LAVORO SMART, VITE PRIGIONIERE?

Il ricatto che i lavoratori sono costretti ad accettare in silenzio è la cambiale in bianco nelle mani dei datori di lavoro e da almeno un ventennio rappresenta la sostanza di cui è fatta la produzione industriale e alimentare in Italia. Il picco del periodo pandemico che abbiamo vissuto lo conferma spudoratamente. Le misure anti-contagio messe in atto sono state nominali e lo hanno consentito le misure governative in ossequio alla sacralità del profitto privato. E nella “fase tre” questo principio illegale e anticostituzionale viene accelerato per permettere di recuperare i pochissimi profitti persi nei mesi lockdown, di conseguenza per i lavoratori significa un maggiore carico di lavoro, una minore sicurezza, delle minori garanzie scaricando sulle loro spalle la responsabilità di infortuni e morti che, come certifica l’Inail, non sono affatto diminuiti, evidente il ruolo criminale che hanno avuto le lobby degli imprenditori nel fare pressioni per evitare le zone rosse.

L’emergenza COVID-19 rappresenta un’opportunità epocale per il padronato? Pare, a vedere come le loro intenzioni sulla nuova forma di dipendenza lavorativa , lo “smart working” o “lavoro agile”, che prima dell’emergenza coinvolgeva una parte piccola del mondo dei lavori.

Come verrà gestita l’assenza di un orario di lavoro predefinito sottoporrà una lavoratrice e un lavoratore ad essere fagocitato da richieste continue che potrebbero vederlo impiegato, anche mentalmente h24, con relativo aumento dello stress correlato.

A difesa del tempo e dello stato psicofisico delle lavoratrici e dei lavoratori potrà bastare il “diritto alla disconnessione” previsto dall’articolo 19 della legge di riferimento che recita «i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro»?

Abbiamo molti dubbi – anzi, le nostre sono certezze – avendo presente i rapporti di forza, anche legislativi, oggi tutti a favore del datore di lavoro.

Quei rapporti che inficeranno, se il sindacato non farà orecchi da mercante anche le altre garanzie previste dalla stessa legge:

  • Diritto all’apprendimento continuo, – – parità di trattamento rispetto ai lavoratori al lavoro in sede,
  • salute e sicurezza sul lavoro,
  • tutela antinfortunistica.

Sono i dubbi già fatti presente da giuslavoristi come da sindacalisti, perchè sulla carta sembrerebbe una legislazione che fornisce una serie di garanzie al lavoratore ma si fanno presente anche di nuove forme di sfruttamento.

Ad esempio, da subito nella pubblica amministrazione, il nuovo regime è stato effettuato in barba agli obblighi informativi previsti dalla legge e la stessa Inail ha denunciato che è modello“ non esente da criticità con inevitabili impatti sulla salute e sicurezza“, guarda caso è stato immediatamente applicato anche nel lavoro privato.

E evidente che la singola lavoratrice e il singolo lavoratore non hanno nessuna forza, vedi conoscenza dell’organizzazione del lavoro determinata dal datore, per poter chiedere che le mansioni svolte siano in ottemperanza dei termini di la legge, e ciò costringerà il singolo dipendente a firmare qualunque accordo, anche quelli capestro.
Ecco perchè siamo perplessi sulla facoltà di esercitare il diritto alla disconnessione, a discapito della conciliazione tra tempi di lavoro e vita privata.

Ed ecco che ritornano in mente prepotemente, e rabbiosamente, le recenti modifiche normative che hanno reso ancora più debole che nel passato recente le lavoratrici e i lavoratori nei nel rapporto col datore di lavoro.
Stiamo parlando delle modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, in cui al licenziamento illegittimo seguiva, su sentenza del giudice, l’obbligo di reintegro. L’introduzione del cosiddetto “contratto a tutele crescenti”, ha esentato il datore di lavoro dall’obbligo, meno casi specifici.

E’ urgente pensare a come garantire i diritti con forme adeguate di agibilità sindacale perchè nella sua estensione coercitiva lo smart-working ha già mostrato il suo lato alienante, claustrofobico e di paradossale autosfruttamento. E’ urgente praticare connessione con il “nuovo mondo”.

A prescindere dalla sensazione di prigionia conseguente all’obbligo di stare chiusi in casa, nonostante si avrà l’impressione di avere: più tempo libero dal mancato tragitto verso i luoghi di lavoro e di un utilizzo dei, sperabili, tempi da disconnessione da offrire a se stesse/i o alle esigenze di famiglia. Sarà tutta da indagare nel tempo la mancanza quotidiana di relazioni stabilizzate (certemente non compensate dal cellulare), anche riferite a modalità di impegno sindacale e politico.

franco cilenti

Pubblicato sul numero di luglio del mensile Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org
ANCHE IN VERSIONE INTERATTIVA
www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-luglio-2020

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