Le Patologie politiche del sud

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Da uomo del sud parlarne dopo quasi cinquant’anni di lontananza sarebbe difficile, comunque disinformato, se non avessi vissuto e letto i fatti della politica come un forte impegno quotidiano, quell’impegno iniziato proprio al sud da dove sono stato estirpato con le stesse dinamiche di oggi di espropriazione dei diritti, al lavoro prima ancora degli altri conseguenti. Diritti da sempre assenteisti.

L’espulsione dei giovani, laureati e non, come me, è continuata senza sosta alcuna e, come allora, una delle poche possibilità di permanenza nella propria terra è determinata dal clientelismo, non molto dissimile da quello della mia giovinezza, che porta a indossare il vestito di chierichetto di qualche notabile terriero o di qualche politico locale, a sua volta servo di qualcun’altro.

Oggi come allora quindi si sperimenta l’impossibilità quotidiana di avere regole, civili e costituzionali, che permettano di vivere senza la sopraffazione dei potentati economici, politici e di una diffusa criminalità organizzata che permae profondamente, a differenza del mio periodo, i cortili delle stesse istituzioni.

Certamente non serviva l’emergenza pandemica a svelare il deserto dei servizi pubblici, in primo luogo il disatroso stato della sanità al sud. Già cinquant’anni fa per un’ecografia, ad esempio, bisognava fare un centinaio di chilometri e oggi pare sia peggio con la chiusura negli ultimi decenni di ospedali e presidi territoriali.

Da 37 anni anni lo raccontiamo con le nostre inchieste e denunce da tutta Italia sullo smatellamento della sanità pubblica. Per l’ennesima volta lo certifica anche il Rapporto “Sud Italia 2020” di SMIVEZ (l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, pubblica ogni anno un rapporto sullo status economico del Mezzogiorno di Italia in base a studi e simulazioni dei dati dell’anno precedente) che con acutezza politica definisce il sud una “zona rossa, ancor prima della pandemia.

Cosa dice in sostanza il Rapporto? Solo nei primi vove mesi dell’anno scorso il sud ha subito una perdita di 280 mila posti di lavoro che vanno ad assommarsi ai quasi 300 mila persi con la crisi finanziara del 2008, con un totale che si somma ai milioni persi negli ultimi trent’anni e, come è noto, a farne le spese sono soprattutto giovani e donne, a loro volta soggette al emerginazione professionale e disparità salariale rispetto agli uomini. Ma non dimentichiamo che è ripresa da tempo l’emigrazione verso il nord Europa di intere famiglie rimamdando la memoria alla prima ondata degli anni 60 che spopolato il sud di energie.

Basterebbero solo questi dati a certificare il degrado economico e sociale, e la povertà di chi resta, che abbruttisce le stesse relazioni sottoposte all’apatia e all’indifferenza anche nei confronti delle ingiustizie e dell’arroganza ottocentesca delle possidenti terrieri oggi non più autonomi nel loro dominio ma, volenti o nolenti, strettamente connessi al malaffare in tutte le forme di sfruttamento e schiavista della manodopera indigenza e migrante.

Quell’apatia e indifferenza che non fa neanche più sperare in un futuro lavorativo e ancor prima a una scolarizzazione, se leggiamo i dati dell’induzione all’abbandono scolastico capiamo il destino assegnato al sud, ancora una volta, dall’Unità d’Italia ad oggi, a domani.

A riguardo, sempre il Rapporto Svimez, (certamente non un’Associazione di ricercatori e intelletuali comunisti) ci dice che: “ Nel mondo dell’istruzione, si vedeva già precedentemente alla crisi Covid una disparità in termini di infrastrutture e risorse pro-capite destinate all’istruzione e ai servizi assistenziali all’infanzia in generale (asili nidi per esempio)…… La percentuale di studenti di età compresa tra i 6 ai 17 anni provenienti da famiglie senza la disponibilità di dispositivi informatici sfiora il 34% al Sud rispetto al 18% del centro Nord e alla media nazionale del 26%.”.

Questi dati riferiscono di contesti familiari riconducibili alle fasce disagiate con un retroterra storicamente povere e amplifica la consapevole scelta classista di tutte le riforme della scuole degli ultimi tre decenni. Quindi è elementare dedurre che la politica dettata dai potentati economici ha deciso di continuare a dare al sud il ruolo di serbatoio di manodopera, megklio se ignorante, e di discarica di rifiuti, come dimostra, ad esempio, la Terra dei Fuochi in Campania. In questo stato di cose s’innesta l’elemosina prevista dai fondi della Next Geration EU e quindi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del governo Draghi che spruzza ipocrisia sulle disuguaglianze sociali nel mentre si regala la stragrande parte del Fondo al padronato che lo utilizzerà per aumentare lo sfruttamento delle risorse ambientali e umane del Meridione.

In questa cornice operano le tarme governatrici del nord, con la complicità dei moderni Podestà del centrosud, con le loro intenzioni autonomiste sostenute dagli ultimi governi. L’autarchia politica ed economica delle Regioni, propedeutica a questa politica assservita alle sfere parassitarie che dominano le scelte economiche e politiche (vedi le briciole destinate al sud nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza) vuole continuare a farci ammalare di patologie terminali ma, come la storia delle lotte al sud dimostra, ha nel sangue la ribellione per ridisegnare una carta dei propri diritti come vaccino contro le satrapie funzionali alla costruzione dell’impero nordeuropeo che ridisegni la carta geopolitica del continente con i confini determinati dalle fortezze alleate dalla Germania all’Emilia e Romagna con le corti del centro Italia a fare da cuscinetto respingente sul sud destinato a territorio confinante con la solitudine dell’estremo sud africano.

Franco Cilenti

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