La pandemia da SARS-CoV-2 in Lombardia nella prima settimana di novembre

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I numeri della pandemia in Lombardia nella prima settimana di novembre sono qui riportati.

Alla data dell’8/11 (tra parentesi la variazione rispetto al giorno prima) risultavano:

  • numero tamponi eseguiti 38.188;
  • numero tamponi positivi 6.318 (pari al 16.54% del totale);
  • totale dei pazienti attualmente positivi 132.410;
  • casi totali positivi 260.754;
  • positivi x 100.000 abitanti 1.310;
  • totale pazienti ospedalizzati 6.875;
  • percentuale dei pazienti Covid ospedalizzati sul totale dei pazienti Covid 5%;
  • pazienti ricoverati in area non critica 6.225 (+412), pari al 74.6% degli 8.337 posti letto totali disponibili in area non critica;
  • pazienti ricoverati in area non critica x 100.000 abitanti 62 (+7.1%);
  • pazienti ricoverati in Terapia Intensiva 650 (+40), pari al 55,3% dei 1.174 posti letto totali disponibili nelle Terapie Intensive;
  • pazienti ricoverati in Terapia Intensiva x 100.000 abitanti 6.43 (+ 6.6%);
  • pazienti deceduti 117 (+9) su un totale complessivo dei deceduti di 18.343;
  • pazienti guariti/dimessi 1.420.
  • Numero di casi per provincia: Milano 2.956 (di cui 1.204 a Milano città), Monza-Brianza 877, Varese 620, Brescia 545, Pavia 313, Como 174, Lecco 136, Mantova 135, Bergamo 123, Sondrio 114, Cremona 99, Lodi 57.
    (Fonte: AGENAS, Ministero Salute).

Mentre la prima ondata della pandemia ha investito in modo frontale l’asse Bergamo-Lodi-Cremona, questa seconda ondata sta interessando in modo predominante l’asse Milano-Monza-Varese/Como che risulta essere l’attuale epicentro.
Da un punto di vista della presentazione clinica non ci sono differenze significative rispetto alla prima ondata della pandemia, ed anche gli strumenti terapeutici a disposizione sono ancora limitati (cortisone, eparina a basso peso molecolare, remdesivir, antibiotici in casi selezionati, oltre naturalmente alla ventilazione di supporto) mentre non appaiono immediati i tempi per una vaccinazione estensiva.
Lo sforzo organizzativo richiesto al sistema della sanità lombarda a partire dalla fine di ottobre è stato molto rilevante, in pochissimo tempo si è proceduto alla riconversione di interi ospedali a reparti di degenza Covid, sia per la gestione in prima linea dei casi più gravi nelle aree di maggiore incidenza, sia per drenare i casi più lievi nei nosocomi delle aree meno colpite.

La situazione attuale vede una grave sofferenza degli ospedali e dei Pronti Soccorso nelle aree di cui sopra, ed anche un impegno significativo delle Terapie Intensive, in particolare nell’area di Monza.
A questo si aggiunge la cronica carenza di personale che costringe il personale sanitario a turni gravosi e defatiganti.
La decisione sulle misure di confinamento a livello dell’intera regione, presa dal governo il 6/11 dopo un estenuante rimpiattino con i vertici di Regione Lombardia e Comune di Milano (che hanno per settimane irresponsabilmente minimizzato per non assumersi la responsabilità politica della chiusura), risulta ampiamente tardiva in presenza di una crescita numerica come l’attuale. Per tali motivi i benefici attesi (tenuto conto anche del totale default del sistema di tracciamento a livello regionale) in termini di decongestionamento delle strutture sanitarie saranno visibili solo fra 4-6 settimane, periodo nel quale è possibile che ulteriori criticità possano emergere portando al collasso il sistema come già successo durante la prima ondata pandemica.

Per capire questo scenario bisogna risalire a:
Come si presentava la sanità lombarda all’arrivo della prima ondata pandemica: è utile comprendere come il sistema sanitario regionale sia stato radicalmente trasformato negli ultimi decenni. Mentre fino al 1994 in Lombardia era operante, come in ogni altra regione, la declinazione regionale del Servizio Sanitario Nazionale, vale a dire un sistema di tipo misto, con preminenza del pubblico, il quale avocava a sé e controllava le funzioni di programmazione, prevenzione, finanziamento, erogazione e controllo, condividendo con il privato (quest’ultimo con ruolo complementare e non sostitutivo) la sola funzione di erogazione, nel 2017 con la riforma Maroni (L.R. 23/2015) giunge a compimento un lungo percorso di stravolgimento semantico (la denominazione attuale è Sistema Sociosanitario della Lombardia) e soprattutto strutturale basato su alcuni principi ideologico-ordinativi mutuati dal modello thatcheriano inglese, che lo rendono un unicum nel panorama nazionale; tali principi sono la sussidiarietà, la pariteticità di partecipazione tra pubblico e privato ai quali vengono garantiti parità di condizioni nella fornitura di servizi, parità di diritti, doveri, di trattamento, dignità e orientamento valoriale.

Nella sostanza il modello attuale appare sempre come un organismo misto, ma con netto sbilanciamento a favore del privato che vi svolge ora funzione di erogazione anche in sostituzione del pubblico (Fonte: Maria Elisa Sartor: Lombardia. Istantanee a confronto, in Saluteinternazionale.info, 04/03/2020)

Come il sistema ha reagito alla prima ondata pandemica: la risposta all’epidemia ha visto un diverso impegno del pubblico e del privato in termini di numeri, tempi di risposta e sforzi, non equamente distribuiti. In sostanza il modello consente a uno dei due soggetti di non rispondere subito, mostra rigidità, lentezza di risposta ed è più costoso (Fonte: Maria Elisa Sartor: Niente è in grado di sostituire la sanità pubblica, nemmeno in Lombardia, in Centro Studi Sereno Regis 06/03/2020).

Cosa è stato fatto durante i mesi estivi per prevenire la seconda ondata: con la delibera 3264 del 16/06/2020 Regione Lombardia elabora un piano di articolazione ospedaliera a rete in grado di adeguarsi quanto più velocemente e flessibilmente possibile all’eventuale variare della situazione epidemica. Vengono individuati 17 ospedali Hub per assistenza a pazienti con necessità di Terapia Intensiva, in grado anche di accogliere in regime di degenza infettivologica o pneumologica pazienti ad alta intensità di cura, e vengono date indicazioni anche per i pazienti acuti ordinari e per quelli paucisintomatici o in fase di guarigione clinica. (Fonte: Regione Lombardia)

Cosa non è stato fatto: le riforme successive al 1994 hanno progressivamente scardinato il bilanciamento tra ospedale e territorio a favore di un nuovo modello ospedalo-centrico; le ex-ASL non erogano più direttamente servizi ai cittadini e ridimensionano le loro attività di prevenzione perdendo la funzione di servizi sanitari territoriali, funzione che viene in parte riattribuita agli ospedali e in parte eliminata.
(Fonte: Maria Elisa Sartor: Sanità, più privato e meno territorio: il “modello Lombardia” spiazzato dal Covid-19, in dire.it 22/04/2020)

All’arrivo della prima ondata Regione Lombardia corre ai ripari istituendo le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) per la gestione domiciliare/territoriale dei pazienti Covid: ne vengono attivate 46 sulle 200 previste, con forti carenze di personale. Così la gestione dell’attuale epidemia sul territorio è nei fatti nuovamente affidata ai medici di base e per quanto riguarda il tracciamento alle ATS (le ex ASL), numericamente esigue e con scarso personale, del tutto inadeguate alla gestione epidemiologica in questa fase di crescita esponenziale della diffusione del virus; già il 19 ottobre il Direttore Generale di ATS Milano dichiara di non essere in grado di tracciare tutti i contagi. Nella delibera 3264 già citata il tema della gestione territoriale/domiciliare dei pazienti è semplicemente assente, l’accento viene posto esclusivamente sull’ampliamento dell’offerta recettiva a livello ospedaliero; ancora una volta, si confonde un’epidemia di sanità pubblica con un’epidemia di Terapia Intensiva.

A peggiorare la situazione, l’offerta vaccinale per il vaccino antinfluenzale stagionale, che avrebbe dovuto essere pianificata in anticipo rispetto al consueto in vista della ripresa della pandemia, è invece slittata alla seconda metà di novembre per incapacità e inadempienze tutte interne a Regione Lombardia.

Restano su di uno sfondo sfocato l’entità dell’impegno sul tema Covid della sanità privata (che da sola effettua il 35% dei ricoveri ordinari e il 42% delle prestazioni ambulatoriali e diagnostiche), così come il destino dei pazienti affetti da patologie urgenti non-Covid (sia le vere urgenze tempo-dipendenti di tipo cardiologico, neurologico, chirurgico sia quelle legate ad esempio a patologia oncologica).

Quali riflessioni finali possiamo trarre?

Il governo nazionale ha il grave demerito di non avere prestato ascolto alla campagna sul commissariamento della sanità lombarda (che ha raccolto quasi 100.000 adesioni di cittadine/i della regione), consentendo ad un personale politico e manageriale chiaramente inadeguato alla gestione dell’emergenza Covid di continuare ad esserne il titolare.

Inoltre occorre effettuare una riflessione più generale sulle nefaste conseguenze della riforma del titolo V (legge 3/2001, confermata dal referendum del 7/10/2001) che, delegando a Regioni e Province Autonome l’organizzazione e la gestione dei servizi sanitari, ha finito per generare una deriva regionalista con 21 differenti sistemi sanitari dove l’accesso a servizi e prestazioni sanitarie è profondamente diversificato e iniquo.

Tutto ciò, unito alla cronicizzata conflittualità manifestatasi in sede di confronto Stato/Regioni in merito ai provvedimenti di confinamento sociale, rischia di avere conseguenze esiziali. Occorre ribadire con forza che la gestione della salute pubblica, a fortiori in presenza di eventi epidemici che pongono in pericolo immediato le vite dei cittadini, deve rimanere di esclusiva competenza statale, evitando ulteriori derive verso percorsi di autonomia differenziata in ambito sanitario.

Norberto Ceserani

Medico ospedaliero Bergamo

Articolo pubblicato sul numero di novembre del mensile Lavoro e Salute

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