L’Italia è una macchietta

La notizia non è che l’imbarazzante campagna da 9 milioni di euro, per rilanciare l’immagine turistica italiana, sia una bruttarella, piena zeppa di stereotipi e sta facendo ridere il mondo. E nemmeno che hanno disegnato una Venere del Botticelli come fosse una Chiara Ferragni minore, mentre azzanna una pizza, fa cose, vede gente, veste alla marinara, ammicca all’obiettivo, si fa seguire dai suoi followers e in lontananza si sente pure il mandolino. Neanche che svolazzi sull’inglese in salsa amatriciana con un pucciosissimo “Open to meraviglia”. Forse nemmeno il fatto che sembri una operazione in brutta copia destinata a seguire pari pari i passi della pessima Verybello, non fosse altro per la potenza del claim stile “The pen is on the table”.

Penso che tutto si risolva sul fatto che di meglio le istituzioni di questo Paese, sul piano culturale, non sanno e non possono fare. La paccottiglia è la cifra del loro pensiero che, per nostra sfortuna, è un pensiero egemonico nel Paese.

D’altra parte, se vivi, prosperi, vai in tv, fai carriera e agisci all’ombra del luogo comune, di quel conformismo che rappresenta lo scudo contro tutto e tutti, questo è il risultato logico. Non è neanche male, direi, come risultato. È coerente con la bruttezza e la banalità del tempo, con il modo di fare dei media, della politica, della pubblicità, con la mancanza di pensiero critico di fronte all’avanzare brutto, retorico, incivile di una società che si veste di slogan ottusi, che si mette la parola meritocrazia all’occhiello per meglio difendere principi, anche classisti, della mediocrità al potere.

Non mi sorprende il fatto che il nostro patrimonio culturale sia considerato poco più che una location dove far convention con i bicchieri di plastica. La profondità dello sguardo, che garantisce pensiero indipendente, sembra fuori moda, figuriamoci ogni idea di spiritualità, di cura e amore per la bellezza e per la vita. Oggi lo schermo piatto dei sentimenti, dei livori e delle dimenticanze ci guida per mano verso una mentalità assurda in cui l’ignoranza arrogante si declina plasticamente in tutte le sue forme, costruendo un immaginario mediocre.

Lavoro con i giovani. Per scelta, per amore, perché detesto i luoghi comuni che ci impediscono di pensare a un mondo diverso, a un mondo più giusto, quindi migliore.

Anche quest’anno, nelle aule dell’università ho incontrato teste libere, creative, ragazze e ragazzi in grado di essere sovversivi, di sognare un finale diverso da quello che sembra sempre, inesorabilmente, già scritto. Non tutti, ovvio. Ci sono anche i piccoli tasselli di un mosaico già disegnato che si muovono e agiscono con lo stesso stile arrogante e piatto dei padri, degli zii. Ma quelli creativi, potenzialmente liberi, sono davvero forti. E spero per loro in un futuro diverso da quello banale che viene proposto, diverso da quello studio di obbedienza e accettazione che viene inculcato. E che, alla fine dei conti – Open to meraviglia, pliss – con una montagna di soldi e possibilità riesce sempre e solamente a partorire il topolino del conformismo.

In un libero e vero concorso di idee immagino che sarebbero venute fuori proposte geniali. Perché i nostri ragazzi ancora ne hanno. E non vorrei ammuffissero nell’attesa o nella triste anticamera al servizio dei guru che amano solo gli schiavetti che sanno fare la “ola” alle loro idee imbarazzanti che tanto piacciono alla classe dirigente.

Sostiene il barbiere anarchico che l’Italia, così come viene narrata nella milionaria produzione governativa, è una macchietta. E dopo una pausa studiata aggiunge: in effetti così è, quindi si tratta di una visione da cinema neorealista del terzo millennio.

Conclude citando una filosofa sarda di nome Bastiana: oggi Debord scriverebbe ‘La società dello spettacolino’.

Risata amara e constatazione del fatto che è tutto molto triste.

Antonio Cipriani

23/4/2023 https://www.remocontro.it/

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