MOLESTIE E VIOLENZA DI GENERE SUL LAVORO

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Dall’analisi ISTAT riferita agli ambiti lavorativi emerge che 1 milione 173mila donne (7,5%) hanno subito ricatti sessuali sul luogo di lavoro per ottenere l’assunzione e la sicurezza del posto, o per un promesso avanzamento di carriera a prescindere dalle competenze.
I ricatti sessuali sul lavoro rappresentano una delle poche tragiche certezze, oltre la precarietà e le brutali condizioni di lavoro, in luce il legame tra violenza di genere e la riorganizzazione schiavista delle forme del lavoro negli ultimi tre decenni in termini di erosione di diritti e tutele contrattuali, smantellamento del welfare universale sostituito da quello aziendale che costringe all’ubbidienza verso il datore di lavoro.

Anche se i dati dicono che negli ultimi vent’anni risultano in costante diminuzione non potendo conteggiare le mancate denunce delle donne che lo ritengono inutile stante l’idea maschilista, anche in tanti giudici, che le molestie e gli stupri, in fin dei conti, è sempre colpa delle donne: ‘te la sei cercata’, o ‘non hai reagito quindi eri consenziente’, o ancora “sei poco vestita e provochi”, fino a “quei jeans erano troppo stretti per permettere una violenza sessuale”, per finire con l’ipocrita giustificazione “è stata lei a farmi delle avances”.

Oppure, come recita una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 32462 della terza sezione penale) per cui se una ragazza ubriaca viene violentata, il molestatore non avrà aggravanti, come se fosse normale approfittare ed abusare di chi è momentaneamente incapace di intendere e di volere.
Il senso di isolamento e solitudine nel dover frequentare in condizione di subordinazione e dipendenza economica, accresce il rischio di non essere credute, di essere allontanate, quindi di essere stigmatizzate o colpevolizzate.
Il “mobbing” è violenza sessista perchè ha l’effetto di provocare nella vittima disturbi psicofisici anche gravi derivanti dalla convinzione che il luogo di lavoro è territorio del potere di un sesso contro l’altro, sia quando è l’imprenditore o un dirigente (“mobbing verticale”) o un collega di pari livello (“mobbing orizzontale”) con i loro strumenti di pressione nei confronti della vittima designata.
Diventa un vissuto fatto di mobbing con emarginazione imposta dal contesto ma anche, e spesso, di autoemarginazione come scelta di difesa “fai da te”

Forse oggi a tanti potrà sembrare anacronistico parlare di questo tema dato che tutte e tutti sono sono costretti a lavorare con l’ignavia dei dirigenti e dei datori per avere anche le elementari nella pandemia. In questo stato di cose risulta anche offensiva la vagheggiata declinazione del compito di un datore di lavoro dettata dalla normativa di legge: “capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori che operano al suo interno”.

Altra vittima predestinata di questo sistema produttivo che delega al datore di lavoro la podestà di ogni aspetto della vita lavoratova è l’altro strumento legislativo, di fatto archiviato nelle relazioni sindacali con le aziende, ci riferiamo al codice delle pari opportunità (art. 26 D.Lgs 11/4/2006, n. 198 ):
“ 1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

L’ISTAT nel 2019 ha dichiarato che seppure il 69,6% delle vittime di molestie sessuali sul lavoro abbia considerato “molto” o “abbastanza” grave il ricatto subito, nell’80,9% dei casi non ne hanno parlato con nessuno sul posto di lavoro e in pochissimi casi i fatti sono stati denunciati alle forze dell’ordine.
Anche le forme di sfruttamento delle donne nei luoghi di lavoro, sempre più viscide e silenziate dalla ristrutturazione iperliberista in atto dai primi anni 80, oggi anche facilitata dalla pandemia, rendono urgente, una vera emergenza di civiltà, la ripresa del movimento sindacale per il controllo sulle condizioni e le gerarchie di lavoro. Quelle gerarchie di sopraffazione con ricadute ritenute conseguenti nella mentalità maschilista, anche, di diretti approcci sessuali, sono state quasi “istituzionalizzate” con il mantra della meritocrazia, imposta negli ultimi due decenni, che ha funzionato come il principio di “Divide et impera” nelle unità operative, scatenando la corsa, in chiaroscuro, alla posizione più gratificante dal punto di vista della posizione di carriera e salariale.

Una campagna foraggiata dai media come un progresso di produttività e qualità nelle relazioni aziendali fino a farla diventare una materia di contrattazione sindacale ben sostenuta, in parallelo all’insegnamento del raffreddamento dei conflitti (con appositi corsi fatti da alcuni sindacati confederali), nei fatti diventando un implicito invito anche alle lavoratrici molestate di restare in silenzio. Le performance prodotte hanno beffato competenze e qualità del lavoro, però con il grande risultato di peggiorare la vita negli gli ambienti di lavoro alimentando deleteria concorrenza tra simili.

Bisogna ora riparare urgentemente a queste storture nelle relazioni con i datori di lavoro riprendendo il percorso di contrattazione sull’organizzazione del lavoro, iniziando dai settori in cui si registrano percentuali più alte di molestie e aggressioni verbali e fisiche come nel commercio, nei servizi, nella sanità, e anche nel lavoro domestico e di cura.

Altra urgenza riguarda il ripristino, da parte dei sindacati confederali, della titolarità dei RLS (Rappresentati dei Lavoratori per la Sicurezza) nell’applicazione del D.lgs. 81/2008 su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro che, per quanto riguarda le lavoratrici soggette a sopraffazione, all’art. 28 colloca fra i rischi quelli connessi alle differenze di genere. Una titolarità restituita che contempli una nuova composizione di genere, per facilitare l’uscita dal silenzio imposto dalle gerarchie, dando riferimenti più diretti alle donne nel mondo dei lavori sottoposti alla violenza del precariato.

Franco Cilenti

Pubblicato nel numero di febbraio del mensile Lavoro e Salute

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