monologo di un etilista

Antonio Recanatini

Romeo si allacciò a quelle parole, ribadendo un concetto a lui caro “vedi professò, la cultura è un limite,  voi pensate apra la mente. Io non guardo il mondo attraverso i libri. Voi non sapete dividere  la realtà dalle vostre convinzioni.  Ti faccio un esempio, non si può chiedere a uno come me di rispettare Krusciov, ma voi intellettuali ci provate sempre. Non voglio entrare nel  merito, non sono un colto, ma è proprio la cultura a  mischiare  le carte in tavola, a cambiare gli eventi, a dare altri esempi.  Sono stati quelli come te a dipingere i signori Carlo Magno, Napoleone, Cesare come grandi condottieri. Quelli come me non l’avrebbero fatto, anzi io li chiamerei Grandi Bastardi, forse perché non ho una laurea. Mi dispiace, ma io non stimo i professori, tranne te, perché sei un ubriacone come me-.

Renato apportò un sorriso goffo alla discussione, conosceva quel tipo di accuse, erano sempre le stesse.  “Non saprei cosa dirti, Romeo. Quelli come me volevano cambiare il mondo. Ci abbiamo provato, almeno”.  Romeo scosse il capo e si ricollegò  alla storia  “no, voi non eravate comunisti, ma solo un branco di  soldatini mandati in giro a creare disordini e terrore”. La difesa a oltranza non sarebbe bastata con Romeo, la rabbia del proletariato sfociava nel disinteresse verso qualsiasi opposizione, opinione, principio, giudicati  sempre troppo morbidi, troppo soft  direbbero oggi.

Nel bar entrarono cinque ragazzi ben vestiti. Il più grande ordinò una bottiglia di whisky. Il maestro scolò il bicchiere e l’amico immaginario, Massimo,  ne approfittò per colpirlo a tradimento “nessuno crede più a nulla, caro maestro. Sei solo un alcolizzato depresso, come buona parte degli italiani”.

Renato ricominciò a ridere, con una nota da urlare “italiani? Guardali, ordinano il whisky, magari odiano il vino, odiano il ragù, odiano la pasta all’uovo. Neanche sanno d’essere italiani, si sentono europei, ma poi si urtano se la squadra del cuore mette troppi stranieri in campo. Non pensano alle aziende italiane vendute al mercato globale, non pensano alle pubblicità ridicole. Non sanno cos’è la lotta. Da bambino, quando passavo davanti alla sezione del PCI del mio quartiere, vedevo le sedie volare, le bestemmie si moltiplicavano, le parolacce non sfiguravano mai. Ancora c’era qualcuno pronto a battersi, oggi è tutto un po’ naif, improvvisato, non ci sono punti di riferimento e tutto passa attraverso il disordine morale. E’ complicato, quasi impossibile amare una patria così squallida. Ormai l’Italia è un paese per  ricchi, per falsari e mentecatti di ogni tipo.  I diritti vengono calpestati nel silenzio, è diventata mercanzia da svendere ai padroni. Questi ragazzi lo ignorano, sono tutti coinvolti nella competizione, ognuno a nome proprio-.  Massimo non lo accusò quella volta, anzi aggiunse  parole sensate  “io concepisco solo una distinzione, povero e ricco, proletariato e borghesia, tutto il resto è nulla, neanche lo considero. A me non interessano le tendenze sessuali, il colore della pelle, la divisione tra uomo e donna, le dinamiche delle varie generazioni-. Renato annuì, ribadendo antichi principi “dovremmo creare una divisione, un confine tra noi e loro. Servirebbe un esercito al servizio della gente, un esercito pronto a sfregiare i capitalisti. Servirebbe l’uomo e io non lo vedo-.

Il giorno finì in fretta, il maestro uscì da quel posto barcollando e conversò con un lampione “ma che t’illumini tu! Qui dovremmo stare al buio per anni, almeno qualcuno inventerebbe un altro modo per fare luce”. Lo vide Sandra, la donna della notte, truccata e scoperta, con il seno a vista e una proposta chiara  –andiamo Professore, la porto a casa mia. Faccio pure nu belle Caffè e un massaggio come piace a lei. Lei non sta bene-. “Accettare o non accettare potrebbe essere un dilemma per chi è sobrio e io non lo sono, cara Sandra”. Rispose il maestro

La donna della notte, lo prese sottobraccio e lo accompagnò fino alla portiera, con una raccomandazione “Professore, dovete stare attento, non state molto in forma. Fate piano piano”. Renato salì in macchina con l’aiuto di Sandra  e, insieme, sparirono nel buio.

Arrivati sotto casa di lei, il maestro le chiese “ma perché fai la prostituta? Sei un bella donna, potresti fare altro, senza alcun problema”.  Sandra scese dall’auto e, volontariamente o  involontariamente, si scoprirono le gambe. Sorrise, vedendo il suo stupore, e poi diede una risposta, difficile da capire per uno come lui “sempre domande inutile, Professò! Domande di chi non conosce le donne. A me piace che lei, un maestro,  sbavi a vedere le mie gambe. Io faccio questo lavoro, perché mi piace. Tu credi ancora alle donne sfruttate?-

Renato, molto turbato, scese e tappò quella bocca sediziosa   “parla per te, magari di chi conosci bene, ma non puoi parlare per tutte. Non mi sembra giusto”. Sandra si liberò in un attimo e lo intimidì, con poche parole “il problema sono gli uomini che per un pelo,  venderebbero la mamma. Tu, forse no, per questo attiri, solo perché mi slacci la voglia di corrompere sessualmente”. Renato la seguì, ripetendo più volte a se stesso “stasera ci riuscirò, questa la devo mettere sotto, mi fa sangue! ”

Antonio Recanatini

Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti.

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di aprile del periodico www.lavoroesalute.org

> Prima parte n. 3 – giugno 2015  > Seconda nel n. 4 – settembre 2015  > Terza nel n. 5 – novembre 2015  > Quarta nel n. 1 gennaio 2016

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