La guerra delle multinazionali al latte materno

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Latte materno, una prevenzione primaria

L’anno scorso il Ministero della Salute ha pubblicato un breve opuscolo dal titolo Allattare al Seno -Un investimento per la vita (1) con il fine di sensibilizzare sull’importanza del latte materno naturale per i neonati e dell’allattamento per le donne. In sostanza si afferma che l’allattamento è uno “straordinario investimento nella salute del proprio piccolo” e che favorisce “un corretto sviluppo del bambino”, proteggendolo da molte malattie.

“Non c’è alimento migliore del latte della madre” – dovrebbe essere lo slogan di ogni Ministero della Salute. Il latte materno, infatti, apporta tutte le sostanze essenziali che assicurano al neonato un’ottima crescita grazie al fatto che non ha mai la stessa composizione nel tempo e la stessa consistenza durante il corso della poppata, adeguandosi alle sue necessità di crescita, modificando la sua formula. Il colostro, primo latte, giallo, ricco e molto denso, grazie alla sua particolare composizione nelle prime poppate garantisce al bambino importanti fattori protettivi in grado di salvaguardare la sua salute futura e difenderlo dalle infezioni. Dopo i primi tre giorni il latte da colostro cambia composizione e diventa latte di transizione (che è più acquoso e di colore biancastro ed offre al piccolo in modo equilibrato e graduale tutto il nutrimento di cui ha bisogno) fino alla sua composizione definitiva, latte definitivo, che avviene entro qualche settimana.

Per il bambino, il latte materno riduce l’incidenza e la durata delle gastroenteriti, migliora la crescita neurologica, protegge dalle infezioni respiratorie, riduce il rischio di sviluppare allergie, migliora la vista e lo sviluppo psicomotorio, migliora lo sviluppo intestinale e riduce il rischio di occlusioni, contribuisce a una migliore conformazione della bocca, protegge contro le otiti, riduce il rischio di tumori del sistema linfatico e può prevenire il diabete giovanile nei bambini geneticamente predisposti. L’allattamento al seno è, inoltre, associato a una riduzione del rischio di sovrappeso e obesità in età adulta.

Questa simbiosi tra madre e figlio attraverso l’allattamento porta un beneficio olistico anche alla donna in quanto stimola la naturale contrazione dell’utero riducendo il naturale sanguinamento post-partum e consentendo all’utero di tornare alle dimensioni normali più velocemente; aiuta a perdere il peso accumulato durante la gravidanza; riduce il rischio di sviluppare osteoporosi; e previene alcune forme di tumore al seno e all’ovaio.

Inoltre ha degli enormi vantaggi in quanto è gratuito, non ci sono costi di preparazione, è pratico ed è sempre pronto alla giusta temperatura. Insomma una grande garanzia di “salutogenesi”, ovvero tutto ciò che crea salute e che permette alle persone, anche in situazioni di forte avversità (un trauma, una malattia, la disabilità, precarie condizioni socioeco-nomiche, ecc), di compiere scelte consapevoli di salute utilizzando risorse (interne ed esterne), accrescendo le proprie resilienza e capacità pro-attiva.

Dal latte materno al latte artificiale, la scalata dell’industria agro-chimico-alimentare

Eppure anche alimenti naturali come il latte materno, che mantengono una certa autonomia naturale nel sostentamento del bambino, negli anni sono stati vittima di rapina da parte dell’industria alimentare che ha sempre più tentato di espropriare il suo ruolo, portando alla falsa idea di non-sicurezza del latte materno, sponsorizzando contemporaneamente i suoi prodotti.

Negli anni Settanta l’industria alimentare per l’infanzia incrementò i suoi profitti proponendo il latte artificiale, riscuotendo tanto successo tra medici e pediatri, spesso finanziati dall’industria, che lo consigliavano vivamente come sostituto del latte naturale.

Fu l’OMS (2) che proponendo studi validati, evidenziò le superiori opportunità, proprietà e qualità del latte materno rispetto a quello artificiale.

L’Unicef pubblica periodicamente un rapporto sulla condizione dei bambini intitolato Progress of Nations, la cui edizione del 1997 conteneva un articolo molto eloquente sull’argomento dell’allattamento artificiale: Putting babies before business, del reverendo Simon Barrington-Ward in cui si scriveva:

“L’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNICEF consigliano che i neonati siano alimentati esclusivamente con latte materno per i primi sei mesi circa della loro vita. A livello mondiale, si stima che la riduzione dell’allattamento artificiale e un miglioramento delle pratiche di allattamento al seno potrebbero salvare 1,5 milioni di bambini l’anno.”

Il rapporto confermava che in molti paesi il latte artificiale viene promosso scorrettamente come “superiore” al latte materno attraverso ingenti campagne pubblicitarie:

“Non è una coincidenza che le percentuali di allattamento al seno siano alte in paesi come il Burundi e il Ruanda, dove il marketing è scarso. (…) Le persone che vivono nei paesi poveri vengono spesso convinte dalla pubblicità che l’allattamento artificiale sia la cosa moderna da fare. Avendo vissuto in Nigeria e viaggiato in gran parte dell’Africa e dell’Asia, posso riferire che i fabbricanti di latte artificiale usano sistematicamente immagini di medici bianchi circondati da neonati neri o asiatici per promuovere i propri prodotti come la maniera moderna, sana, ‘da primo mondò di crescere un bimbo. E’ un messaggio molto potente e persuasivo, veicolato da immagini di modernizzazione. (…) I campioni gratuiti, specialmente quelli dispensati dagli operatori sanitari, sono una forma di promozione particolarmente insidiosa. Una mamma può passare facilmente dall’allattamento al seno a quello artificiale, ma il contrario è tutt’altra faccenda. Il neonato, dopo essere stato nutrito con campioni gratuiti di latte artificiale anche soltanto per qualche giorno, si abitua alla tettarella e tende a rifiutare il seno. Intanto che il neonato beveva latte artificiale, la produzione materna di latte è calata”.

Il codice di comportamento per la vendita di sostituti del latte materno, denominato International Code of Marketing of Breast-milk Substitutes, redatto dall’UNICEF e dall’OMS e adottato nel 1981 dall’Assemblea Mondiale della Sanità, era stato sottoscritto anche dai produttori di latte artificiale.

Questo Codice prevedeva esplicitamente di proteggere l’allattamento al seno come “un modo senza rivali di fornire il nutrimento ideale per la crescita e lo sviluppo salutare dei bambini”.

Ma purtroppo questo Codice è sempre stato soltanto una raccomandazione che spetta agli Stati membri convertire in legge e far rispettare e, fra gli scopi di questo Codice, c’è quello di garantire che i sostituti del latte materno non vengano commercializzati o distribuiti in maniera da interferire con la protezione, la promozione e l’assistenza all’allattamento al seno.

Il rapporto citato nel testo UNICEF e intitolato Cracking the Code dimostrava che ben 32 società hanno violato sistematicamente il Codice che avevano sottoscritto. Fra queste aziende vi erano Gerber, Mead Johnson, Milupa, Heinz, Nutricia, Wyeth, Chicco, Johnson & Johnson, Abbott, Snow, Hipp e, tra le altre la Nestlè.

Falsa informazione, espropriazione della salute e profitto: come l’industria agrochimico-alimentare induce al latte artificiale nel “Terzo Mondo”

Da numerose interviste e testimonianze si evince che l’uso improprio del latte in polvere nei Paesi poveri sia diventato una piaga sociale. Il problema non è solo di tipo nutrizionale, in quanto il latte in polvere è meno nutritivo e protettore del latte materno, ma nel modo scorretto in cui viene presentato alle madri: attraverso innumerevoli e gravi violazioni del Codice internazionale, le compagnie inducono le madri ad abbandonare l’allattamento al seno in favore del latte artificiale e i produttori pubblicizzano il latte in polvere non come un sostituto del latte materno nei casi estremi in cui esso non possa essere usato (madre deceduta o gravemente malata, abbandono), ma come simbolo di “progresso” e “salute”.

Per anni, le ditte produttrici distribuivano negli ospedali pubblicità con immagini di bambini sani e paffuti, contattavano i medici locali, organizzavano corsi e seminari per il personale sanitario e facevano entrare in uso i loro prodotti negli ospedali: una perfetta attività di lobby che esercitavano su popolazioni che non avevano accesso a serie documentazioni, sfruttando quindi i loro rapporti di forza.

In passato, i rappresentanti delle industrie si fingevano addirittura infermieri per convincere le donne incinte a comprare il latte artificiale, sfruttando la carenza di informazioni mediche imparziali nel Sud del mondo, rendendo disponibili solo le proprie.

Una delle più redditizie tecniche di marketing usate è di dare gratis il latte per bambini agli ospedali e ai reparti maternità. Veniva dato abbastanza latte affinchè tutti i bambini nati all’ospedale venissero allattati con il biberon, dando anche alle madri un barattolo campione da portare a casa. Dare il latte con il biberon ai neonati faceva sì che il latte materno venisse progressivamente a mancare e l’allattamento al seno diventasse così impraticabile in modo tale che il bambino diventasse dipendente dal latte artificiale.

Una volta a casa, le madri non ricevevano più il latte gratis, e se lo devono comprare. Visto che le famiglie guadagnano troppo poco per attenersi alle dosi prescritte, spesso il latte era annacquato diverse volte più del prescritto, con una conseguenza negativa in termini di salute: i bambini diventano spesso rachitici e sottopeso fino a morire.

La ragione principale per cui ancora oggi l’allattamento al biberon uccide è la mancanza di igiene: requisito fondamentale per la salutogenesi. L’acqua con cui il latte artificiale viene preparato è spesso malsana ed è impossibile sterilizzare biberon e tettarelle senza un fornello e senza disinfettanti. Mamme con pochi soldi, poche comodità e poche conoscenze igieniche somministrano ai loro bambini latte allungato in biberon a malapena sciacquati, con tettarelle esposte all’aria, su cui si posano di continuo gli insetti. Le conseguenze sono infezioni intestinali che provocano diarree mortali.

Nestlè tra guerra al latte materno e la violazione dei diritti umani

Ce ne sarebbero molti di casi di sopraffazione dell’industria agro-chimico-alimentare, ma quello di Nestlé è stato lo scandalo che più ha avuto risonanza. La multinazionale produce latte in polvere per neonati, e per aumentarne le vendite nei Paesi poveri usava metodi scorretti per indurre le neomamme a non allattare al seno e adottare invece il suo latte in polvere. Fra questi metodi scorretti vi erano cartelloni pubblicitari in cui l’allattamento artificiale era presentato sistematicamente come moderno e civile, mentre quello al seno come qualcosa da Terzo Mondo. La Nestlè, facendo pressioni psicologiche attraverso persone che si spacciavano per medici o infermieri e accostavano le mamme elogiando le virtù del “progredito” latte artificiale, distribuiva confezioni omaggio che duravano quanto basta per far andar via il latte naturale delle neomamme. A quel punto non avevano più scelta e si trovavano a rinunciare al proprio latte per rimanere dipendenti da quello artificiale.
Il problema è che il latte in polvere costa più di quanto possano permettersi gran parte delle mamme di questi Paesi, che pertanto tendono a diluirlo oltre la dose corretta. Di conseguenza, il neonato non viene nutrito a sufficienza, senza contare che il latte artificiale non è nutriente e ricco di anticorpi quanto quello naturale. Inoltre, siccome il latte artificiale va diluito con acqua, e l’acqua sterile è difficile da trovare, le mamme hanno finito per preparare il latte artificiale usando acqua sporca o infetta, con gravissimo rischio per la salute del neonato.

In altre parole, incoraggiando l’allattamento artificiale si rifila ai neonati latte sintetico, oltretutto diluito e preparato con acqua contaminata. Un veleno di cui era proprio responsabile la Nestlé. Inoltre, già dagli anni Settanta, il fine della Nestlè era innescare nei neonati la dipendenza dal altte artificiale, in modo tale che venisse acquistato in grandi quantità. L’unico modo per porre fine a questo business, che celava violenza economica e violazione dei diritti umani, era il boicottaggio da parte dei consumatori occidentali.

Così nacque Boycott Nestlè, una campagna nata negli anni Settanta e Ottanta e poi ripresa a metà del 1994 per contrastare la promozione di latte in polvere della Nestlé e di altre società. Tutto nacque quando, nel 1974, l’organizzazione umanitaria inglese War on want pubblicò il rapporto “The Baby killer” (3), in cui si richiamava l’attenzione dell’opinione pubblica sugli effetti dell’alimentazione artificiale in condizioni di povertà e scarsa igiene. L’opuscolo fece il giro del mondo e venne tradotto in tantissime lingue. Nestlè non è l’unica ad applicare politiche di marketing aggressivo e, nei Paesi del Terzo Mondo, neocoloniale. Ci sono Danone, FrieslandCampina, Kraft Heinz, Abbot e Reckitt Benckiser commercializzano i loro prodotti in Camerun, Burkina Faso, Bungladeh, Indonesia, Thailandia, Etiopia e India, fregandosene totalmente delle disposizioni dell’OMS. Nonostante tutto, la campagna puntò soprattutto sull’azienda più grande, maggiormente responsabile e più tecnicamente attrezzata, ovvero la Nestlè.

Nestlé intraprese un’azione legale quando il rapporto “The Baby Killer” è stato tradotto in tedesco da attivisti svizzeri e gli è stato dato il titolo in tedesco: “Nestlé uccide i bambini”. Il processo per diffamazione intentato dalla Nestlè portò, contro le sue aspettative, ad una enorme pressione sulla multinazionale, portando le autorità ad adottare il Codice internazionale per la commercializzazione dei sostituti del latte materno nel 1981, dopo che le persone sono diventate consapevoli della morte e della sofferenza inutili causate dal marketing aggressivo.

Dopo qualche anno la pressione su Nestlè si allenta perché sembrava che multinazionale elvetica avesse interrotto le sue pratiche di marketing tossico, ma in realtà i progetti di monitoraggio rivelarono che le continue violazioni sistematiche del Codice da parte di Nestlè si facevano più aggressive e minacciose. Così la campagna di boicottaggio della Nestlè riprese ed è attiva ancora oggi in circa venti Paesi del mondo. La campagna costrinse la multinazionale svizzera a porre dei limiti, facendo continuamente pressione sulla sua immagine esemplificata di credibilità e attendibilità nei confronti dell’opinione pubblica. Un lavoro molto difficile in quanto Nestlè puntava molto sulla sua immagine “filantropica” dimostrandosi attenta ai problemi sociali e ligia ai doveri del Codice Internazionale. Quando è stata approvata la Risoluzione 54.2 sulla durata durata ottimale dell’allattamento esclusivo, Nestlè si è impegnata a rispettarla in 150 Paesi in via di Sviluppo, affermando che avrebbe etichettato i suoi prodotti “dal sesto mese compiuto”. Oltre al fatto che i Codici e le Risoluzioni si rispettano sempre e si applicano ovunque, i vari monitoraggi hanno dimostrato che anche in molti di quei 150 Paesi, Nestlè continuava a produrre e vendere cibi per alimentazione completamenti etichettati dal quarto mese.

In Italia aveva preso piede la Rete Italiana Boicottaggio Nestlé (RIBN) in difesa del latto materno, il cibo naturale e la sana alimentazione dei neonati contro l’imperialismo alimentare di questi grandi colossi multinazionali. Alcuni gruppi di studenti in alcune scuole italiane iniziarono ad organizzare dibattiti con gli insegnanti con il fine di sostituire nelle macchinette i prodotti della multinazionale con quelli del mercato equo e solidale.

Nel novembre 2002, un carico di 8.094 sacchi di 25 chili di latte in polvere proveniente dall’Uruguay è intercettato dalle autorità colombiane. Il prodotto è scaduto e riconfenzionato con etichette false, come se fosse stato prodotto dalle fabbriche colombiane della Nestlè con data di produzione alterata. Il trasportatore, fermato con il carico illegale, ammette di lavorare per la Nestlè che fornisce etichette false. Poco dopo il rappresentante della Nestlè in Colombia ammette che il prodotto è importato dalla multinazionale, la quale per difendersi dirà che il riconfezionamento è stato ordinato “per ragioni di salute pubblica”. Peccato che il latte in polvere era stato sdoganato al porto di Buenaventura sei mesi prima della confisca. Nel dicembre 2002, la polizia confisca, in un’altra regione, 4.523 sacchi di latte dal peso totale di 120 tonnellate che secondo le autorità era diretto al Venezuela per essere trasformato in latte in polvere e alimenti per l’infanzia. La domanda sorge spontanea: la Nestleè usa latte scaduto per produrre latte in polvere per l’infanzia? Se era destinato al Venezuela perché dall’Uruguay è finito al porto sul Pacifico di Buenventura invece che in un porto venezuelano sull’Atlantico? Ancora oggi è un mistero.

Nel maggio 2003 in Inghilterra avviene una dimostrazione contro la politica di marketing tossico e manipolativo di Nestlè, in cui i manifestati scandiscono a ritmo di tamburi e fischietti le morti di bambini (uno ogni 30 secondi) causate dallo scorretto utilizzo del latte in polvere, aggiungendo una bambola fino a formare un mucchio che continuava a crescere per la durata della manifestazione. La scena viene ripresa dalla Televisione Svizzera e, poco dopo, la Nestlè scrive all’Associazione Baby Milk Action (BMA), promettendo che la multinazionale si conformerà alla Risoluzione dell’Assemblea Mondiale della Sanità del 2001impegnandosi a modificare le etichette dei suoi prodotti per l’infanzia presentandoli dai 6 mesi anziché dai 4 mesi. Un mese dopo la BMA monitorando la situazione ad Hong Kong, Bulgaria e India, verifica che la Nestlè non mantiene le promesse.

Il monitoraggio condotto qualche anno fa dall’International Baby Food Action Network (IBFAN) mostra che Nestlé continua a violare sistematicamente i requisiti di marketing internazionale. L’OMS, l’UNICEF e l’IBFAN hanno lanciato un rapporto per valutare lo stato di attuazione del Codice e le successive e pertinenti Risoluzioni dell’Assemblea Mondiale della Sanità nel 2016. Sebbene oltre 70 Paesi abbiano ora introdotto leggi, è ancora necessaria un’azione. Nestlé continua a mettere i propri profitti prima della vita e del benessere dei bambini nel modo in cui commercializza i suoi prodotti.

Tecnorapina del latte materno: dal latte artificiale al latte umano in laboratorio, la nuova colonizzazione della Quarta Rivoluzione Industriale

Insomma, non vi è dubbio che il latte artificiale sia peggiore di quello naturale e che venga effettivamente propagandato scorrettamente nei paesi del Terzo Mondo (e probabilmente anche in molti di quelli del primo) asserendo che è migliore del latte materno. Negli ultimi tempi l’offensiva delle aziende si è fatta via via più aggressiva con nuove formule persuasive. I produttori di latte formulato stanno investendo nei “social” e tra gli “influencer” per ottimizzare l’accesso alle famiglie, alle future madri o cercando di condizionare l’allattamento materno in corso.

Insieme al lancio del cibo artificiale e alle nuove tecnologie messe in atto per le coltivazioni e gli allevamenti intensivi, stiamo assistendo a un ritorno di fiamma – determinato da un nuovo marketing – del latte formulato.

L’idea è venuta per la prima volta a Leila Strickland nel 2013, dopo aver sentito parlare del primo hamburger al mondo coltivato in laboratorio. Strickland si chiedeva se una tecnologia simile potesse essere utilizzata per coltivare «cellule che producono latte umano».
Secondo Strickland il prodotto di BIOMILQ, in confronto, corrisponde meglio al profilo nutrizionale del latte materno rispetto all’artificiale, con proporzioni più simili di proteine, carboidrati e grassi. Il team di BIOMILQ crea quindi il suo prodotto da cellule prelevate dal tessuto mammario umano e dal latte, donate dalle donne della comunità locale, che ricevono in cambio una sorta di giftcard.

BIOMILQ fa crescere le cellule in flaconi, quindi le incuba in un bioreattore che imita l’ambiente in un seno. Qui, le cellule assorbono più nutrienti e secernono componenti del latte. Il progetto è finanziato con un miliardo di dollari dal fondo Breathrough Energy Ventures, caso vuole co-fondato dai filantrocapitalisti Bill Gates, Mark Zuckeberg, Jeff Bezos e Richard Brenson.

Però numerose start up competono. TurtleTree Labs a Singapore spera alla fine di “sostituire tutto il latte attualmente sul mercato”, Mentre, Helaina, con sede a New York, emulerà il latte materno attraverso tecniche di fermentazione.

Inoltre hanno in programma di lavorare con donne incinte, prelevando campioni delle loro cellule mammarie e coltivandole per creare latte personalizzato da usare quando arrivano i loro bambini. Successivamente, sperano di creare un’opzione generica più economica utilizzando cellule donatrici. A tal proposito bisogna porsi delle domande di natura etica e politica: vi è oggi un vero limite che segna la distopia da ciò che è il progresso scientifico? Cosa è che spinge queste ricerche: il progresso scientifico per un benessere superiore o un grossissimo interesse economico? Si può separare oggi il progresso scientifico da quello economico? Quale dei due viene influenzato maggiormente? Sicuramente in una società in cui il capitalismo avanzato fa da padrone, è difficile capire dove la scienza non dipenda dall’accumulo capitalistico. Spacciare il latte materno naturale per insicuro, apre a soluzioni tecniche e costose che permettono a queste start-up e ai colossi dell’agrochimica di preparare un grande business. Il progresso scientifico in questo caso diventa un mezzo di esproprio al servizio delle politiche neoliberiste e della deregulation di questi colossi: sostituire strumenti naturali utili, sicuri e non costosi (latte materno) con sostanze artificiali, inutili e molto costose (latte formulato). Questo è il nuovo paradigma di tecno-rapina che ci sta riservando la Quarta Rivoluzione Industriale.

Questo funge anche da nuova colonizzazione dell’immaginario: far credere alle donne che il loro latte non sia sicuro e che non è bello avere il seno sciupato. Così facendo, si distoglie la gente dalla logica naturale della montata lattea secondo la quale “tutte e mamme hanno la possibilità di avere il latte”, si patologizza il latte materno e si punta affinchè le madri e le famiglie ricorrano a soluzionismi tecnici come i cibi sintetici. Attraverso una ricolonizzazione dell’immaginario sul ruolo dell’allattamento, i colossi dell’agrochimica espropriano alla società un bene comune gratuito come il latte materno, compiendo una vera e propria tecno-rapina sul corpo femminile e sulla salute dell’infanzia. Laddove c’è riproduzione senza profitto, le compagnie agrochimiche fanno diventare la riproduzione un fenomeno monetizzabile: laddove c’è un potere che non prevede lucro, le multinazionali sono pronte ad impossessarsene a fini di lucro. Forse il connubio tra tecnica, scienza e capitale è la vera chimera del nuovo capitalismo.

Secondo gli ultimi dati, nel mondo, solo il 40% dei bambini da 0 a 6 mesi è allattato al seno e in appena 23 stati è superiore al 60%. Si tratta di dati gravissimi, segno che l’industria alimentare ha colpito con i suoi strumenti di persuasione e del brainswashing fatto di medicalizzazione e pervasiva “sanitarizzazione” che entrano violentemente e in modo invasivo nella vita delle persone. Dati che spiegano molto dell’attuale situazione di malattie croniche nei bambini del Primo Mondo (obesità e problemi al sistema linfatico) e del terzo Mondo (denutrizione e sbilanciamento dei valori nutrizionali). “Ogni giorno 4.000 bambini nel sud del mondo potrebbero essere salvati dalla morte per malattie e denutrizione, se fossero allattati al seno e non con latte in polvere” – a sostenerlo, fin dal 2004 sono l’Unicef e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Secondo dei recenti studi, una maggiore diffusione dell’allattamento materno potrebbe evitare ogni anno addirittura circa 800.000 morti di bambini sotto i 5 anni e 20.000 morti per tumore al seno tra le madri.

La situazione oggi tra sicurezza, normativa internazionale e costi

La promozione del marketing del latte artificiale, viola il Codice internazionale per la commercializzazione dei sostituti del latte materno, adottato dall’Assemblea mondiale della sanità del 1981.

Il Codice è un importante accordo sulla salute pubblica progettato per proteggere il pubblico in generale e le madri dalle pratiche di marketing aggressive dell’industria degli alimenti per l’infanzia che hanno un impatto negativo sulle pratiche di allattamento al seno.

“La promozione delle formule commerciali di latte avrebbe dovuto essere interrotta decenni fa”, ha affermato il dott. Francesco Branca, direttore del dipartimento dell’OMS per la nutrizione e la sicurezza alimentare. L’industria delle formule per i bambini deve rispondere a dei test di sicurezza che sono orientati per lo più verso la determinazione di agenti batterici che possono sopravvivere nei preparati. Dopo le recenti infezioni da Cronobacter negli USA nel latte artificiale della Abbott, sono stati pubblicati documenti che indicano che le industrie produttrici hanno ottenuto regole meno rigorose per garantire la sicurezza di questo prodotti.
Al di là di questo il problema che sorge non è inerente alla sicurezza quanto alla qualità del latte formulato che è scadente rispetto a quella del latte materno. Il latte vaccino è adatto al vitello che ha indici di crescita maggiori, contiene molte più proteine e grassi saturi producendo una tendenza all’obesità.

Una maggiore diffusione dell’allattamento materno potrebbe evitare ogni anno circa 800.000 morti di bambini sotto i 5 anni e 20.000 morti per tumore al seno tra le madri. Come già detto, è noto che il latte materno contiene anticorpi e altri fattori protettivi che aiutano il bambino a combattere le infezioni. Migliora la crescita neurologica, limita le allergie e può prevenire il diabete giovanile nei bambini geneticamente predisposti. L’allattamento al seno è, inoltre, associato a una riduzione del rischio di sovrappeso e obesità in età adulta. Le madri che allattano al seno hanno un minor rischio di sviluppare tumore mammario e uterino prima della menopausa e di soffrire di osteoporosi in età avanzata.

Nel 2021, l’OMS ha pubblicato un rapporto riguardante l’alimentazione infantile in 17 paesi, raggiungendo 2,47 miliardi di persone. Il rapporto si basa su una ricerca che ha analizzato circa 4 milioni di “post” sui social media, tra gennaio e giugno 2021, e constata che il marketing digitale detiene un vasto repertorio di dati, utilizzati per direzionare in modo più efficace il messaggio, utilizzando piattaforme on e off-line e tendendo a personalizzare la promozione.

Nel documento OMS si legge che questa offensiva viene fatta attraverso tecniche di marketing pervasive, potenti e insidiose che raggiungono i soggetti target nei momenti più vulnerabili e utilizzano il senso di insicurezza per convincere le donne ad approcciare i sostituti del latte materno dissuadendole dall’allattamento al seno.

Purtroppo non sono solo le ditte produttrici a promuovere questi prodotti, ma parte del mondo sanitario non è per niente contrario ai succedanei formulati. Questo la dice lunga sulle radici culturali degli attuali processi di medicalizzazione della società, spesso incitati da una lettura banale della realtà dei fenomeni economici e commerciali e da una ipertrofica autoreferenzialità delle categorie professionali in ambito sanitario.
Solo il comparto del latte in formula fattura circa 55 miliardi di dollari all’anno. Si capisce perché, nonostante le Risoluzioni dell’Assemblea Mondiale della Salute, le ditte produttrici di latti formulati continuino a mettere le vendite e gli interessi dei loro azionisti al di sopra della salute dei bambini e della popolazione.

La maggiore mortalità registrata nei bambini alimentati con latte artificiale rispetto a quelli allattati, e nelle madri che non allattano, rispetto a quelle che allattano, si traduce in un aumento della spesa sanitaria. Negli USA, in UK e in Australia la spesa è evidente in termini di maggior ricorso a diagnostica, ricoveri e utilizzo di farmaci, documentata in valutazioni economiche inequivocabili.
Inoltre – come ha scritto Sergio Segantini di Assis – “i costi stessi del latte in polvere sono nel nostro Paese incredibilmente elevati: nonostante le numerose segnalazioni rimangono molto superiori rispetto ad altre nazioni.

In particolare, sono stati citati i prezzi praticati in Italia da una grande catena di distribuzione, Auchan, pari a: 32,00€/Kg per Humana, 23,00€/Kg per Nidina, 30,37€/kg per Plasmon e 30,00€/kg per Aptamil. In Austria sono stati rilevati i seguenti prezzi: 7,98€/900gr. per Humana; 10,49€/900gr. per Aptamil; 8,49€/900gr. per Milumil. Ancora oggi, a distanza di oltre 5 anni dalla multa dell’Antitrust, le case produttrici continuano a praticare prezzi differenti nell’Unione Europea, e sempre a scapito degli utenti italiani”.

Le ragioni che impediscono l’allattamento al seno materno

Di seguito riportiamo un’ottima riflessione scritta, l’1 maggio 2021 per l’Associazione di Studi e Informazione sulla Salute (Assis), da Luciano Proietti, medico pediatra che da sempre si occupa di nutrizione, vegetarianesimo, dieta macrobiotica e igiene nell’età pediatrica, oltre ad essere stato il primo a fare ricerche sull’alimentazione vegetariana nei bambini al Centro di Auxologia della Clinica Pediatrica dell’Università di Torino. In questo articolo esplicita le ragioni che impediscono l’allattamento al seno materno.

Le ragioni che impediscono l’allattamento al seno materno sono i primis:

NOI PEDIATRI che sappiamo poco e, spesso, male, dell’allattamento (quanti sono i pediatri italiani che hanno partecipato ai corsi, di tre o sei giorni, dell’OMS o dell’Unicef) e della nutrizione in età pediatrica.

Un illustre cattedratico degli anni ’70 sosteneva che il pediatra non deve occuparsi di pappe, ma di bambini malati, non avendo capito che i bambini si ammalano perché non si alimentano in modo fisiologico.

Successivamente per motivi:

1 – CULTURALI.

I messaggi che la “società” (cioè tutti noi) occidentale, benestante, ci comunica e che i medici di famiglia, i ginecologi, gli allergologi, gli endocrinologi, i gastroenterologi, gli pneumologi, gli psicologi, i neuropsichiatri infantili, (vale a dire tutte le categorie mediche) e, come detto sopra, noi pediatri, comunicano, sono che:
. “il latte materno diventa acqua” più o meno precocemente

. “il latte materno è carente di Ferro, di calcio e di vitamine (D e K)”

. “il bambino DEVE staccarsi dalla madre nutrice il più presto possibile (sicuramente prima dell’anno), per poter diventare autonomo”

. “il bambino ha bisogno di mangiare di tutto, il più presto possibile” (e l’effetto di questa scelta iniziata negli anni ’50, lo stiamo vedendo con l’epidemia di allergie, celiachia, diabete, obesità).

Fino a pochi anni fa eravamo quasi tutti convinti che il latte materno non fosse il cibo ideale per il bambino: abbiamo impiegato più di trent’anni per dimostrare “scientificamente” che il latte materno è l’unico latte adatto fisiologicamente al lattante. Ma SOLO, o quasi, NEI PRIMI DODICI MESI, perché dopo possiamo cominciare a dare il latte di vacca e sicuramente dopo il terzo anno non c’è più nessuno che consiglia il latte materno, ma tutti il latte di VACCA.

Il latte di vacca è adatto ad un solo tipo di lattante, il VITELLO, recitava una pubblicità (Humana) qualche anno fa, per convincere le mamme e i pediatri, giustamente, a non dare latte della Centrale.

MA SOLO NEL PRIMO ANNO. DOPO VA BENE!!!

NO: il latte di vacca va bene solo ai vitelli e solo finché non sono svezzati: dopo non va bene neanche più a loro, figuriamoci a noi esseri umani (homo INsapiens).

Finché l’”occidente” baserà la sua cultura e la sua economia sull’allevamento del bestiame, bovino in particolare, non solo non sarà possibile promuovere l’allattamento al seno, ma peggiorerà lo stato di salute della popolazione e, soprattutto, si arriverà all’estinzione del genere umano (per esaurimento delle risorse energetiche e dell’acqua, per l’inquinamento, per l’eliminazione delle foreste per produrre foraggio per il bestiame con conseguente cambiamento del clima).

2 – SOCIALI:

La madre deve riprendere il lavoro e il bambino deve andare al Nido: “TUTTI fanno così” (effetto “gregge”) e se io non faccio così, mi sento un “diverso” e come tale sono trattato.

Il Nido (struttura educativa per i bambini dai 6 mesi ai tre anni) è considerato ormai, dalla maggior parte dei pediatri e dagli psicologi, una tappa fondamentale per la crescita psico-emotiva e sociale del bambino, mentre ritengo che sia una tappa funzionale al sistema organizzativo politico e sociale attuale, per liberare i genitori da un impegno (l’educazione dei figli) difficile, impegnativo e complesso, impedendo loro di essere produttivi e competitivi.

Questa modalità organizzativa (il Nido), accettata da tutta la cultura politica, dalla “Destra”, al “Centro”, alla “Sinistra”, con la giustificazione della socializzazione, è una condizione non adeguata per motivi psico-emotivi, all’età del bambino. Nei primi tre-quattro anni di vita, il bambino ha necessità psico-fisiche-emotive peculiari:

. una MAMMA, intesa come riferimento affettivo, di contatto fisico, coccole, individuale ed esclusiva (per cui può essere anche una nonna o una zia o una baby sitter)

. un TERRITORIO (la casa in cui vive, la sua stanza, ecc.) che il bambino delimita come suo e solo suo, che gli da sicurezza e stabilità emotiva.
Andando al Nido perde sia la “mamma” che il “territorio”, mettendo le premesse per una vita futura di insicurezza, instabilità affettiva, irresponsabilità, incapacità a prendere decisioni, aggressività, molto frequenti negli adolescenti e nei giovani adulti di oggi.

3 – ECONOMICHE:

Il latte materno non costa niente e quindi non fa guadagnare nessuno, quindi deve essere sospeso presto per costringere le famiglie a comprare il latte in polvere, le pappe, gli omogeneizzati di frutta, di verdura, di carne, di pesce, di prosciutto, ecc, i biscottini, le merendine.

La donna mamma deve andare a lavorare per poter mantenere la famiglia: negli anni ’50 e ’60 era sufficiente uno stipendio (del capofamiglia) da operaio o da impiegato perché una famiglia con figli potesse vivere dignitosamente; ora ne servono due e si fatica.

4 – PSICOLOGICHE:

La madre, il padre e i parenti tutti hanno bisogno di svezzare presto il bambino per potergli dare “il biscottino, il prosciuttino, lo yogurthino, la pappina, il gelatino (!), la carotina, ecc.” per compensare i profondi sensi di colpa, che la “società” e noi pediatri creiamo loro, con lo spauracchio della “carenza di ferro, calcio, proteine, grassi, vitamine A, B, C, D, E, F, G, H, I, L, M, N, O, Ecc.” Cioè della DENUTRIZIONE.

“SIGNORA suo figlio non è cresciuto tanto in questo mese, ha preso solo 300 grammi”

“Signora, sua figlia è al di sotto del 10° centile” E così via.

Quando dovremmo essere consapevoli che il problema oggi per noi è OPPOSTO: mangiamo troppo a partire dal primo anno di vita.

E poi c’è la gratificazione del gusto: cosa diciamo ai nostri figli quando vogliamo ottenere qualcosa: “Se stai bravo (oppure, se obbedisci, ecc.) ti dò il bombo, la caramella, il biscotto, il gelato” e non “se stai bravo ti do una carota o un sedano o un pezzo di pane”.

In base a quanto detto sopra.

LE  PROPOSTE PER FAVORIRE L’ALLATTAMENTO AL SENO sono:

. OBBLIGO per tutti gli operatori dell’infanzia (pediatri, puericultrici, infermiere pediatriche, psicologi infantili, neuropsichiatri infantili, neonatologi, dirigenti degli ospedali pediatrici, ecc.) a frequentare i corsi dell’OMS o dell’UNICEF sull’allattamento al seno e a dedicare una giornata all’anno all’aggiornamento su questo argomento.

. Rendere obbligatorio per tutte le facoltà mediche un esame di Scienza dell’alimentazione per eliminare quella che chiamo la cultura da “rotocalco” che sulla nutrizione hanno la maggior parte dei medici.

. Diffondere a tutti i reparti pediatrici italiani l’iniziativa dell’Unicef “Ospedale amico dei bambini” coinvolgendo i direttori e gli amministratori.

. Farsi promotori di iniziative legislative parlamentari e regionali per l’informazione alla popolazione.

. Vietare la pubblicità su media, giornali e riviste, comprese quelle pediatriche, di ogni alimento che possa interessare l’età 0-3 anni (!!!!!!) (chiude la maggior parte delle riviste).

. Vietare la sponsorizzazione dei congressi pediatrici da parte delle ditte produttrici di Latti (Chiude la maggior parte dei Congressi).

. L’informazione sull’alimentazione lattea Formulata deve avvenire attraverso articoli non sponsorizzati e nei convegni dedicati a questo argomento organizzati dalle Società Scientifiche.

. Dare la possibilità alle donne che allattano di ricevere un vantaggio sia lavorativo, che sociale.

. Nei corsi di preparazione al parto, una parte consistente deve essere dedicata alla formazione della mentalità all’allattamento, e i corsi devono essere tenuti da consulenti della Lega del Latte o altri esperti senza

conflitti di interesse.

Formare delle operatrici specifiche di quartiere o di paese (anche ostetriche) per l’assistenza della donna-mamma che torna a casa dopo il parto.

(1) 1 https://www.salute.gov.it/imgs C_17_opuscoliPoster_303_allegato.pdf

(2) https://www.salute.gov.it/imgs C_17_pubblicazioni_1619_allegato.pdf

(3) The Baby Killer https://waronwant.org/sites/default/files/THE%20BABY%20KILLER%201974.pdf

Riferimenti bibliografici:

Inserto allegato al numero di ottobre 2022 del mensile Lavoro e Salute

a cura di Lorenzo Poli

In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-ottobre-2022/

PDF http://www.lavoroesalute.org/

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