Medici senza camice, la rivoluzione che non corre in corsia. Sono un gruppo informale di attivisti della salute. Si tratta di salvare la vita delle persone, partendo da quest’ultime e non dal bisturi. > Una cultura fuori dal sistema dato dalle gerarchie sociali, e acculturato dagli interessi di profitto delle case farmaceutiche. Una sperimentazione che può diventare comunità scientifica e influenzare i percorsi universitari dei medici e degli infermieri?

“Alzate le mani, agitatele in aria, a destra e sinistra, bene! Bravi, adesso allungatele in avanti e mettetele sulle spalle della persona che avete seduta davanti, cominciando a massaggiarla. Così sono nati degli amori”. Il contesto è quello dell’Auditorium Santa Croce, nome altisonante che prende un po’ in giro il potere. Si tratta di ciò che resta dell’ex sede Inpdap, di via Santa Croce in Gerusalemme, adesso occupata dal movimento romano Action. Il grande stabile, abbandonato dall’aprile 2012, è da circa un anno la sede di iniziative culturali, politiche, artistiche, ma soprattutto è la risposta all’emergenza abitativa, una risposta dal basso, che passa per un atto illegale, come quello di occupare, ma nel concreto si ricongiunge alle regole del mondo dove ogni persona dovrebbe avere un tetto sotto la testa.

Nello stabile che ospita circa 500 persone senza casa, ci vivono italiani, senegalesi, romeni, un miscuglio di idiomi, culture, esperienze. Una fetta di società racchiusa in un piccolo mondo che si contamina, a vicenda. È un giorno di dibattito fra politici, Onlus, artisti che si alternano al microfono dell’auditorium, presentando il loro punto di vista, il loro modo di stare in questo mondo nel mondo, che è l’occupazione di Santa Croce, ci sono loro ovvero I Medici senza camice, che del politichese non ne sanno proprio nulla e quando Alessandro Rinaldi prende l’intervento chiedendo al pubblico di agitare le mani in aria e massaggiare la persona seduta davanti, la platea, fra imbarazzo e divertimento, è ipnotizzata ma comincia a seguire il discorso con più attenzione.

Alessandro spiega che il sapere medico, così come lo conosciamo noi, ha una grandissima pecca: quella di non considerare tanti aspetti del paziente soprattutto il vissuto. Per lui, come per i suoi colleghi, è importante avere informazioni sulla vita della persona che stanno per curare, per dimostrare ciò che sostiene. Mostra una radiografia e chiede se da quella riusciamo a capire l’esistenza che vi è dietro una lastra. Fa presente che per esempio dare la tachipirina a una persona con la febbre che si trovi a dormire all’aperto, perché per esempio straniero senza un posto dove dormire, perché senza fissa dimora, non basta a curarlo.

“Io la tachipirina – continua Alessandro – la posso dare per abbassare la febbre ma la diagnosi non è verificare l’alterazione che alza la temperatura corporea. La diagnosi è capire che la febbre gli è venuta perché ha dormito all’aperto e magari non ha mangiato. La diagnosi deve indagare sulle condizioni di vita del paziente,determinanti sociali di salute, in questo caso la diagnosi è che non ha una casa, non che abbia la febbre che è una conseguenza del fatto di non avere una casa”.

“Al re la corona, al poliziotto la pistola, al giudice la toga e il martello, al medico il camice”. Il camice rappresenta simbolicamente il ruolo codificato e lo strumento del potere medico: perché mai dei giovani medici vogliono toglierselo? L’esperienza di un gruppo informale di attivisti per la salute. Così si sono definiti nella prefazione del libro edito dalla casa editrice Sensibili alle Foglie dal titolo “Medici senza camice. Pazienti senza pigiama”. 

Cosa fate nel concreto?
Come gruppo siamo nati durante gli studi universitari. L’esigenza di formare un gruppo è nata dal bisogno di completare il nostro percorso di studi con tematiche che non venivano e non vengono affrontate nelle facoltà di Medicina e Chirurgia. Queste tematiche sono principalmente i determinanti sociali di salute e le diseguaglianze in salute, i rapporti tra i processi di globalizzazione e la salute dei popoli a livello mondiale, la relazione medico-paziente. Tutti questi argomenti guidano le pratiche del nostro gruppo. Fino a oggi ci siamo preoccupati soprattutto di contribuire a integrare la formazione degli studenti e delle studentesse in medicina organizzando corsi di formazione e partecipando a diversi dibattiti accademici e non per cambiare la formazione e la cultura medica. Per determinati sociali di salute si intendono tutti quei fattori sociali, come istruzione, occupazione, reddito, abitazione, lavoro, che influenzando la posizione sociale delle persone ne condizionavano anche in maniera diseguale la salute. La probabilità di ammalarsi di qualunque malattia non è frutto del caso ma segue uno specifico gradiente sociale, le persone che vivono nelle fasce sociali più svantaggiate hanno maggiori possibilità di ammalarsi. Noi crediamo che sia diretto compito del medico e della medicina evidenziare il ruolo patogeno delle condizioni sociali e coinvolgere le persone e altre figure professionali al loro cambiamento.

Il vostro legame con i migranti?
Tra gli argomenti affrontati dal nostro gruppo c’è anche la tematica della “medicina delle migrazioni” che si occupa di indagare le condizioni di salute dei migranti e di tutelare il loro diritto alla salute. Insieme ad altre realtà, molto più auterevoli di noi in questo campo (come la Simm- Società Italiana Medicina delle Migrazioni), ci occupiamo di diffondere, attraverso dei corsi di formazione, alcune informazioni essenziali per ridurre gli stereotipi esistenti su questa tematica all’interno della classe medica e della società in generale. Alcuni di noi sono singolarmente impegnati nell’assistenza sanitaria alle persone straniere ma come gruppo nell’insieme non ci siamo mai occupati, fino ad ora, di fornire assistenza sanitaria alle persone straniere.

Come siete arrivati all’occupazione di Santa Croce?
Dallo scorso anno abbiamo deciso di dedicarci non solo alla formazione universitaria ma di provare ad incontrare le diverse realtà esistenti sul territorio e provare a condividere con loro la nostra esperienza e le nostre riflessioni sul tema della salute. Così siamo entrati in contatto con l’associazione A Sud e abbiamo collaborato per un progetto di promozione della salute a Civitavecchia. Scopo del progetto coinvolgere attivamente la comunità sulle questioni riguardanti il ricatto salute/vita-lavoro e inquinamento ambientale. Approfondendo la collaborazione siamo arrivati a conoscere la realtà di Santa Croce e ora stiamo provando a costruire qualcosa tutti e tutte insieme.

Se l’ordine dei medici si interroga se rivedere la formula del codice deontologico, per esempio la rivisitazione del giuramento di Ippocrate, se in questi giorni i test per l’accesso alla facoltà di Medicina sono finiti scandalo sui giornali, quindi da rifare, ci sono loro dei medici, che fanno una piccola rivoluzione: si levano il camice entrano nel vivo della mission che ogni medico dovrebbe avere, cioè salvare vite umane. Non si tratta di mettere la firma sotto l’operazione chirurgica d’avanguardia e magari avere una pubblicazione. Qui si tratta di salvare la vita delle persone partendo dalle persone e non dal bisturi.

Cristina Volpe Rinonapoli

3/11/2014 www.globalist.it

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