Monologo di un etilista.

Antonio Recanatini
seconda  parte
Renato amava uscire quando il sole si consegnava alla notte,  evitava il clamore della luce diurna, considerava scarna e troppo banale la vita sotto i riflettori, infatti ripeteva spesso “quelli che incontri di notte non sono diversi da te, il giorno puoi incappare in persone sbagliate”.  Ormai conosceva solo il percorso di cento metri  che lo divideva dal bar e forse,  nel suo vivere,  non aveva tutti i torti nel ripetersi lo stesso ritornello.
La sera seguente uscì di casa, persuaso dalle  belle immagini suggerite dai nudi di donna  sfiorati  nel suo passato, nel suo antico essere… Denise, Romina, Cinzia, Michela eccetera eccetera. Godeva nel ripassare i loro beni. Ebbe un sussulto quando vide più gente del solito davanti  al bar, si fermò poco prima e riflettè, per poi  dar  spazio al vociare della  mente “ah, già è sabato, l’ora d’aria concessa agli schiavi del mondo nuovo… domani conteremo i danni e le ferite, banda di idioti!”
S’intrufolò silenziosamente, convinto di passare inosservato e, forse, ci sarebbe riuscito se non si fosse scontrato con Giusi “Oh, ciao! Volevo raggiungere il mio posto non mi aspettavo fosse occupato da te”.  Giusi rappresentava il sogno proibito di Renato, lei con quel lato b prosperoso e quell’avvenenza capace di paralizzarlo al minimo impatto, quella sera bastò uno sguardo e due parole “volevo che un gentiluomo mi offrisse da bere, so che siede sempre qua!”
L’ex maestro non aveva più lo smalto di un tempo, a malapena mostrò un sorriso per poter osare il miglior benvenuto “Ma prego Giusi,  per me è un piacere!”
Un’occhiata a Daniele che servì subito la bottiglia di rosso e due bicchieri, non senza una battuta “Renato, son contento che sei in compagnia”. Egli  allargò le braccia, l’unica risposta chiara che conosceva. Giusi lo conosceva bene, non temeva quell’omino,  strappato a forza dalle pene dell’inferno,  tentò una mediazione, sebbene il barista fosse già tornato dietro al banco “non ti viene niente da dire? Ti ha detto che è contento per te, mi è sembrata una persona sincera”.
Renato versò da bere,  non gli interessava dover chiarire i suoi modi, non riteneva di dover spiegazioni a nessuno, già  sopportare Massimo, il suo amico immaginario, era un peso gravoso sulla coscienza. La donna vissuta, con qualche chilo in più e i capelli legati, replicò aggiungendo un altro disappunto “sembra che la vita non ti sfiori più di tanto…”
A quel punto la voce di Renato si fece più cupa “la vita? Sai, i cattolici dicono che sia un dono di dio, spesso mi chiedo in quale evento ha ritenuto che meritassi questo regalo?  Forse perché quindici anni dopo la seconda guerra mondiale,  già erano morti tutti i comunisti di questo paese. Probabilmente un prete mi risponderebbe così, non credi?-
Giusi la prese a ridere “non so neanche di cosa parli, ti capisci solo tu, ti succede anche quando fai l’amore… lo sai?”  Seguì un silenzio pesante,  intanto   Romeo, come ogni sera,  seguitava a entrare e uscire dal bar, dopo un colpo di wisky diretto al fegato, la gente intorno intonava un brusio simile a quello delle stazioni piccole,  quando  i pendolari, accompagnati  dalle mogli,  attendono il treno.
Sebbene contrariato, il suo amico immaginario non si voltò, allorché il maestro ritenne doveroso difendersi “hai ragione,  Giusi; come amante sono una schiappa, tu invece ti senti l’amante perfetta? Credo sia molto più facile fare l’amante per una donna, io devo sostenere quest’intruso tra le gambe e credimi non è così facile”.
Tra una chiacchiera e l’altra, Daniele servì la seconda bottiglia, Giusi s’era già sbottonata la camicia e pareva sommersa da altri patemi, allora Massimo colse nel segno “ormai non sei più capace di avere rapporti con le donne, dopo tua moglie ne  hai  cambiate tante e nessuno è rimasta con te. Sei destinato a morire solo come un cane!-.
Renato lo spinse con forza e prese a scalciarlo da sotto il tavolo, ma cadde  la sedia, mentre continuava a colpire l’aria.
Succedeva spesso, lo conoscevano in molti e chi non lo conosceva,  lo ignorava come s’ignorano gli ultimi.  La mano esausta di Giusi l’accarezzò, avrebbe voluto medicare le sue ferite, purtroppo l’offesa era entrata in circolazione nelle rughe dei ricordi “si, lo so, i perdenti come me devono perire di noia, perché ci sono quelli come te che vincono sempre, vincono a priori, invece sai che ti dico -meglio una vita di fallimenti, sacrifici e pentimenti, che una vita da ruffiano e servo. Almeno avrò vissuto di sogni e momenti intensi, i ruffiani come te vivono di riflesso, ridono perché possono contare sulle catastrofi altrui. Io ci ho sempre provato, ho sempre provato a costruire un nuovo regno, una nuova realtà, però non è mai andata.
Sono finiti i tempi della passione e dell’incanto, tu chi credi di essere? Il buon samaritano o un altro ubriacone come me, che  crede d’essere diverso perhè ha  la moglie a casa?  Non ho paura della morte, non mi è mai  fregato nulla di morire. Volevo un mare immenso dove portare i bimbi, avrei voluto si realizzasse il sogno, il comunismo in ogni parte del pianeta e voglio morire con questa illusione.
Non ho tempo per sentire i problemi dei divi e dei vincenti, non  ho più tempo ormai. Io non ho tempo per fermarmi ad ascoltare  anatemi razzisti contro gli extra comunitari, li  derubiamo da sempre e adesso ci scandalizziamo perché vengono qui…  invece, a me fa schifo questa società avanzata, che sfrutta uomini e donne, poi la domenica si confessa in chiesa… Dio non è roba per poveri… –
La notte scende e la platea si ritira,  Romeo prende l’ultimo drink e scappa via,  mentre Giusi  tira fuori dal locale il maestro ubriaco e, pian piano, raggiungono casa.
Antonio Recanatini
Poeta, scrittore.
La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti.
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Terza parte del racconto sul prossimo numero di Lavoro e Salute

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