La repressione politica dei lavoratori della logistica a Piacenza

La pandemia ha chiuso in casa l’Italia, dando una spinta epocale al commercio online. L’aumento di acquisti da casa ha aumentato i profitti delle grandi aziende del settore come Amazon, Dhl e FedEx, con un aumento degli impiegati — per i quali, però, non è quasi mai seguito un aumento di stipendio, diritti o benessere proporzionale agli introiti dei loro datori di lavoro. Un po’ come per il settore dei rider, questi “nuovi lavoratori” vengono sistematicamente sfruttati dalle aziende.

La provincia di Piacenza è una delle aree d’Italia più coinvolte da questa crescita dell’e-commerce. Per ragioni che si potrebbero definire “strategiche,” nella zona si sono venuti a trovare moltissimi magazzini delle principali multinazionali del commercio online, che da qui distribuiscono i prodotti acquistati nel resto d’Italia, soprattutto quella del Nord. Ed è proprio qui che negli ultimi anni si sono concentrate diverse lotte sindacali per far sì che questi magazzini non diventassero centri di schiavitù.

Queste lotte nella zona di Piacenza sono state portate avanti soprattutto dal sindacato di base Si Cobas, che è riuscito ad organizzare i lavoratori del settore e a farli opporre alle politiche padronali con scioperi e contestazioni. Ma il sindacato la settimana scorsa è stato colpito duramente da una vera e propria repressione poliziesca: il 10 marzo le forze dell’ordine hanno messo agli arresti domiciliari Carlo e Arfat, due sindacalisti dello stabilimento TNT-FedEx del capoluogo, indagando anche in tutto 29 persone e lavoratori ritenuti “responsabili, a vario titolo, in concorso tra di loro, dei reati di resistenza aggravata a pubblico ufficiale, lesione personale aggravata e violenza privata, occupazione del suolo pubblico aggravata.” Sono anche state emesse 5 misure di divieto di dimora nei confronti di altri lavoratori presenti in quello stesso momento, e gli stranieri rischiano di vedersi revocato il permesso di soggiorno.

Abbiamo parlato con due avvocati che stanno seguendo da vicino la vicenda e hanno assistito agli ultimi anni di lotta Si Cobas a Piacenza, per capire come si è arrivati a questa repressione e che cosa rischiano questi lavoratori, la cui colpa principale è aver lottato per il rispetto dei propri diritti.

Il miglioramento delle condizioni di lavoro grazie a 10 anni di resistenza

Il primo avvocato con cui parliamo è Lorenzo Venini, avvocato del lavoro che segue le lotte dei Si Cobas nella logistica in provincia di Piacenza dal 2011. “Quando abbiamo iniziato a occuparcene c’era una situazione di illegalità abbastanza marcata.” L’attività era gestita tramite un sistema di subappalti e cooperative che stritolava i lavoratori tra paghe basse e precariato. “Anche oggi c’è TNT come committente, che mette marchio e magazzino. Poi c’è come intermediaria questa società appaltatrice chiamata Lintel, la quale subappaltava la movimentazione merci vera e propria a delle cooperative appartenenti o collegate al consorzio Lintel stesso. I facchini erano 270 ed erano tutti dipendenti di queste cooperative. La retribuzione secondo me non era rispettosa del contratto nazionale.” Il potere delle aziende sui lavoratori era garantito dalle condizioni di precarietà dei contratti. “Pur essendo a tempo indeterminato ogni 2 anni arrivava un cambio di appalto. I lavoratori avevano paura di rimanere fuori.”

Dal 2011 in poi, però, alla TNT entra il Si Cobas. “Fino a quel momento il magazzino non era sindacalizzato, i sindacati se ne occupavano molto poco. Dal 2011 in poi le cose sono andate migliorando. Ad esempio oggi, pur restando TNT committente e Lintel appaltatrice intermedia, l’ultimo anello della catena è una srl: un po’ più stabile, e da un po’ di anni non si stanno più verificando cambi appalti. Anche le buste paga sono cambiate: non solo il contratto nazionale viene tendenzialmente applicato bene, ma sono stati fatti addirittura accordi di secondo livello, introdotti ticket mensa, premi di risultato nell’anno…” Nel frattempo il sindacato si è allargato: “È passato da avere un iscritto in magazzino a credo il 90%. Mi sembra che su 270 circa 250 siano iscritti a Si Cobas — e questo ha effettivamente comportato un miglioramento importante delle tutele: ora si discute di cose diverse di quelle di cui si discuteva qualche anno fa.”

Gli operai hanno scioperato per la tutela del proprio posto di lavoro

Gli arresti dell’altro giorno partono da fatti successi durante gli scioperi svolti tra il 28 gennaio e il 5 febbraio. “Una delle cose che mi ha innervosito particolarmente, al di là dell’aspetto penale che seguirà un suo iter giudiziario, è aver letto sia nell’ordinanza di misura cautelare sia nelle dichiarazioni della procura di Piacenza che questi scioperi non avessero alcuna motivazione sindacale. Sono pronto a negarlo di fronte a chiunque.”

Per capire cos’è successo, bisogna partire dall’acquisizione di TNT da parte del gigante americano delle consegne FedEx. “Intorno al 2o gennaio era uscita una nota di TNT-FedEx secondo cui a seguito della fusione si erano creati dei raddoppi di ruolo, per cui prevedevano in Europa tra i 5.300 e i 6.000 esuberi. Sono iniziati scioperi non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa — ad esempio in Belgio ci sono stati scioperi molto duri perché sembrava volessero chiudere una filiale di TNT per favorire l’hub di Parigi…”

Una storia già sentita. Il sindacato ha indetto questi scioperi per chiedere di poter visionare il piano industriale e avere la garanzia che l’hub di Piacenza non sarebbe stato toccato da questa riorganizzazione aziendale. “Questa motivazione già di per sé mi sembra sufficiente. Quando si muovono gli operai Whirlpool nessuno — giustamente — si sogna di dire che sono impazziti.” Ma c’è dell’altro. “L’anno scorso l’ispettorato nazionale del lavoro aveva inviato ad Alba srl, la subappaltatrice che opera in TNT ed effettiva datrice di lavoro dei facchini, una diffida: in alcuni mesi del 2018-19 non era stata pagata la retribuzione in maniera corretta. L’ispettorato invitava l’azienda a pagare i lavoratori e adempiere a queste mancanze.”

Dopo la diffida dell’ispettorato Alba ha aperto un processo di conciliazione davanti all’ispettorato stesso. Un processo non ancora concluso: “a gennaio e febbraio queste diffide non erano ancora state pagate. E il sindacato diceva: dovete pagarcele — quando i vigili ti fanno la multa la paghi.” Un motivo di sciopero era quindi chiedere all’azienda di adempiere a un ordine dell’ispettorato, “che è un organo dello stato: è quasi come se la procura di Piacenza oggi dicesse all’ispettorato, un altro organo dello stato, che loro avrebbero fatto un errore. Mi sembra un po’ paradossale.”

“Dopo gli scioperi c’è stato un tavolo in prefettura, alla presenza del prefetto, del questore, dell’ispettorato del lavoro di Piacenza, tutte le società, TNT, Lintel e Alba e del Si Cobas. È stato firmato un accordo conciliativo, che innanzitutto garantisce l’assenza di esuberi a Piacenza.” Quindi le proteste hanno scongiurato i licenziamenti. “Talmente erano infondate queste richieste che è stato convocato un tavolo dove la grandissima parte delle rivendicazioni sindacale sono state riconosciute. Così folli nel voler fare questi scioperi i lavoratori del sindacato non erano evidentemente.”

Da dove viene questo impulso repressivo?

La procuratrice capo di Piacenza si sarebbe permessa di fare commenti sulle paghe degli operai, e avrebbe sostenuto che “prendendo 2 mila euro al mese” avrebbero uno stipendio più che dignitoso. “Questa affermazione mi sembra innanzitutto offensiva verso chi guadagna 2 mila euro lordi al mese con quattro figli da mantenere: non mi sembra uno stipendio che ti consenta di andare in giro in Ferrari. In secondo luogo, bisogna anche capire come vengono composte quelle buste paga, perché se uno fa 100 ore di straordinario e dentro ci sono anche 100 di assegno familiare fuori dallo stipendio… Io dalla mia esperienza in TNT tanti lavoratori che prendono più del minimo sindacale non li ho mai visti, ho visto sempre la richiesta di applicazione dei minimi sindacali.”

La motivazione della repressione, quindi, è politica? “È evidente che i Si Cobas siano il problema politico a Piacenza. Stiamo parlando di una cittadina che è benestante, non ha grossi problemi sociali e si è trovata di improvviso a essere il polo logistico d’Italia: tra Piacenza e Castel San Giovanni ci sono le sedi italiane delle maggiori aziende di logistica del mondo, Amazon, TNT, DHL. E loro hanno rotto le uova nel paniere: quello che fanno i Si Cobas, cioè far scioperare i facchini della logistica, lo fanno solo i Si Cobas. Nessun altro sindacato nel territorio ha mai fatto scioperare i facchini come hanno fatto loro. Sono diventati un grosso sindacato, che nel 2011-2012 era minoritario, ma ora nel settore logistico sono un sindacato fortissimo. Poi questo non toglie comunque che ci siano stati degli scontri con la polizia e questo ovviamente non è mai ben visto, ecco — per di più ci sono dei contatti tra i Si Cobas e aree antagoniste della città di Piacenza, e anche quello può aver dato fastidio.”

Le aziende ridono

Alla luce di tutto questo, è il momento di chiedersi come l’azienda sta vivendo l’ondata di repressione che si è abbattuta sui suoi dipendenti. “Io sono sicuro che le aziende siano contente di queste repressione, che comunque nasce su loro impulso perché le denunce arrivano perché le aziende chiamano le forze dell’ordine. È chiaro che TNT è contenta di quello che è successo. Io ho già notizia di altri appalti in cui aziende hanno detto eh ci sono i Cobas, e hanno iniziato a mandare lettere di contestazione…” Dove non arriva la questura, arriva la diffamazione a mezzo stampa: “Ho già avuto un’udienza in cui un avvocato di controparte ha portato un giornale in aula in cui si diceva che il sindacato era violento, eccetera. Il tessuto produttivo sicuramente è felice, era la notizia migliore che potevano ricevere.”

Non stupisce, visto che l’obiettivo delle grandi multinazionali dell’e–commerce e del food delivery sembra essere quello di avere il campo più libero possibile per sfruttare i lavoratori. “Al di là dell’aspetto politico che uno può condividere o meno, se la logistica nella zona di Piacenza non è diventata una nuova terra di sfruttamento per nuovi schiavi secondo me in gran parte lo si deve all’attività che al di là del sindacato quei sindacalisti ai domiciliari o indagati hanno portato avanti. Che tra l’altro hanno portato avanti sulla loro pelle, prendendosi altre denunce. Forse non è così chiaro che comunque i lavoratori nello scioperare subiscono un danno perché tutti i giorni di sciopero non vengono pagati. Un operaio che fa 5 giorni di sciopero quel mese avrà il 25% dello stipendio in meno — e visto che a dispetto di quello che dice la procuratrice di Piacenza gli stipendi di queste persone sono tendenzialmente bassi, lo fa solo se è fortemente convinto che sia necessario. Questo messaggio per cui una mattina gli operai han detto ‘non ho voglia di lavorare’ mi offende particolarmente, quel mese avranno messo due piatti caldi in meno a tavola ai propri figli per portare avanti la propria rivendicazione sul posto di lavoro. E questo andrebbe rispettato secondo me.”

Cosa rischiano i lavoratori coinvolti

Abbiamo parlato anche con l’avvocato Eugenio Losco, che a differenza di Venini si sta occupando dei lavoratori sul piano strettamente penale. “Vengono contestati gli scioperi perché secondo l’accusa si configurerebbe il reato di violenza privata, perché scioperi effettuati tramite picchettaggio. Viene contestato un episodio di resistenza quando le forze dell’ordine hanno deciso di sgomberare i lavoratori che si trovavano davanti all’ingresso della TNT,” ci illustra Losco.

Ma cosa rischiano verosimilmente adesso queste persone? “Rischiano molto. Il reato di resistenza così com’è contestato è un reato molto grave, che ha una pena da 3 a 15 anni. Soprattutto sono stati destinatari di altre misure, perché agli stranieri hanno notificato anche un avviso di avvio di revoca dei permessi di soggiorno, e a molti italiani hanno notificato un avviso orale, una misura di prevenzione che viene notificata di solito alle persone considerate socialmente pericolose.”

C’è qualcosa che non torna, però. “A parte che il reato di resistenza è inesistente, perché in realtà questi lavoratori erano tutti seduti per terra, la polizia è arrivata e ha lanciato dei lacrimogeni. Ne è nato un po’ di confusione, ma tutto è dovuto a un’iniziativa della polizia quantomeno maldestra. Comunque siamo all’inizio, è una fase cautelare, lunedì e martedì ci saranno gli interrogatori; dopodiché noi abbiamo predisposto un ricorso al tribunale del riesame, un tribunale collegiale, di Bologna, che dovrà rivalutare la sussistenza dei gravi indizi e esigenze cautelari individuate dal giudice che ha applicato l’ordinanza.”

Leggendo gli atti della questura, sembra di capire che si sia voluto agire per un qualche tipo di ottica di prevenzione. Ma è nel potere delle autorità questo comportamento? “Diciamo che tecnicamente per i reati contestati possono essere emessi questi provvedimenti. Però bisogna guardare la realtà: si tratta di episodi verificatisi nel corso di scioperi legittimi e fondati. L’8 o il 9 febbraio è stato raggiunto un accordo per il riconoscimento delle questioni avanzate da parte del sindacato” — come già ci faceva notare Venini. “Non si capisce che senso hanno queste misure. Ci sarà un processo penale ma non stiamo parlando di delinquenti, tutt’altro.”

Stroncare le proteste efficaci

Si potrebbe dunque concludere che ci sia una volontà di colpire l’organizzazione del Si Cobas. “C’è una volontà da qualche anno di colpire questo sindacato e in generale i sindacati di base. Questo, in particolare, perché è un sindacato che attua una forma di protesta molto forte a differenza di quelle che vengono effettuate dai sindacati confederati. È un tipo di protesta che dà fastidio, anche perché in questi anni si è dimostrata vincente. Nella logistica è proprio grazie alle lotte dei sindacati di base che i lavoratori hanno visto riconosciuto gran parte dei diritti che venivano negati.”

“Lotte che sono molto, molto monitorate dalle forze di polizia, dagli uffici della Digos, con molta attenzione. E non solo a Piacenza, ma in tutta Italia e in particolare nella Pianura Padana dove si concentrano i più grandi hub della logistica. Amazon, TNT, Ikea…” Le occasioni di repressione non sono mancate, come quella all’hub TNT di Peschiera Borromeo, a giugno, alle porte di Milano, dove i lavoratori in sit-in davanti alle porte della sede sono stati picchiati e inondati di lacrimogeni. “Certo. La gran parte degli scioperi che vengono effettuati da questi lavoratori portano a una contestazione di un illecito penale, di violenza privata, ma raramente vengono applicate delle misure cautelari in attesa del processo. Anche perché i processi per la grande maggioranza si concludono con un’assoluzione nei confronti dei lavoratori.”

Ma perché violenza privata, se si tratta di un picchettaggio? “La questione è un po’ tecnica. Loro contestano questa violenza privata che sarebbe il picchettaggio: impedire ai mezzi di entrare nei siti della logistica, diciamo, in maniera molto molto semplice. Però non è proprio così, perché non è che impediscono, fanno un tentativo di informativa e di persuasione. A volte succede che materialmente impediscono, ma questo non è sufficiente per il reato di violenza o privata: perché non c’è violenza o minaccia — il semplice mettersi davanti ai cancelli non dovrebbe causare la contestazione di questo reato. Su questa cosa si discute molto anche nella giurisprudenza.” Visto che anche il fatto che il reato per il quale queste persone sono state accusate esista è quantomeno dubbio, c’è speranza che alla fine vengano a loro volta assolte? “In questo caso siamo un po’ troppo all’inizio per poterlo dire. Noi ci concentriamo sugli interrogatori tra lunedì e martedì e con il tribunale del riesame per la revoca dei provvedimenti cautelari in attesa del giudizio.”

Stefano Colombo

15/3/2021 https://thesubmarine.it

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