La mia scalata al Monte Salario

Laureato, 37 anni: ho percorso l’intera strada dello sfruttamento per arrivare a uno stipendio, comunque insufficiente per costruire una vita dignitosa

Io sono Marco, ho 37 anni, sono laureato, e posso tranquillamente dire di aver percorso tutta la scala di sfruttamento che un giovane deve sopportare prima di arrivare comunque a un salario adeguato, ma comunque insufficiente da permettere la costruzione di una vita dignitosa.

Comincio a raccontarvi l’ascesa verso un tanto agognato monte, il Monte Salario, situato nella Catena Montuosa del Lavoro, che si trova precisamente nella Valle della Dignità. Da giovane laureato in archeologia mi viene proposto un tirocinio retribuito, con possibilità d’inserimento, in un famoso studio di architettura che fa allestimenti museali.

Tra me e me penso: beh, se comincia così sarà un’ascesa facile, quasi una passeggiata. Peccato che in un anno e mezzo non abbia ricevuto alcun rimborso, e che l’aspettativa d’inserimento si sia chiusa davanti a un caffè con un secco “vorrei, ma non posso”. Mi dico: beh, dai, è pur sempre una montagna, sono all’inizio del percorso, un po’ di salita ci sta. La Catena Montuosa del Lavoro è caratterizzata da una rigogliosa boscaglia: entro quindi nel Bosco dei Colloqui e delle Agenzie.

Durante uno di questi, alla fine dell’intervista, per un posto di scaffalonista mi viene chiesto se avessi tatuaggi, e alla mia risposta negativa mi viene suggerito di mostrare braccia e torso per verificare la veridicità delle mie affermazioni.

Dopo qualche tempo vengo chiamato da un call center, mi selezionano e comincio questa nuova avventura. Le premesse erano buone: pagamento a contratto firmato e fisso orario. Mi dico: beh, dai, si sale, però almeno lo faccio all’ombra e al fresco. Peccato, però, che il fisso orario si aggirasse sui due euro e che spesso e volentieri i contratti firmati non corrispondevano a quelli effettivamente pagati.

Decido quindi di aumentare il passo, nonostante la salita cominciasse a essere sempre più ardua. Lascio alle spalle il call center e riesco dopo qualche mese e diversi colloqui a trovare un buon lavoro. Entro in una piccola ma rampante azienda farmaceutica. Dopo pochi mesi di assunzione il contratto lo trasformano a tempo indeterminato: stipendio buono, in linea con il ccnl di riferimento, e addirittura qualche premio una tantum. Penso: beh, forse comincio a essere in quota e a vedere la vetta.

E invece no. Quella che sembrava essere un’azienda illuminata dimostra al suo interno la più becera mentalità imprenditoriale, fatta di straordinari non pagati e trattamenti estremamente soggettivi in base a quanto si risulti simpatici (o meno) ai capi. Dopo qualche anno passiamo in mano a una multinazionale. Mi dico: alla fine però, dai, c’è stabilità. E invece no. Rischiamo la delocalizzazione, si parla di chiusura un giorno sì e l’altro pure per tre anni. Sono stanco. E mi dico: ammazza, ma quanto dura la salita, e dove sta questa vetta.

Sto per mollare, quando, invece, vedo qualcosa lassù in alto. L’azienda che ci ha acquistati decide di investire: non si chiude più, addirittura ci adeguano il contratto a quello degli altri colleghi del gruppo. Lo stipendio aumenta pure un po’ per via del cambio contratto, c’è il premio di produzione, il welfare e addirittura lo straordinario pagato.

Ops, mi sono dimenticato di dire che nel frattempo ci siamo sindacalizzati, sono diventato anche Rsa, e siamo riusciti a ottenere tanti risultati che mi hanno fatto vedere il Monte Salario quanto meno più vicino. È come se nel corso della salita avessi trovato un compagno che, vedendomi in difficoltà, mi presta un bastoncino per affrontare meglio la salita. So di non essere arrivato in vetta. Anzi, so che ci saranno ancora tante salite, ma sono consapevole che non sarò solo ad affrontarle e che cercherò di fare il massimo per arrivare a un salario che mi permetta una vita equilibrata e dignitosa.

Marco Capitani Guerra

17/72023 https://www.collettiva.it/

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