LE AUTOSTRADE DELL’AMIANTO: PERCHÉ L’ITALIA PORTA L’ETERNIT IN GERMANIA? 

Sono passati più di venti anni dalla messa a bando dell’amianto, ma ancora oggi questa fibra killer è presente in più di 38.000 siti. I dati dell’INAIL parlano chiaro: nel 2013 116 scuole di ogni grado, 37 ospedali e case di cura, 86 uffici pubblici aspettavano di essere bonificati. Sono numeri sottostimati visto che alcune Regioni non hanno neanche iniziato la mappatura del proprio territorio. Ma una volta che finalmente viene smantellato, l’amianto dove va a finire?

COME VIENE SMALTITO

Prima di capirlo, bisogna sapere che esistono tre modi per renderlo inoffensivo: in discarica tramite interramento, in impianti dove vengono effettuati processi chimici o idrotermici e in quelli di litificazione, vetrificazione e ceramizzazione. Negli ultimi due casi l’amianto viene trasformato in un composto inerte che non può più sprigionare alcuna fibra, ma è un procedimento più costoso e lungo. In Italia l’unica tecnica utilizzata è quella della discarica che deve essere dotata di apposite celle dove sversare il materiale. Una volta depositato, nell’arco della stessa giornata viene ricoperto con uno strato di terreno di almeno 20 centimetri di spessore. L’amianto, essendo un minerale, sottoterra torna al suo stato naturale.

Esistono due tipi diversi di amianto: quello compatto e quello friabile. Alla prima categoria appartengono i manufatti in cui la fibra è presente solo al 10 per cento mentre il resto è cemento o vinile. Sono definiti friabili, invece, tutti i materiali che possono essere facilmente sbriciolati o ridotti in polvere con la semplice pressione delle dita e hanno al loro interno una percentuale di amianto anche del 95 per cento. Sono stati utilizzati per decenni per realizzare tubi, caldaie, frigoriferi e nel settore dei trasporti per la coibentazione di carrozze ferroviarie, navi e autobus. Quello friabile è molto pericoloso per l’uomo: in un centimetro si possono depositare 335.000 fibre che, se inalate, restano all’interno del nostro organismo anche per trenta-quarant’anni, causando tumori dell’apparato respiratorio come il mesotelioma.

DOVE VIENE SMALTITO L’AMIANTO

In Italia le discariche che smaltiscono amianto sono 19: otto al nord, sei al sud e cinque al centro. Otto Regioni non ne hanno neanche una e non prevedono di aprirne in futuro. Al contrario i centri di stoccaggio sono 553: sono dei luoghi di passaggio dove l’amianto viene portato prima della sua destinazione finale che è la discarica. Il dato allarmante è che nel nostro Paese è presente solo un impianto in grado di accogliere l’amianto più pericoloso, quello friabile, e si trova in Piemonte. Come afferma Alessia Angelini, ingegnere chimico della Regione Toscana “le discariche sono mal distribuite sul territorio nazionale. Anche la Sicilia o il Lazio devono smaltire questo materiale, ma per farlo sono costrette a portarlo all’estero o in altre Regioni”.

DESTINAZIONE: GERMANIA

Secondo l’INAIL il numero di discariche presenti in Italia non è sufficiente per gestire i rifiuti di amianto. Così vengono portati all’estero: nel 2013 il nostro Paese ha smaltito 221.502 tonnellate, mentre ne ha spedite 264.765 in Germania. Questo significa che ogni anno più di 6.000 camion contenenti ognuno 40 tonnellate di amianto, soprattutto friabile, attraversa la nostra Penisola per raggiungere la miniera salina di Stetten. Qui, oltre 250 tipologie di rifiuto vengono utilizzate per mettere in sicurezza le cavità che si formano in seguito all’attività estrattiva del sale. Secondo Legambiente l’80 per cento dell’amianto italiano finisce proprio lì. Piccole quantità sono smaltite anche in Francia, dove esistono impianti per l’inertizzazione dei rifiuti, e in Belgio. La Regione che esporta di più è la Lombardia con 112.889 tonnellate, seguita dal Veneto (66.632) e dall’Emilia Romagna (26.838).

PREZZI A CONFRONTO

Esportiamo il nostro amianto per un motivo: paradossalmente costa meno che smaltirlo in Italia. Anche in questo caso a parlare sono i dati: nel nostro Paese il prezzo medio di discarica, che comprende sia l’IVA che l’ecotassa, è di 260,5 euro a tonnellata. Ma in alcune Regioni il costo può raggiungere anche i 630 euro, come nel caso dell’Emilia Romagna, o i 438 euro, come in Basilicata. In Germania mediamente si spende dai 100 ai 110 euro a tonnellata. Per i bonificatori che esportano grandi quantità non c’è paragone. Per Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente “i pochi impianti che ci sono in Italia fanno cartello e tengono i prezzi alti. Se ci fossero più discariche, ci sarebbe più concorrenza e il costo diminuirebbe”.

Tra le decine di ditte che abbiamo contattato solo la Seal di Livorno ha voluto parlarci. Fino a qualche anno fa era un centro di stoccaggio. Nonostante la Toscana abbia quattro discariche, per il responsabile Paolo Guerrina era molto più conveniente portare i rifiuti all’estero: “In Germania spendevamo 50 euro a tonnellata, da noi anche 130 euro. Risparmiavamo sui costi di trasporto grazie ai camionisti tedeschi che venivano in Italia per portare merce varia. Al ritorno, una volta che il furgone era vuoto, caricavano i nostri rifiuti. La gestione era più complessa perché bisognava avere i permessi per attraversare più Paesi, ma il gioco valeva la candela” – continua Guerrina – “La maggior parte dei rifiuti era costituito da amianto friabile che veniva sigillato dentro più sacchi secondo la normativa vigente e non c’era alcun pericolo”. Secondo Angelini “a incidere sul costo in Italia è anche la tassazione molto alta. In Germania maggiore è la quantità da smaltire e più il prezzo scende perché scattano degli sconti. La soluzione sarebbe aprire siti di smaltimento che abbiano una utilità a prescindere. Come le miniere di sale tedesche”.

I COSTI PER I CITTADINI

A farne le spese sono i cittadini: “L’esportazione rende la bonifica molto più costosa. Se ci fosse un impianto per regione, si accorcerebbe la filiera dello smaltimento e si ridurrebbero i prezzi. Per togliere un metro quadrato e mezzo di tettoia, si arriva a pagare 750 euro” – spiega Ciafani – “e così alcuni decidono di non eliminare l’amianto dalle loro case anche se il manufatto è danneggiato e quindi pericoloso, mentre quelli che vogliono farlo sono tentati di buttarlo nel cassonetto o in una strada periferica di campagna”.

Non è un caso se con gli incentivi per installare pannelli solari, sono aumentate le persone che hanno smaltito amianto: “E’ bastato rimborsare le spese per installare gli impianti fotovoltaici perché molti italiani dicessero addio ai tetti contaminati” – continua Ciafani.

Dal 1992, anno in cui è stata vietata la produzione di amianto, poco è stato fatto per gestire la bonifica. Le discariche chiuse negli ultimi anni sono state 42, il doppio di quelle aperte. Le Regioni continuano a non investire in nuovi impianti, i prezzi restano alti e le ditte di stoccaggio preferiscono rivolgersi all’estero. Il risultato sono le migliaia di camion che ogni giorno attraversano l’Italia per trasportare i rifiuti contenenti amianto in Germania, generando un ulteriore inquinamento. Intanto di amianto si continua a morire: secondo l’Osservatorio Nazionale Amianto tra il 2020 e il 2025 si registreranno 5.000 decessi.

SEGNALAMIANTO

Da un anno e mezzo i cittadini possono segnalare tetti o strutture in amianto alla mailsegnalamianto@gmail.com. In un anno e mezzo sono arrivate oltre 200 segnalazioni che, a maggio, inoltreremo ai circoli di Legambiente diffusi su tutto il territorio nazionale.

Se volete inviarci una segnalazione abbiamo bisogno di:

–         indirizzo esatto dove si trova la struttura che intendete segnalare (compreso il numero civico);

–         fotografie (fondamentali per farci capire in che stato è l’amianto).

Anche se gradita, non è necessaria la firma. La segnalazione anonima è possibile, purché sia corredata dalle informazioni richieste.

Maria Gabriella Lanza

http://canali.kataweb.it/kataweb-consumi/

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