LA STRAGE DIMENTICATA. Amianto all’Isochimica di Avellino: una delle tante fabbriche della morte, chiusa da quasi trent’anni, continua ad uccidere

Quindici operai morti, almeno 150 malati e un intero quartiere a rischio avvelenamento. E’ il tragico bilancio portato alla luce dall’inchiesta sull’Isochimica, l’azienda di Avellino dove negli anni ‘80 i lavoratori erano assunti per rimuovere a mani nude la fibra killer dai treni. Perché oltre allo scandalo Eternit in Italia ci sono ancora centinaia di siti da bonificare e migliaia di persone che rischiano di essere contaminate

La fabbrica della morte è chiusa da quasi trent’anni, ma continua ad uccidere. Il killer fantasma è nell’aria, ogni giorno gli abitanti di borgo Ferrovia, quartiere popolare di Avellino, respirano i veleni che arrivano da quel mostro chiamato “Isochimica”, l’opificio dove negli anni ‘80 venivano scoibentate le carrozze ferroviarie, quasi tremila in sei anni. Si lavorava a mani nude, senza mascherine, inconsapevoli dei pericoli. Almeno 20mila tonnellate di amianto sarebbero state sotterrate nel piazzale della fabbrica, altre scorie sono state chiuse in cubi di cemento oppure sistemate in sacchi neri e sversate nelle acque del fiume Sabato o addirittura nel mare della costiera amalfitana. L’hanno rivelato gli ex operai ai magistrati. “Ma mentre tutto ciò accadeva dov’erano i cittadini?”, si chiede il procuratore della Repubblica di Avellino, Rosario Cantelmo, che paragona l’Isochimica all’Eternit di Casale Monferrato, all’Ilva di Taranto a alla Thyssen Krupp.

 “Dovremo andare via da qui”, dice Gabriella Testa, alla guida del comitato di mamme di borgo Ferrovia che si battono per la bonifica del sito. L’Arpac, l’agenzia regionale per l’ambiente della Campania, ha accertato che ci sono 27 fibre di amianto per litro d’aria nella zona, stando alle raccomandazioni dell’OMS non ce ne dovrebbe essere nemmeno una. Il biologo Carlo Caramelli, garante del Tribunale per i diritti del malato, ha chiesto al prefetto di far evacuare il rione. “Perché Renzi non viene a visitare la scuola elementare che è a cento metri dalla fabbrica?”, ha chiesto polemicamente Carlo Sibilia, l’avellinese arrivato in Parlamento con il Movimento 5 Stelle. C’è già stato lo screening sui bambini della scuola, il pediatra dell’Asl di Avellino, Felice Nunziata, che ha guidato l’equipe per le analisi, ha ammesso: “Qui non farei vivere mio figlio, la bonifica è urgente”.

Ma è ancora tutto fermo: il Comune non ha i soldi, la Regione prende tempo. Eppure il procuratore Cantelmo, dopo aver messo sotto inchiesta il titolare dell’Isochimica, Elio Graziano, imprenditore protagonista negli anni ‘80 dello scandalo “lenzuola d’oro”, l’ex giunta comunale e perfino il curatore fallimentare, ha cercato di imprimere un’accelerazione nominando custodi giudiziari dell’impianto il sindaco, Paolo Foti, e il governatore regionale, Stefano Caldoro.

Dopo anni di omissioni e indifferenza almeno qualcosa si muove. Ma la svolta non c’è stata. Resta il conto dei morti, una lunga scia di lutti e dolore: l’amianto ha già ucciso 15 ex operai ed un lavoratore che con l’Isochimica non c’entrava nulla. Si chiamava Vittorio Esposito, lucidava i pavimenti della stazione ferroviaria dove si scoibentavano le carrozze ferroviarie direttamente sui binari evitando di portarle in fabbrica. Anche sua moglie, la vedova Rosetta Capobianco che lavava le tute del marito impregnate di amianto, si è ammalata ai polmoni, ma continua a battersi per il risanamento del quartiere. E ora da qualche mese la Procura indaga su altri 23 decessi, nuovi casi sospetti tra ex operai, familiari e cittadini di cui sono state sequestrate cartelle cliniche e certificati di morte.

Si fanno i conti. All’Isochimica lavoravano 333 operai, almeno 150 sono già risultati ammalati. “Ormai ci sentiamo dei morti che camminano”, confessa Carlo Sessa, uno degli ex operai che ha visto morire i compagni di lavoro: da tempo chiede inutilmente aiuto a tutti i partiti per la battaglia del prepensionamento degli ex dipendenti della fabbrica dei veleni. Ma la politica è rimasta ancora indifferente. E il futuro fa paura. Mario Polverino, direttore del polo pneumologico dell’ospedale “Scarlato” di Scafati, ha scoperto che gli 80 operai dell’Isochimica provenienti dal Salernitano sono stati tutti contaminati dalle fibre killer. “Il picco delle malattie derivanti dall’amianto si avrà intorno al 2020, quindi tutti gli ex operai e i cittadini sono a rischio”, conferma Polverino che ha paragonato l’Isochimica alla miniera di crocidolite, l’amianto blu, di Wittenoom Gorge nel Western Australia dove a distanza di 45 anni dall’esposizione, le persone che abitavano nei dintorni della cava continuavano ad ammalarsi e a morire fino a far diventare il villaggio una città fantasma. Ma Borgo Ferrovia ora vuole vivere. Anche se la lotta contro i veleni non è ancora finita.

C’è un’altra morte sospetta legata alla fabbrica dei veleni su cui indaga la Procura di Avellino. Lui si chiamava Vito Cotrufo: fu ucciso nel 1987 da un tumore ai polmoni, l’Isochimica era ancora in piena attività. Sarebbe stata chiusa solo due anni dopo dal pretore di Firenze, Beniamino Deidda che indagava sui morti delle grandi officine toscane dove le carrozze ferroviarie tornavano dalla fabbrica irpina, ripulite male dall’amianto.

Nelle carte della Procura di Avellino ci sono poi i nomi dei decessi più recenti: Umberto De Fabrizio, Vittorio Matarazzo, Luigi Maiello, Alberto Olivieri e altri dodici ex lavoratori Isochimica, stroncati da malattie all’apparato respiratorio causate dall’amianto.

Parallela a queste si è consumata poi la tragedia di Pasquale Soricelli, che nel 2011 dopo aver scoperto di essere affetto da una grave malattia per le fibre killer si tolse la vita. Una targa da qualche anno ricorda il sacrificio di questi lavoratori davanti alla fabbrica.

Chissà se oggi il titolare dell’Isochimica, l’ormai 82enne Elio Graziano, che sconta da condannato ai domiciliari le sue pene nell’abitazione di contrada Scrofeta alla periferia di Avellino, pensa mai al disastro che ha lasciato alle sue spalle. “Ho sempre solo fatto del bene”, ripete ancora oggi al suo avvocato, il penalista Alberico Villani. Tornerà un uomo libero solo il 19 ottobre del 2017, quando finirà il conto delle sentenze che l’hanno colpito per corruzione e omicidio colposo. Ma con lui la giustizia non ha ancora chiuso i conti.

Lo chiamavano “Papà Elio” perché lui, da presidente dell’Avellino ai tempi della serie A, elargiva con grande generosità, come un buon padre di famiglia, banconote da centomila lire a tifosi e operai che lo acclamavano. Era un imprenditore rampante Graziano, che dopo l’Isochimica aprì un altro stabilimento industriale a Fisciano (Salerno) per la produzione del detersivo “Dyal”, marchio che sponsorizzava le magliette dell’Avellino. Anche nel piazzale di quella fabbrica sarebbe stato smaltito l’amianto.

Il patron arrivava allo stadio “Partenio” in elicottero prima delle partite e prometteva premi favolosi ai calciatori. Da presidente portò l’Avellino guidato in panchina da Luis Vinicio a sfiorare la qualificazione all’allora Coppa UEFA, lanciando campioni che avrebbero fatto le fortune della Juventus come Tacconi, Favero e Vignola. L’anno dopo, nel campionato ‘87-’88, ci fu però la retrocessione in B e l’esplosione dello scandalo delle “lenzuola d’oro”, storia di mazzette pagate da Graziano ai vertici delle Ferrovie per le forniture di biancheria sui treni notturni. Vicenda che costò la poltrona all’allora presidente delle FS Ludovico Ligato.

Per l’industriale iniziò così la parabola discendente che non è ancora finita. Perché c’è anche lui tra i 24 iscritti nel registro degli indagati nell’inchiesta della Procura sulla morte di quanti sono stati uccisi dall’amianto dell’Isochimica.

Da http://bastamortesullavoro.blogspot.com

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