La disumanità di Israele a Gaza

I sopravvissuti dell’invasione israeliana nel Nord di Gaza raccontano storie agghiaccianti di rapimenti, torture e l’uso dilagante di civili come esche e scudi umani. Il mondo non ha ancora idea di quanto sia disumana la guerra genocida di Israele.

Fonte: English version

Di Tareq S. Hajjaj – 17 gennaio 2024

Immagine di copertina: Le rovine dell’area di Matahen a Khan Younis, nel Sud della Striscia di Gaza, 10 gennaio 2024. (Foto: Omar Ashtawy/APA Images)

Decine di persone stanno in fila per ore fuori dalla cabina farmacia nel complesso ospedaliero del Kuwait. Cominciano tutti ponendo la stessa domanda al farmacista: il mio farmaco è disponibile? La risposta per la maggior parte è no.

Tra le lunghe file di anziani, malati e madri con i bambini in braccio, arriva un uomo apparentemente di mezza età appoggiato a un ragazzino, che parla ad alta voce e chiede di poter saltare la fila: è appena stato rilasciato dalla prigione e riesce a malapena a stare in piedi.

“Ho trascorso sessanta giorni di continue percosse e umiliazioni”, dice. “Mi hanno appena rilasciato e devo solo prendere le mie medicine. Per favore, lasciatemele prendere senza dover aspettare ancora”.

Tutti lo lasciano passare, permettendogli di ritirare le medicine dal dispensario e di andarsene.

Mi trovo accanto a lui nel cortile dell’ospedale e gli chiedo come è stato arrestato dall’esercito israeliano, e come alla fine è stato rilasciato.

Foto: Haytham al-Hilou nel cortile dell’Ospedale kuwaitiano a Rafah, gennaio 2024. (Foto: Tareq Hajjaj/Mondoweiss)

Haytham al-Hilou, 56 anni, è stato sfollato da Beit Hanoun nel Sud di Gaza il 27 ottobre dello scorso anno. Dice che nel suo viaggio verso Sud, è stato fatto passare attraverso un posto di blocco meccanizzato che l’esercito israeliano aveva allestito all’incrocio di Netzarim in via Salah al-Din. Quando ha attraversato il cancello di metallo e le telecamere lo hanno identificato, i soldati israeliani gridarono il suo nome attraverso un microfono, intimandogli di fermarsi. Al-Hilou fu mandato in un centro di detenzione israeliano, dove è stato sottoposto a sessanta giorni di torture e umiliazioni intervallate da interrogatori nell’intento di estorcergli qualsiasi informazione che potesse essere utile all’esercito per identificare e raggiungere obiettivi specifici.

“Quando ho raggiunto il punto di detenzione, i soldati mi hanno ordinato di togliermi tutti i vestiti”, dice. “Ci hanno detto di andare ad aspettare in un fossato scavato dall’esercito a poca distanza dal posto di blocco”.

Quando scese nel fossato, notò che era già occupato da decine di palestinesi anch’essi detenuti, tutti nudi e bendati. Non passò molto tempo prima che arrivassero i soldati e bendassero anche lui.

Haytham era fuggito a Sud con la moglie e i cinque figli e quando fu arrestato non c’era più nessuno che si prendesse cura di loro. Al-Hilou dice che la sua famiglia ha sofferto immensamente durante il suo periodo di prigionia, lottando per trovare un rifugio che li accogliesse.

“Quando sono stato rilasciato, ho trovato la mia famiglia sfollata e per strada”, continua. “Niente riparo, niente cibo, niente acqua. Ogni goccia d’acqua e pezzo di pane che sono riusciti a trovare è stato dopo un lungo periodo di sofferenza”.

Dice che è stato un miracolo aver ritrovato la sua famiglia viva, soprattutto perché tutti i suoi figli erano molto giovani, comprese le sue tre figlie e due maschi.

Quando è stato arrestato per la prima volta, non sapeva dove lo avrebbero portato. Dopo un lungo viaggio, si è ritrovato nella prigione di Ofer, fuori Ramallah, in Cisgiordania.

A Ofer è stato interrogato e sottoposto a torture fisiche e psicologiche. Gli agenti dei servizi di informazione israeliani gli hanno negato il cibo per lunghi periodi, tenendo sessioni di interrogatorio per ore e ore. Gli avrebbero chiesto dei nascondigli dei capi di Hamas come Yahya Sinwar e chiesto se ci fossero aperture per i tunnel all’interno della sua casa. Continuava a ripetere la stessa risposta:

“Sono una persona qualunque. Non sono coinvolto in alcuna attività combattente”.

Gli interrogatori lo picchiavano duramente e spesso. Essendo un uomo anziano con i capelli brizzolati, di bassa statura e con una corporatura fragile, non era in grado di sopportare quello che era diventato il trattamento standard dello Shin Bet.

E le domande continuavano. Dove sono i leader di Hamas? Dove si nascondono?

Le sue risposte ad un certo punto si trasformarono in grida. Non lo so! Non lo so! Non sono un membro di Hamas! Non ho niente a che fare con la Resistenza. Non ho nulla a che fare con l’attività combattente. Non so dove siano i capi di Hamas, non so niente di loro. I civili non sanno queste cose, solo i vertici le sanno. Le persone normali non sanno chi sono. Sono sempre nascosti.

Nonostante tutto ciò, al-Hilou è grato di essere stato finalmente rilasciato e di poter tornare a casa e aver potuto riabbracciare la sua famiglia.

Dice che la prigione durante la guerra è diversa che in qualsiasi altro periodo. I prigionieri di Gaza sono preoccupati per le loro famiglie, chiedendosi se sono riusciti a trovare un rifugio, se sono riusciti a procurarsi il cibo o se sono vivi o morti.

Haytham sostiene che non vi era alcun motivo per il suo arresto e che nessuna prova indicava il suo coinvolgimento in alcuna resistenza o attività combattente. Racconta che tra i 17 e i 20 anni si impegnò in attività pubbliche a sostegno della Resistenza ma che non erano affatto militanti.

“Forse Israele voleva punirmi per la mia attività in gioventù, anni che sono ormai alle spalle e ben lontani”, ipotizza.

In quegli anni passati, le attività di sostegno alla Resistenza a cui lui e i suoi amici avevano partecipato non erano affatto rare. Dopo tutto, chi, in tutta la Palestina, non sostiene la Resistenza contro l’Occupazione?

Arrestato due volte nello stesso giorno

Ci sono infinite storie di incarcerazioni arbitrarie avvenute presso i numerosi posti di blocco militari israeliani in tutta la Striscia di Gaza, dove l’esercito mantiene il controllo. Alcune persone sono state arrestate una, due e anche tre volte durante la loro permanenza a Gaza City, dopo essersi rifiutate di andarsene come parte della Pulizia Etnica israeliana del Nord di Gaza. Eyad Eleywa è uno di quei residenti. Lui è ancora a Gaza City, mentre molti dei suoi figli hanno scelto di fuggire a Sud. Adesso sono a Rafah.

Eleywa risiede nel quartiere di Sheikh Radwan insieme a sua moglie, tre dei suoi figli, sua nuora e un certo numero di altri parenti che erano fuggiti dalle aree a Nord di Gaza City nella città stessa. Suo figlio Muhammad vive in una tenda nel quartiere di Tal al-Sultan a Rafah. Ogni tanto riesco a vederlo. Racconta l’ultima volta in cui suo padre è stato arrestato nel Nord di Gaza.

Il padre di Muhammad è già stato arrestato tre volte e due di questi arresti sono avvenuti lo stesso giorno. Muhammad racconta che all’inizio dell’Operazione di Terra a Gaza City, i soldati hanno portato via suo padre dalla sua casa a Sheikh Radwan e gli hanno ordinato di togliersi tutti i vestiti prima di bendarlo e lasciarlo fuori al freddo mentre conducevano gli interrogatori sul campo.

Dove sono le aperture dei tunnel? Dove sono i combattenti di Hamas? Chi conosci che possiede armi in città? Le domande erano incalzanti e continue ed è stato detenuto dalla mattina presto fino al tardo pomeriggio. Quando i soldati ebbero finito con lui, lo lasciarono ad al-Tuwan, lontano dalla sua casa a Sheikh Radwan. Hanno ordinato all’anziano uomo, nudo e picchiato, privato di cibo e acqua per tutto il tempo, di tornare a casa a piedi.

La sera stessa, mentre tornava a casa camminando, è stato arrestato una seconda volta in un altro posto di blocco nella zona che separa al-Tuwan dal quartiere di al-Nasr. Ha trascorso l’intera notte sotto custodia israeliana ed è stato rilasciato il giorno successivo.

“Quando riuniscono i detenuti in un posto, li allineano uno per uno e li terrorizzano”, dice Muhammad, raccontando il resoconto di suo padre sul trattamento subito durante l’arresto. “Passano da una persona all’altra, dicendo a ciascuno di loro: Ti manderemo al tuo Dio, e: Ti manderemo in paradiso per sposare le vergini”.

Orrore nascosto al mondo

Coloro che hanno attraversato queste prove e sono sopravvissuti per raccontarlo si considerano fortunati perché alla fine sono stati rilasciati e restituiti alle loro famiglie. Innumerevoli altri sono effettivamente scomparsi, rapiti un giorno a un posto di blocco dell’esercito e senza ulteriori notizie sulla loro sorte o dove si trovassero.

Ogni volta che scorro i social media, mi imbatto in persone che postano sui loro familiari scomparsi, e tutti dicono che i loro cari sono scomparsi dopo essere stati fermati ad un posto di blocco israeliano. L’esercito israeliano rilascia pochissime informazioni su chi arresta a questi posti di blocco. Tra gli arrestati figurano medici, giornalisti, pazienti, padri, madri, fratelli, sorelle e persone di ogni ceto sociale. I loro cari diffondono costantemente annunci e chiedono agli organismi internazionali e alle organizzazioni per i diritti umani di intervenire e costringere Israele a rivelare dove si trovano i loro cari.

Testimoni oculari che sono riusciti a sfuggire alla morte e a raggiungere Rafah raccontano storie orribili di come i soldati israeliani abbiano usato i civili, soprattutto adolescenti maschi, come scudi umani o peggio. Un testimone oculare che ha preferito rimanere anonimo ha raccontato la storia straziante di come i soldati israeliani, dopo aver scoperto l’apertura di un tunnel nel Nord di Gaza, abbiano legato degli esplosivi al petto, alle gambe e alle braccia di un giovane diciassettenne e lo abbiano costretto a scendere nel tunnel, calandolo con una corda e fissandogli una telecamera alla testa. Gli avrebbero dato l’ordine di andare a sinistra, a destra o in avanti mentre osservavano da uno schermo in superficie.

Il testimone oculare dice che quando i soldati gli stavano mettendo addosso l’esplosivo, ridevano e facevano battute, vantandosi che lo avrebbero “inviato al suo Dio un pezzo per volta”, e che avrebbe “incontrato le vergini nel tunnel”. Il testimone oculare afferma che questa pratica era comune a Beit Hanoun, poiché l’esercito si avvaleva di giovani dalla corporatura esile capaci di muoversi con agilità in piccoli spazi. Il testimone oculare racconta che quando i soldati notavano movimenti sospetti attraverso la telecamera fissata ai loro prigionieri, facevano saltare in aria il tunnel e con esso il giovane. Ogni volta che si scopriva che il tunnel conduceva a un vicolo cieco o che era deserto, il giovane tornava illeso e i soldati gli rimuovevano l’esplosivo.

Mentre questi dettagli strazianti che continuano ad emergere dai sopravvissuti sono così orribili da essere incredibili, la realtà è che l’Occupazione è riuscita a isolare la Striscia di Gaza dal resto del mondo e a rendere invisibile la maggior parte dei crimini commessi dalle sue truppe sul campo. Israele sta sistematicamente impedendo ai giornalisti stranieri di raggiungere Gaza, assassinando i giornalisti palestinesi e imponendo un totale oscuramento dell’informazione attraverso l’interruzione di elettricità, internet e telecomunicazioni.

In altre parole, la strategia di oscuramento di Israele ha funzionato, nonostante tutte le immagini cruente che ancora riescono ad arrivare. La relativa portata degli omicidi ha spinto il mondo a riconoscere che è in corso un Genocidio, ma il carattere orribile dei crimini di Israele e l’abietta disumanità della condotta dell’esercito rimangono ancora in gran parte sconosciuti alla maggior parte del mondo.

Tareq S. Hajjaj è il corrispondente di Mondoweiss da Gaza e membro dell’Unione degli Scrittori Palestinesi. Ha studiato letteratura inglese all’Università Al-Azhar di Gaza. Ha iniziato la sua carriera nel giornalismo nel 2015 lavorando come giornalista e traduttore per il quotidiano locale Donia al-Watan. Ha lavorato per Elbadi, Middle East Eye e Al Monitor.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

18/1/2024 https://www.invictapalestina.org/

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