L’eredità antimperialista di José Martí a 130 anni dalla sua caduta in combattimento
Stiamo commemorando il 130° anniversario della caduta di Martí in combattimento e, al di là delle effemeridi e delle cronologie, questa data ci richiama sempre a uno sguardo retrospettivo, a un contrasto tra allora e oggi. Pochi autori resistono alla prova di un secolo senza che i loro testi invecchino, in tutto o in parte. Nel caso di Marti, l’attualità è assoluta, soprattutto per quanto riguarda la sua visione degli Stati Uniti, dal momento che è stato senza dubbio il latinoamericano che meglio conosceva quel Paese nel suo tempo.
Da questa conoscenza profonda e diversificata, che gli permise di scavare nelle origini di quella nazione, scaturisce il suo antimperialismo. È un aspetto del suo pensiero che si distingue per la sua complessità e che non va visto solo da un punto di vista politico. Si basa su un ricco arazzo di esperienze di vita, di studio attento, di riflessione e di scrittura, che ha raggiunto l’apice nella produzione matura dell’eroe cubano, ma le cui origini risalgono a molti anni prima.
Fin da giovanissimo José Martí aveva notato le enormi differenze culturali tra anglosassoni e latinoamericani. Vale la pena di ricordare qui qualcosa che aveva percepito già nel 1879, durante la sua prima deportazione in Spagna, e che aveva registrato nel Quaderno n. 1:
Gli americani rimandano il sentimento all’utilità, noi rimandiamo il sentimento all’utilità. // E se c’è questa differenza di organizzazione, di vita, di essere, se loro vendessero mentre noi piangiamo, se noi sostituissimo la loro testa fredda e calcolatrice con la nostra testa immaginativa, e il loro cuore di cotone e di navi con un cuore così speciale, così sensibile, così nuovo che può essere chiamato solo cuore cubano, come volete che ci legiferiamo con le leggi con cui loro si legiferano? // Imitiamo. No! Copiamo, no! È americano, diciamo: crediamo, perché abbiamo bisogno di credere. La nostra vita non assomiglia alla loro, né dovrebbe assomigliare in molti punti. La sensibilità tra noi è molto veemente. L’intelligenza è meno positiva, i costumi sono più puri: come possiamo governare con leggi uguali due popoli diversi? Le leggi americane hanno dato al Nord un alto grado di prosperità e lo hanno portato anche al massimo grado di corruzione. L’hanno metallizzata per renderla prospera, e che la prosperità a tale costo sia dannata. [1]
Il frammento citato in extenso indica una delle costanti del pensiero di Martí, sempre presente nei suoi testi dedicati all’analisi dei problemi di quella che chiamava la Nostra America: mai copiare o imitare, sempre creare, a partire dalla conoscenza della propria essenza. E indica anche un’altra delle sue priorità: mettere in guardia, con tutti i mezzi possibili, dal pericolo del dominio culturale, economico e politico incarnato dagli Stati Uniti, che minaccia le repubbliche latinoamericane. Durante il suo lungo esilio a New York, concretizzò quest’opera di prevenzione nelle sue cronache per la stampa sudamericana, che realizzò in modo del tutto particolare con le armi del discorso letterario, mai con l’aperta censura, che poteva risultare sgradita ai lettori che ammiravano lo sviluppo economico americano e la democrazia rappresentativa.
Forse uno dei primi esempi di questo discorso di allerta[2] si trova nella sua cronaca “Coney Island”, pubblicata su La Pluma, Bogotà, nel dicembre 1881[3]. Tuttavia, la consapevolezza di questa presunta “superiorità” faceva nascere un’arroganza, un compiacimento nella propria autostima, che comportava un rischio per il resto delle nazioni, se non ancora esplicito, già latente, come ha notato l’astuto osservatore che scrive questo testo. Quello che negli ultimi anni di questo stesso decennio sarà dichiarato antimperialismo ha un significativo antecedente nella nota di dubbio, sfiducia e prevenzione che emerge nel paragrafo successivo:
Nello splendore umano nulla eguaglia la meravigliosa prosperità degli Stati Uniti d’America. Se in essi manchino o meno le radici profonde, se i legami del sacrificio e del dolore comune siano più duraturi nei popoli di quelli dell’interesse comune, se questa colossale nazione porti o meno nelle sue viscere elementi feroci e tremendi; se l’assenza dello spirito femminile, origine del senso artistico e complemento dell’essere nazionale, indurisca e corrompa il cuore di questo stupefacente popolo, spetta ai tempi dirlo. [4]
Il decennio degli anni ’80, soprattutto verso la fine, fu particolarmente faticoso per il cubano, se si può fare questa distinzione nella vita del fuorilegge, desideroso della libertà della sua isola e costantemente alla ricerca del bene della patria. Furono anni di lotta continua per perseguire i suoi obiettivi supremi, in una terra sconosciuta e con una lingua e una cultura che gli facevano sentire a ogni passo la sua condizione di straniero. Al suo recente arrivo a New York scrisse con una punta di ironia:
[…] Es curioso observar que siempre puedo entender a un inglés cuando me habla; pero entre los norteamericanos una palabra es un susurro; una frase, una conmoción eléctrica. Y si alguien me pregunta cómo puedo saber si un idioma que escribo tan mal, se habla mal, le diré francamente que es muy frecuente que los críticos hablen de lo que desconocen por completo.[5]
L’apparente leggerezza dei toni mal cela il dramma dell’emigrante, costretto a stabilirsi da quelle parti, e che d’ora in poi dovrà padroneggiare la lingua a tutti i costi, perché è un imperativo per la sopravvivenza e una garanzia per la realizzazione dei suoi progetti di emancipazione. Ecco perché sorprende chi studia la sua vita e la sua opera il fatto che sia stato in grado di concepire e scrivere in inglese la sua risposta alla campagna diffamatoria contro i cubani lanciata dal giornale di Filadelfia The Manufacturer, a cui fece eco il quotidiano di New York The Evening Post. La risposta di Martí fu pubblicata proprio sull’Evening Post, in una lettera a Edwin L. Godkin, il suo editore. Questo documento, pubblicato il 25 marzo 1889, è passato alla storia come la “Rivendicazione di Cuba”.
Nello stesso anno, di fronte alla crescente attività annessionista negli Stati Uniti, progettò di scrivere un giornale in inglese per diffondere le idee americaniste nella lingua della controparte. Ciò dimostra che era passato dalla difesa alla controffensiva, anche se non riuscì a realizzare questo desiderio per mancanza di risorse.
Tutte queste esperienze cementarono gradualmente la sua posizione ideologica antimperialista. È quasi ovvio che un testo come “La verdad sobre los Estados Unidos”[6], apparso sul giornale Patria il 23 marzo 1894, abbia un’importante area genetica nell’opera di Martí come cronista e nella sua esperienza di vita come esule negli Stati Uniti.
Potrebbe sembrare, dopo più di un decennio di permanenza nella grande città e dopo essersi inserito a pieno titolo tra le figure di spicco della cultura e della politica americana – non va dimenticato che fu anche console in Argentina, Paraguay e Uruguay e che come delegato di quest’ultimo Paese partecipò attivamente alla Conferenza monetaria del 1891, oltre ad avere accesso a molti spazi esclusivi come diplomatico – che Martí fosse già riuscito ad adattarsi pienamente alla nuova realtà. Niente di più sbagliato: egli non volle né cercò mai di assimilarsi. Una nota del 1894 ne è una dolorosa testimonianza:
La frase del cameriere del “Murray Hill Hotel”.
-Conosce un signore sudamericano molto alto che mangia qui da un mese?
-Non lo so. Vanno e vengono. E lo sguardo di disprezzo e il gesto di “Lascia stare l’Imperatore” che accompagnarono la risposta! Negli Stati Uniti si vive come un pugile. Questa gente parla e sembra che si metta il pugno sotto gli occhi”[7]
Ciò fa supporre quanto Martí si sforzasse quotidianamente di superare la barriera linguistica e le idiosincrasie anglosassoni. Ciò testimonia anche la forza morale di un uomo che rimase fedele ai suoi principi, sviluppò un pensiero proprio di forte originalità, rinnovò la propria lingua come veicolo di espressione poetica e rafforzò il suo antimperialismo e la sua vocazione di servizio alla Nostra America.
La sua caduta in combattimento il 19 maggio 1895 non fu un atto isolato di eroismo a favore dell’indipendenza cubana; fu soprattutto l’espressione più completa della sua coerenza tra predicazione e azione. Morì anche per perseguire il suo ideale della nostra America e delle Indie Occidentali, in una guerra che non mirava solo a liberare due isole, ma anche a riequilibrare il mondo. Teniamo presente questa eredità e mettiamola in pratica in ogni modo possibile nelle complesse circostanze del nostro tempo. Ci aiuterà a comprendere molti problemi contemporanei, rimanendo intatta la sua vocazione etica, patriottica e universale.
Note:
[1] José Martí. “Cuaderno de apuntes n. 1”. In Obras completas, editorial de Ciencias Sociales, L’Avana, 1975, t. 21, p. 15-16. (di seguito, OC).
[2] Con questo termine si intende la messa in scena di un insieme di risorse espressive, che vanno dall’uso di determinati segni di punteggiatura all’uso consapevole di parole accuratamente scelte per sfruttare al massimo tutte le loro possibilità semantiche; alla costruzione grammaticale delle frasi, insistendo, a seconda dei casi, su un certo tipo di frase e non su altre, anche fattibili, ma non adeguate all’intenzionalità ideologica sottostante; all’introduzione di immagini poetiche e di forme narrative e descrittive che assumono la forma della suspense e della sorpresa per offrire, infine, la verità illuminante. La realizzazione pratica di questo discorso di allerta non è dovuta al caso, né è solo frutto di un’intuizione. Crediamo che sia il risultato di una strategia comunicativa consapevole e ben ponderata, volta a mettere in guardia i nostri Paesi dal pericolo imperialista. Cfr. Marlene Vázquez Pérez: “Las Escenas norteamericanas de José Martí: su calidad polifónica”, in Cuadernos Americanos, Mexico, n. 125 (2008), pp. 117-130.
[3] Hebert Pérez Concepción ha segnalato l’esistenza di esempi precedenti, come il Cuaderno de Apuntes del periodo spagnolo, altre idee contenute in opere apparse sulla Revista Universal in Messico e le “Impresiones de América”, apparse in inglese su The Hour tra luglio e ottobre 1880. Tuttavia, lo studioso insiste, perché questo è l’interesse della sua analisi, su questioni puramente ideo-tematiche, non su aspetti espressivi. È per le sue peculiarità in questo senso che abbiamo scelto “Coney Island”. Vedi: Hebert Pérez Concepción: “José Martí, storico degli Stati Uniti, prevede il loro straripamento imperialista. Un avvertimento alla nostra America. “ In: José Martí. En los Estados Unidos. Periodismo de 1881- 1892. p. 2099-2101.
Da parte sua, Angel Rama ha affermato: “Dal 1880 al 1895, Martí visse nella permanente ‘agonia’ dell’imminenza dell’attacco imperialista, gridandolo in tutti i modi possibili, moltiplicandosi per allertare i Paesi a sud del Rio Bravo”. Cfr. Angel Rama. “La dialettica della modernità in José Martí”, in Estudios martianos, San Juan, Porto Rico, 1974; pp. 142-144.
José Martí. “Coney Island”. OC, t. 9, pp. 123- 128, OC, edizione critica, t. 9, pp. 133-138.
[4] José Martí. OC, vol. 9, p. 123.
[5] José Martí. “Impresiones de América por un español recién llegado”. OC, vol. 19; p. 125 e OC. Edizione critica, vol. 7, p. 150.
[6] Cfr. OC, vol. 28; p. 290-294.
[7] José Martí. Cuaderno de apuntes n. 18. OC, vol. 21, p. 399.
19/5/2025 https://italiacuba.it/










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