La lezione del caso C.A.R.A. di Mineo.

Roma migranti

Lo scontro in atto sulle politiche di accoglienza

Il sistema di corruzione emerso con il caso di Mafia Capitale dice moltissimo a proposito della gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia e degli interessi ad essa legati. In questi giorni appare evidente che lo scontro politico e la propaganda dei vari leader, sia nel nostro Paese sia in Europa, dipenderà moltissimo dalla questione dell’immigrazione. Tutti stanno giocando a chi si mostra più duro e intransigente verso gli immigrati. Nessuno li vuole. Chi decide di accoglierli è un debole. Questo, in sintesi, l’asse sul quale tutti i politici stanno orientando la propria azione. Lo scopo di tale tattica appare, ai nostri occhi, chiaro nelle sue linee di fondo. Le forze della destra sono cresciute elettoralmente in vari Paesi dell’Unione, primo tra tutti la Francia; i partiti al potere cercano di arginare l’avanzata di queste formazioni assumendone di fatto le parole d’ordine. Il Governo italiano ha finora dato di sé un’immagine più conciliante e solidale ma, dopo i successi elettorali della Lega e la perdita di consensi del Pd nell’ultima tornata elettorale, è molto dubbio che tale atteggiamento venga mantenuto. Oltre a ciò, pare opportuno fare una considerazione più generale sull’attuale fase. L’intero ceto politico europeo è consapevole che la crisi economica e le politiche di restrizione dei bilanci pubblici hanno creato una sacca di disagio molto forte in tutti i Paesi dell’Unione. Chi ha qualcosa, ha paura di perderlo; chi non ha, è sempre più rabbioso. Domina la paura! Per modificare realmente questo quadro, bisognerebbe aprire uno scontro allo scopo di rompere la gabbia in cui i trattati europei (e, in generale, i vincoli che la UE pone) hanno chiuso le politiche economiche dei membri dell’Unione. Nessuno, tranne gli isolati greci, ha la minima intenzione di fare ciò. Come reazione alla propria debolezza, all’impossibilità di cambiare, anche di poco, la sostanza della propria politica economica, il ceto politico reagisce mostrandosi duro e determinato su questioni sulle quali ha la possibilità di farlo. In questo senso gli immigrati fungono da capro espiatorio. Il messaggio comunicato agli elettori è questo: le classi subalterne europee continueranno a fare uno schifo di vita ma almeno non daranno un centesimo in più agli stranieri. Che se ne tornino nei loro Paesi, noi abbiamo i nostri problemi! In una società in cui tutto si paga a caro prezzo, perché regalare qualcosa a qualcuno?

Uno dei principali luoghi comuni che, all’interno del quadro descritto, viene messo in circolazione, riguarda il fatto che ingenti risorse pubbliche verrebbero utilizzate per accogliere gli immigrati richiedenti asilo. Si fa spesso riferimento alla cifra di 30 euro al giorno, ovvero ciò che lo Stato spenderebbe per ogni rifugiato accolto in Italia. Dato che l’economia italiana è già in crisi – si dice – non sarebbe più opportuno che lo Stato spendesse quei soldi diversamente, piuttosto che darli agli stranieri? Non sarebbe più giusto che li spendesse per gli italiani?

Il caso del Cara di Mineo

L’inchiesta di Mafia Capitale ha fatto sì che la stampa si occupasse della questione del C.A.R.A. di Mineo, in provincia di Catania. Questo caso risulta paradigmatico, non soltanto in quanto è un tipico esempio del sistema di corruttela che regola i rapporti tra mondo imprenditoriale e politica nel nostro Paese, ma anche in quanto ci permette di comprendere più precisamente l’utilizzo che viene fatto dei fondi pubblici stanziati per l’accoglienza dei profughi.

Il C.A.R.A. di Mineo è situato a circa 50 km da Catania. Si tratta di un residence di villette a schiera originariamente costruito per accogliere i marines statunitensi di stanza presso la base NATO di Sigonella; proprietaria, la ditta di costruzioni Pizzarotti di Parma. Quando gli americani nel 2010 se ne andarono, la struttura rimase sfitta. Si provò ad affittare le villette in modo individuale ma, a quel che pare, con scarso successo, data la collocazione isolata: la struttura sembrava destinata a restare in disuso. Immaginiamo la disperazione dei Pizzarotti.

Nel 2011, tuttavia, si produce la cosiddetta “emergenza Nordafrica”: si verifica, cioè, un afflusso straordinario di immigrati provenienti dal Maghreb, destabilizzato dalle primavere arabe e dalla guerra in Libia. Il centro viene requisito dal Governo e trasformato, appunto, in un C.A.R.A., cioè in un Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo e, quindi, preso in affitto dallo Stato, a quel che riportano fonti giornalistiche, alla cifra di 6 milioni di euro all’anno. Grande sollievo dei Pizzarotti! Il ministro degli Interni di allora, Roberto Maroni (proprio lui!), affida al Presidente della Provincia di Catania poteri speciali per l’assegnazione dell’appalto per la gestione del centro. Il Presidente della Provincia è Giuseppe Castiglione (al tempo nel Pdl, ora Ncd), l’attuale senatore e sottosegretario all’agricoltura, indagato per turbativa d’asta proprio in relazione all’appalto per la gestione del C.A.R.A. per il triennio 2015-17. Negli anni successivi, il potere di assegnazione dell’appalto viene trasferito ad un consorzio, appositamente formato dai comuni che insistono sulla zona in cui è situato il centro: si tratta del Consorzio “Terra di accoglienza”, nel quale siedono i sindaci di Mineo, Vizzini, Ramacca ed di altri piccoli centri dell’area. L’appalto è stato assegnato a un raggruppamento nel quale si trovano sia cooperative aderenti alla Legacoop sia “La Cascina”, braccio cooperativo di Comunione e Liberazione. Il centro ha una dotazione di 2.000 posti ma in media i richiedenti asilo ospitati nella struttura sono molti di più, a volte il doppio. Il costo per lo Stato è di circa 30 euro al giorno per ospite. La somma ovviamente non viene erogata alla persona, ma è versata alle cooperative che gestiscono il centro. Con essa deve essere garantito vitto, alloggio, pulizia e manutenzione dello stabile, quindi la retribuzione del personale. Va infatti segnalato come la struttura dia lavoro a più di 400 persone e rappresenti un’importante fonte di impiego per una zona affetta da un tasso di disoccupazione piuttosto alto (19,2% nella provincia di Catania nel 2014). Il Prefetto Mario Morcone, Capo Dipartimento per l’Immigrazione, intervistato da Internazionale, ha dichiarato in proposito che «la gran parte dei posti di lavoro in Calabria e in Sicilia in questi ultimi anni è stata creata grazie all’accoglienza dei migranti». Erasmo Palazzotto, deputato di Sel, ha denunciato come l’Ncd abbia preso «una valanga di voti» a Mineo alle scorse politiche, voti che hanno fatto la fortuna di Castiglione e ne hanno permesso l’ingresso nell’esecutivo. Tutto lascia pensare a una gestione clientelare del C.A.R.A. proprio in virtù delle prospettive lavorative che esso può garantire. Soltanto 3,5 euro al giorno vanno direttamente all’immigrato, sottoforma di accredito su una carta prepagata, con cui possono essere fatti acquisti nei supermarket della zona.

Dalle testimonianze di quanti hanno avuto modo di visitare il C.A.R.A. risulta che le condizioni di vita degli ospiti sono molto difficili. In primo luogo, va notato come la legge preveda, per chi viene accolto in un C.A.R.A., un tempo di permanenza massimo di 35 giorni: un periodo che il legislatore ha ritenuto congruo ad esaminare il caso di ogni richiedente asilo, che deve essere vagliato da un’apposita commissione, la quale ha la funzione di decidere se il richiedente abbia diritto all’accoglienza in qualità di rifugiato oppure no. Tali tempi non soltanto non vengono mai rispettati, ma sono superati in modo abnorme: la media di permanenza in un C.A.R.A., in tutta Italia, va dai 6 mesi ad un anno; nel C.A.R.A. di Mineo sono stati segnalati casi di persone rimaste nella struttura per due anni! Un periodo lunghissimo, in cui l’immigrato è sostanzialmente costretto a stare recluso, non avendo la possibilità né di lavorare né di entrare in relazione con il contesto sociale locale, dato che i centri di accoglienza, come nel caso di Mineo, sono situati al di fuori e lontano dai luoghi abitati. La Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema d’accoglienza, in visita a Mineo nel mese di maggio 2015, ha giudicato le condizioni di vita degli ospiti «incompatibili con la dignità umana». La struttura è stata giudicata eccessivamente grande: i servizi, gli operatori, la distribuzione del cibo e del vestiario, l’igiene, tutto insufficiente e male organizzato. Da tempo le associazioni che si occupano di immigrazione hanno segnalato come, per fare in modo che il processo di integrazione possa avere successo, sia opportuno allestire strutture di accoglienza piccole e collocate all’interno dei centri abitati, in cui il rapporto con gli operatori sia stretto e personalizzato e dove si dia la possibilità di entrare in relazione con il tessuto sociale locale. Tale modello, tuttavia, fatica molto ad affermarsi. Come farebbero altrimenti tutti i Pizzarotti d’Italia ad affittare il loro residence? E La Cascina e le altre cooperative che lavorano sui grandi appalti? Infine come potrebbero i vari Castiglione gestire le proprie clientele?

Conclusioni

Il caso appena descritto mette in luce come il luogo comune citato in apertura, secondo il quale i fondi erogati dallo Stato per l’accoglienza dei rifugiati dovrebbero rappresentare un regalo agli stranieri, sia profondamente falso. Al contrario, questo denaro va ad alimentare una rete di interessi economici tutti italiani. Si può disegnare una graduatoria: in cima mettiamo i pescecani, cioè coloro che si accaparrano la fetta più grossa della torta, come i proprietari delle strutture utilizzate e i padroni delle cooperative che gestiscono i centri; si tratta chiaramente di speculatori che si servono di una rete di consolidati rapporti clientelari e correttivi con il mondo politico. In secondo piano abbiamo coloro che nei centri lavorano (per lo più con stipendi bassi, che si aggirano intorno ai 1.000 euro mensili) in condizioni spesso durissime e turni molto pesanti. Infine, e solo infine, il rifugiato, al quale arrivano, nella sostanza, le briciole. Egli riceve, se li riceve, i pochi spicci giornalieri e un servizio pessimo, sempre e comunque erogato con il minimo dispendio; vive per mesi, a volte per anni, in uno stato di sostanziale reclusione e di forzato immobilismo. Egli è il mezzo che alimenta il sistema, non il fine. Niente rifugiati, niente fondi. Ecco tutto!

Postscriptum 1. Il Consorzio di comuni “Terra di accoglienza”, di cui sopra, è stato recentemente sanzionato da una delibera della Corte dei Conti per aver trattenuto per sé, prelevandoli dai fondi stanziati per la gestione dell’accoglienza (i famosi 30 euro), 40 centesimi al giorno per ogni rifugiato accolto. In questo modo il Consorzio ha accumulato 580 mila euro all’anno, con i quali ha in primo luogo retribuito i propri membri, pagato consulenze (alcune delle quali chieste all’ormai famigerato e onnipresente Odevaine) e finanziato progetti dei vari comuni in tema di accoglienza. Infine, pare che 150 mila euro destinati all’assistenza agli immigrati siano andati direttamente nei bilanci comunali.

Postscriptum 2.Tra le varie cooperative vincitrici dell’appalto per la gestione del C.A.R.A. di Mineo, sulla cui gara di assegnazione sta indagando la Procura di Catania, risulta anche la Pizzarotti Spa. In sostanza, i Pizzarotti di Parma non contenti di aver incassato i 6 milioni annui del canone d’affitto, hanno anche fondato una cooperativa per speculare direttamente sull’assistenza ai profughi. Ogni commento è superfluo.

Carlo Seravalli

20/6/2015 www.lacittafutura.it

 

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