L’eredità di Marx negli Stati uniti

Andrew Hartman parla del suo libro «Karl Marx in America»: la storia della ricezione del filosofo tedesco, i quattro momenti chiave della sua esplosione e l’utilizzo che la sinistra statunitense ne può fare ancora oggi

Si ritiene spesso che la teoria marxista sia fondamentalmente estranea alla storia degli Stati uniti. Ma quando un promemoria dell’Office of Management and Budget di Donald Trump afferma che le risorse federali vengono sprecate per promuovere «l’equità marxista», è impossibile negare che Karl Marx incomba sulla vita politica americana. Che sia un faro o un fantasma, Marx, il cui 207° compleanno è stato il 5 maggio, ha avuto un impatto significativo sugli Stati uniti negli ultimi due secoli.

Nel suo libro Karl Marx in America, Andrew Hartman, professore di storia all’Illinois State University, ripercorre la vita e il lascito di Marx negli Usa, dalla sua estesa corrispondenza con le truppe dell’Unione durante la Guerra civile alle rivolte operaie di ispirazione marxista del XX secolo, fino all’attuale metafora di destra del «marxismo culturale». Hartman esplora la reciprocità del rapporto di Marx con l’organizzazione politica e la vita intellettuale americana, illustrando non solo come abbia plasmato la politica statunitense, ma anche come uno studio attento della realtà statunitense abbia approfondito la comprensione di Marx della libertà umana.

Cal Turner e Sara Van Horn hanno discusso per Jacobin con Hartman su come la storia degli Stati uniti abbia plasmato il pensiero di Marx, sul motivo per cui liberali e conservatori continuano a usare Marx come capro espiatorio e del modo in cui le sue idee stanno riscuotendo di nuovo un grande successo.

Perché questo libro è importante? Quali sono le narrazioni dominanti sul rapporto di Marx con gli Stati uniti e quali narrazioni sono carenti di fatti storici?

C’è un’idea dominante secondo cui Karl Marx e gli Usa non possono stare insieme: che Karl Marx non possa dirci nulla sulla storia degli Stati uniti, e che la storia degli Stati uniti non possa dirci nulla su Karl Marx. Prima di iniziare questa ricerca, sapevo che quest’idea era sbagliata, ma più ricerche facevo, più me ne rendevo conto. Voglio dimostrare invece che Marx può aiutarci a dare un senso alla storia, alla politica, all’economia e al presente degli Stati uniti. Ho scoperto che chiunque abbia avuto un ruolo nella storia americana dopo di lui – intellettuali, attivisti sindacali, politici, scrittori e cittadini americani comuni – aveva letto Marx, riflettuto su Marx, scritto su Marx o cercato di metterlo in pratica. Il numero di personaggi del mio libro è cresciuto costantemente. Mettere insieme Marx e la storia degli Usa rivela qualcosa di importante su entrambi.

Quali sono i principali punti di svolta nella storia degli Stati uniti riguardo all’atteggiamento nei confronti di Marx?

Ci sono stati quattro periodi nella storia degli Usa in cui molti americani hanno letto Marx con favore. Il primo è la prima Gilded Age (l’età dell’oro tra i 1870 e il 1900), quando si assiste all’emergere di partiti socialisti di massa e di partiti laburisti radicali.

Il secondo periodo sono gli anni Trenta del Novecento, che videro la peggiore crisi mai attraversata dal capitalismo: la Grande depressione. In certi periodi di quel decennio, i tassi di disoccupazione raggiunsero il 30%. Ed è il periodo in cui non solo nasce il Partito comunista ma anche numerose ramificazioni del movimento comunista. La gente pensava, sia a livello nazionale che internazionale, attraverso una lente marxista.

Il terzo boom attorno a Marx si è avuto negli anni Sessanta. Questo potrebbe sorprendere, perché l’economia statunitense non è mai andata così bene come in quel periodo e c’era un’ampia fascia di persone, soprattutto bianchi, che apparteneva alla classe media. Ma grazie al movimento per i diritti civili e a un crescente movimento di sinistra che si opponeva alla guerra in Vietnam, oltre ai teorici della sinistra, molte persone in quegli anni leggevano Marx.

Il quarto boom di Marx si sta verificando proprio ora, dopo la crisi finanziaria del 2008, Occupy Wall Street e le campagne elettorali di Bernie Sanders. C’è stata un’ondata di persone che leggono Marx, scrivono libri su Marx, partecipano a gruppi di lettura marxisti e scaricano le lezioni di David Harvey sul Capitale. È difficile sapere dove andrà tutto questo interesse, ma in tutte le altre epoche in cui le persone hanno letto Marx, c’è stato un modo particolare in cui la sinistra ha contribuito a cambiare la storia.

Ci sono aspetti dell’influenza di Marx sulla storia degli Stati uniti che ritieni possano sorprendere i lettori?

Marx trascorse dieci anni della sua vita scrivendo per il New York Tribune. Negli anni Cinquanta dell’Ottocento, fu la sua principale fonte di reddito, oltre alle donazioni di Friedrich Engels. Scrisse oltre cinquecento articoli per il Tribune, che all’epoca era il quotidiano più letto al mondo, con 200.000 abbonati. Il Tribune era la Bibbia del nascente movimento repubblicano e del Partito repubblicano. Tutti gli abolizionisti avevano letto la visione di Marx sulla politica europea.

Marx scrisse ampiamente anche sulla Guerra civile. Molti fuggiti dall’Europa dopo le rivoluzioni del 1848 si stabilirono negli Stati uniti. Mentre Marx sbarcava a Londra, molti dei suoi amici più cari finirono nell’esercito dell’Unione. Erano ferventi abolizionisti e credevano che l’Unione avrebbe vinto la guerra solo se avesse incentrato la lotta sull’abolizionismo. Molti di loro combattevano sul fronte occidentale lungo il Mississippi, e Marx intratteneva una corrispondenza con loro. Se leggete i suoi scritti sulla guerra, sono piuttosto acuti. Sono coerenti con molta della storiografia recente, in quanto fortemente antischiavisti e radicati nell’idea che Abraham Lincoln doveva combattere la Confederazione e che se la guerra fosse stata per l’abolizione (della schiavitù), l’Unione avrebbe facilmente vinto.

Ho scoperto che la profonda attenzione di Marx alla Guerra civile americana – alla condizione del lavoro schiavistico e al modo in cui gli schiavi negli Stati uniti si unirono allo sforzo bellico – convinse pienamente Marx che uno degli aspetti chiave del capitalismo non fosse solo il profitto derivante dallo sfruttamento del lavoratore, ma che la libertà richiedesse che gli esseri umani avessero il controllo sul proprio corpo, sul proprio tempo e sul proprio lavoro. Da Marx si ricava il significato di uno spettro di lavoro che andava dal lavoro libero a quello schiavistico, e che quello che i Repubblicani chiamavano «lavoro libero» non era lavoro schiavistico, ma non era nemmeno completamente libero. Perché gli esseri umani fossero completamente liberi, la classe operaia avrebbe dovuto rovesciare il capitalismo.

Sebbene Marx avesse da tempo compreso che il capitalismo era disumanizzante per il lavoratore, e sebbene Marx e molti altri in Europa e negli Stati uniti avessero da tempo paragonato il lavoro salariato al lavoro degli schiavi, uno studio approfondito della schiavitù negli Usa e, ancor di più, il riconoscimento dei rischi che gli schiavi americani correvano per liberarsi da quell’odioso regime lavorativo resero le loro teorie più concrete che mai.

Marx fu ispirato dagli schiavi che, quando abbandonarono i loro attrezzi e fuggirono dalle piantagioni verso le linee dell’Unione durante la Guerra civile, intrapresero quello che W.B.E. Du Bois descrisse in seguito come uno sciopero generale. Fu ispirato dagli abolizionisti e dai combattenti per la libertà antischiavista che imbracciarono le armi nell’esercito americano, tra cui molti dei suoi ex compagni, i tedeschi del ’48 , e anche molti ex schiavi. Fu ispirato anche dagli operai inglesi che sostenevano le cause sindacali e antischiaviste anche quando minacciavano i loro stessi interessi, una vera dimostrazione di solidarietà internazionale della classe operaia. In breve, la Guerra civile americana contribuì a trasformare la teoria del lavoro di Marx in prassi.

In quale altro punto gli Stati uniti entrarono a far parte dell’analisi di Marx?

Il giovane Marx lesse una serie di resoconti di viaggio scritti da europei giunti negli Stati uniti. Leggendoli, iniziò a pensare che il socialismo sarebbe arrivato prima negli Usa, perché lì tutti i bianchi, compresi i lavoratori poveri, avevano diritto di voto. Se la classe operaia aveva il potere di votare, perché non votare il socialismo, che le avrebbe dato più potere?

Sebbene Marx non abbia mai dissentito da questa premessa originale, più studiava gli Stati uniti, più si rendeva conto che la democrazia negli Usa era molto limitata. A causa del potere del capitale, non si estendeva alla vita della maggior parte della classe operaia. Quest’idea ha sempre influenzato la sua opera: la democrazia politica era borghese, nel senso che offriva una parvenza di libertà, ma finché i lavoratori non avessero avuto il controllo sul proprio tempo e sul proprio lavoro, non avrebbero mai sperimentato veramente la democrazia nella sua accezione più completa.

Lei scrive che nella politica americana sono emerse tre distinte versioni di Marx. Può illustrarcele?

La versione più incisiva di Marx nella politica statunitense è incentrata sulla sua idea che non possiamo essere liberi come esseri umani se non abbiamo il controllo sul nostro lavoro. Questo è un nucleo fondamentale di Marx, riscontrabile in molti dei suoi scritti, ma in particolare nel capitolo sulla giornata lavorativa de Il Capitale, pubblicato in forma di opuscolo e diffuso tra i socialisti e i sindacalisti radicali del XIX secolo.

Quell’idea ha profondamente influenzato i movimenti sindacali americani tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. La si vede riemergere in vari momenti, ad esempio negli anni Trenta, durante la Grande depressione. È stata anche fondamentale per la ricezione di Marx dopo la recessione del 2008.

La seconda versione è il Marx ibrido. Dalla Guerra civile in poi, molti americani hanno letto Marx favorevolmente, considerandolo qualcuno da cui imparare, ma che spesso viene visto attraverso altre lenti: una lente cristiana, da sempre estremamente diffusa negli Stati uniti, o una lente femminista, o una lente nazionalista nera, o ancora la lente del populismo.

Ci fu un momento negli anni Trenta in cui molti stimati filosofi americani leggevano intensamente Marx, considerandolo un modo per migliorare il mondo attraverso il pragmatismo, che è probabilmente una delle più importanti tradizioni filosofiche americane. Dagli anni Settanta in poi, c’è stato un momento in cui molte persone hanno combinato Marx con le tradizioni indigene. Gli Stati uniti sono un paese così vasto e diversificato, e quasi in ogni momento si vedono americani cercare di fondere Marx con altre tradizioni politiche.

La terza versione è quella degli americani che leggono Marx seriamente perché sono antimarxisti. Molti lo fanno: libertari, alcuni anarchici, comunitaristi, ma soprattutto liberali e conservatori. Quando l’egemonia liberale era al suo apice, all’inizio della Guerra fredda, non si trovava un intellettuale liberale che non leggesse Marx come modo per inventare una tradizione politica liberale americana. Non potevano inventare questa tradizione politica senza confutare Marx, perché Marx era stato così importante per il discorso intellettuale.

Poi c’erano i conservatori che hanno sempre parlato di Marx, pur non leggendolo sempre. Alcuni degli intellettuali conservatori più attenti hanno preso sul serio i suoi scritti. Altri lo usano solo come un demone stereotipato, cosa incredibilmente comune al giorno d’oggi. Ma questi conservatori hanno letto e scritto di Marx non per confutarlo – quella era una conclusione scontata – ma piuttosto perché sono interessati a dimostrare che liberalismo e marxismo sono strettamente intrecciati e che il problema del liberalismo è la sua stretta vicinanza al marxismo.

Potrebbe dirci di più di Marx come capro espiatorio sia per i progressisti che per i conservatori americani? Ad esempio, l’utilizzo da parte della destra della bufala del marxismo culturale?

Una cosa che spero il libro chiarisca è che non c’è nulla di nuovo. Gli storici classificano i periodi della storia americana caratterizzati da un anticomunismo profondamente irrazionale come «Paura rossa». La prima Paura rossa segue immediatamente la Prima guerra mondiale e la Rivoluzione bolscevica. Durante quel periodo, migliaia di persone furono deportate – il che suona molto familiare. Poteva trattarsi di immigrati, ma furono deportati anche per le loro convinzioni politiche: la loro appartenenza al socialismo, al comunismo, al marxismo o all’anarchismo, la più famosa delle quali fu Emma Goldman. Altre migliaia furono rastrellate e incarcerate. Alcune furono linciate o giustiziate dai vigilantes. Molte persone hanno giustamente paura dell’attuale momento politico, ma non è una novità.

Ciò che gli storici chiamano la seconda Paura rossa – il maccartismo  all’inizio della Guerra fredda – si verificò su scala più ampia. Decine, forse centinaia di migliaia di persone persero il lavoro. Molti finirono in prigione se si sospettava che fossero stati membri del Partito comunista o avessero avuto legami con il comunismo. Migliaia di dipendenti federali persero il lavoro perché erano gay, proprio perché a quel punto non si poteva più uscire allo scoperto e avere un lavoro. Così, i piccoli burocrati che lavoravano nel governo federale guardavano qualcuno e dicevano: «Quello è un bersaglio facile da ricattare». Marx è sempre associato a queste Paure rosse.

Stiamo ora vivendo qualcosa di simile. Negli ultimi vent’anni, tutto ciò che la destra odia, come la teoria critica della razza, è etichettato come marxista, anche se non lo è. Il Green New Deal è etichettato come marxista, anche se è essenzialmente un progetto socialdemocratico. La lista potrebbe continuare all’infinito, ed è peggiorata a tal punto che persino Trump stesso parla costantemente di marxisti. Parla dei burocrati marxisti DEI [diversità, equità e inclusione] all’università.

Tra la destra è diffusa l’idea che essere marxisti significhi essere antiamericani. Questo può portare a molte forme diverse di repressione politica non solo contro i marxisti, ma contro chiunque possa in qualche modo essere etichettato come tale.

Lei scrive che attualmente viviamo in un «boom marxista». Cosa significa? Ci sono insegnamenti specifici da Marx o da altri marxisti che potrebbero essere utili?

È una domanda da un miliardo di dollari. All’epoca di Occupy Wall Street, molti giovani stavano sviluppando quello che era noto come socialismo millenarista – compresi coloro che crearono Jacobin – e che si interessarono di nuovo a come Marx potesse spiegare il mondo attuale e aiutarci a superare l’inferno neoliberista e a raggiungere un futuro migliore. Alcune di queste idee politiche nacquero dalla campagna di Bernie Sanders.

C’è un interesse continuo per Marx. Probabilmente ho letto quindici libri su Marx pubblicati nell’ultimo decennio, e se c’è un tema in questi libri, quel tema è la libertà. Negli Stati uniti stiamo tornando a questo nucleo originario di Marx, risalendo alla Guerra civile, ovvero che dover lavorare per vivere nel capitalismo contemporaneo – che non è poi così dissimile dal capitalismo di fine Ottocento – è un’esistenza profondamente alienante e di profondo sfruttamento per la maggior parte delle persone. E sembra solo peggiorare. È davvero difficile affermare di essere persone libere, di prosperare e di esprimere appieno il nostro potenziale in questo contesto.

Molte persone si volgono verso Marx per capire cosa ci rende non liberi nel capitalismo. E una risposta collaudata in merito ai nostri obiettivi è l’organizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici. Il sindacato del mio corpo docente si è finalmente formato due anni fa, abbiamo un contratto e, grazie a questo, ora abbiamo molto più potere e autonomia sulla nostra vita lavorativa. Questo è solo un punto di partenza. Milioni di persone devono trovare questi punti di partenza da cui lavorare.


Andrew Hartman è professore di storia all’Illinois State University. È autore di A War for the Soul of America: A History of the Culture Wars , Education and the Cold War: The Battle for the American School e Karl Marx in America.

Cal Turner è uno scrittore che vive a Philadelphia. Sara Van Horn è una scrittrice che vive a Serra Grande, in Brasile. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

21/5/2025 https://jacobinitalia.it

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