazi in cui preparare il cibo da consegnare senza offrire l’opzione di sedersi o perfino di ordinare il pasto dal vivo. Sono ideate esclusivamente per rifornire le app di consegne e hanno il potenziale aggiunto di far sì che la gente vada a mangiare fuori meno di quanto ordini. È molto probabile che questo processo porterà molti ristoranti takeout ad abbandonare le sedi aperte al pubblico, modificando ulteriormente le nostre strade e la nostra relazione con i luoghi che producono il nostro cibo. 

A chi è permesso plasmare il futuro?

La gente di destra critica spesso gli investimenti pubblici, giudicandoli dispendiosi e corrotti, ma la verità è che la resa dello stato non ha portato a un mercato «libero» idilliaco – ha solo lasciato che fossero le persone più ricche, potenti e in fin dei conti inattaccabili ad avere in mano le sorti dell’economia. 

L’economia on-demand rappresenta lo sforzo per riscrivere aspetti importanti del nostro stile di vita in modo da allinearlo con le aspettative dei potenti dell’industria hi-tech, senza preoccuparsi se siano sensate dal punto di vista economico o della giustizia sociale. Inoltre, questo tipo di economia ha il vantaggio di concentrare ancora più potere nelle loro mani (Non dovrebbe sorprenderci che una delle persone di spicco a promuovere le «cucine al buio» sia Travis Kalanick, cofondatore ed ex Ceo di Uber).

Negli anni a venire ci troveremo davanti a una scelta importante: continueremo a permettere ai capitalisti più potenti di modellare le nostre vite per il loro profitto o ci riprenderemo il potere di determinare il nostro futuro collettivo? Il sogno economico delle aziende hi-tech non è altro che un incubo per noi: una società sempre più divisa tra serviti e servitori, in cui il contatto dell’interazione umana è rimpiazzato da interfacce digitali. È un futuro antisociale ma abbiamo ancora tempo per fermarlo.

Paris Marx è autore del podcast Tech Won’t Save Us.Questo testo, uscito su JacobinMag, è tratto dal suo libro Road to Nowhere: What Silicon Valley Gets Wrong About the Future of Transportation (Verso, 2022). La traduzione è di Valentina Menicacci.

Paris Marx

12/1/2023 https://jacobinitalia.it

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