Nicoletta e Luca scrivono dal carcere durante il Coronavirus

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Care Compagne e Compagni,
sta per iniziare un’ordinaria settimana di coronavirus. Per chi è in carcere sono giorni più pesanti che mai.
Cresce l’impressione di sentirsi in trappola, costretti ad aspettare immobili un male che, da un momento
all’altro, ci può saltare addosso.
La tempesta di comunicati sul virus ci cala in testa dall’alto, dalle TV accese in tutte le celle. Le
statistiche dei contagiati, dei morti, la corsa affannosa per tappare i buchi di una sanità pubblica da
decenni volutamente falcidiata fanno da controcanto al tamburo del cuore che tra queste sbarre batte il
ritmo dell’ineluttabile.
Qui dentro non c’è prevenzione reale. Anzi, le cosidette “misure preventive” non hanno avuto altro
risultato che peggiorare disagio ed isolamento. Niente colloqui con i parenti; niente pacchi, nè portati nè
spediti; sospese tutte le attività scolastiche e culturali; nessuna possibile attività di supplenza via internet,
dal momento che in carcere non c’è accesso a strumenti informatici. Anche le cose più semplici come
lavare gli indumenti personali qui dentro diventano un’impresa: da settimane la lavatrice a gettoni non è
utilizzabile; l’unica alternativa è farsi il bucato nella doccia comune, dove gli scarichi funzionano male e
si è costretti a lavorare con i piedi immersi nell’acqua.
Se qualcosa è cambiato, lo è in peggio, come il rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità,
acquistabili soltanto allo spaccio interno.
E veniamo alle presunte “misure igieniche” per prevenire il virus: per noi si limitano ad un bicchierino di
sapone liquido ed una mezza bottiglietta di disinfettante per ogni cella (ci sono vietati i disinfettanti quali
candeggina, alcool, ammoniaca). Quanto alle cosiddette mascherine, sono obbligatorie per gli avvocati,
ma ne sono totalmente sprovvisti gli agenti (che pure vanno e vengono dall’esterno). Insomma… “io
speriamo che me la cavo…”.
Il dato più incontrovertibile e preoccupante è il sovraffollamento del carcere con la presenza di bambini,
detenuti anziani e malati cronici: come nel resto del Paese anche alle Vallette si vive in una specie di
polveriera, che deflagherarà al primo colpito dal morbo.
La speranza di tutti è un qualche provvedimento che permetta la scarcerazione.
Giorni fa è comparso nelle sezioni un avviso in merito, parallelamente alla distribuzione di una “brochure
informativa su misure alternative alla detenzione”, in realtà vecchia già di un anno. Il comunicato precisa
che “si è costituita una commissione” per vagliare le domande alle misure alternative (ma le condizioni
sono quelle già in vigore…). L’unica cosa chiara del comunicato è che al momento sono sopesi per i
detenuti tutti i permessi di uscita dal carcere…del resto il Ministro di “ingiustizia” l’ha dichiarato: niente
svuotacarceri, indulti, amnistie; tranquilli “uomini d’ordine”.
Inomma, l’ordinario rigore non muta, anzi peggiora in un clima di preoccupante irrazionalità: ci sentiamo
più che mai espropriati di noi stessi ed in balia di chi “ci controlla”.
Mentre scrivo mi arriva il rumore dell’ennesima battitura alle inferriate….tra poco saranno alla mia
cella…
Poche sere fa qui tirava un’aria particolarmente di minaccia: aumento della vigilanza in sezione; ronde
potenziate ai camminamenti sulle mura; autoblindo nei cortili; il ronzio dell’elicottero sopra il carcere.
Tutta questa militarizzazione per “fronteggiare” un preannunciato (e non avvenuto) “saluto dei parenti e
solidali”.
Mentre scrivo, mi giungono dalla TV immagini dalle città nell’epidemia: strade deserte, ma un tripudio di
balconi con famiglie affacciate, canti e inni che si inseguono da casa a casa…sventolio di drappi e di
bandiere. Su tutte il tricolore, lo stesso che un paracadutista dell’esercito fa sventolare, mentre plana verso
terra appeso al suo paracadute.
Anche qui in carcere, ieri, una detenuta proponeva un’applauso collettivo al mondo fuori, in nome della
“patria che resiste”. Ma la sua proposta non ha avuto successo. Quell’inno e quella bandiera non li
sentiamo nostri: la fratellanza è una cosa seria, che non si confà all’indifferenza che dall’esterno sentiamo
per il nostro destino di “figli di un dio minore”.
Quanto al tricolore, è lo stesso che, insiema al vessillo UE, staziona all’ingresso del carcere e che viene
esibito ogni giorno sulle divise dei nostri carcerieri. Non ci appartiene.
Nicoletta.

Nicoletta

Le Vallette, 17 marzo 2020

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Pochi giorni fa ci è stata comunicata la sospensione di permessi e licenze (per capire: è possibile trascorrere 3/4 giorni al mese a casa, previa richiesta e accettazione del magistrato di Sorveglianza) fino ad inizio aprile; e poi chissà… Inoltre sono stati limitati gli orari di uscita e rientro al solo tempo e percorso necessario per lavorare. In molti ora non lavorano a causa delle chiusure di varie attività commerciali, e rimangono tutto il giorno chiusi in sezione. Io attualmente esco tutti i giorni alle 6,30 e rientro alle 20, facendo gli spostamenti con mezzi propri (con costi notevoli) vista la limitazione di treni e autobus e il restringimento dell’orario di uscita. D’altro canto ho il “privilegio” di potermi muovermi sulle strade deserte della val di Susa e ammirare il clima da coprifuoco vigente. L’urgenza di provvedimenti, volti ad evitare contatti ed assembramenti di persone, imposta con rapida progressione sul territorio nazionale sembra viaggiare con altre velocità e modalità nell’assurdo e disumano mondo carcerario.

Nella sezione dove risiedo vige un notevole affollamento e promiscuità; per capire meglio elenco alcuni dati: sul piano dove vivo siamo in circa 40 persone in 8/9 stanze con tre bagni in comune, nella mia stanza siamo in 5 in 20 metri quadri con i letti distanti 80 centimetri fra loro. È spuntata ieri qualche mascherina qua e là tra le guardie e anche fra i detenuti, ma non esistono indicazioni e prescrizioni sanitarie; rilevano, nella guardiola di ingresso, la temperatura corporea di chi entra.

C’è da dire che, in maniera semi ufficiale, è stata fatta trapelare la possibilità di attenuazioni della misura carceraria a cui siamo sottoposti, previo esame, caso per caso, del Tribunale di sorveglianza. Abbiamo quindi provveduto, tutti quanti, a compilare i moduli chiedendo l’affidamento in prova o la concessione di arresti domiciliari, a seconda delle varie situazioni. Capiremo nei prossimi giorni quali sono le reali volontà dietro a questa opzione, e quanto non sia un tentativo di prendere tempo e allentare la tensione.

Vorrei sbagliarmi, ma sembra di fatto che stia sfumando, o quasi, la possibilità di provvedimenti generalizzati e l’applicazione di reali misure di prevenzione per la diffusione del virus. Vedremo che succede nel momento in cui potrà verificarsi un focolaio di contagio nelle carceri italiani. Potrebbe ingenerarsi un panico diffuso con le conseguenze che esso comporterebbe. Peraltro, il governo centrale, nella persona del ministro Bonafede, si sta rivelando del tutto inadeguato ad affrontare questa situazione e stiamo ancora aspettando che si faccia piena luce sui 14 morti (!) tra i carcerati durante le rivolte dei giorni scorsi. L’unica certezza è che sono volate abbondanti bastonate per punire i rivoltosi.

Non lasciamo cadere l’attenzione su questa vicenda. Amnistia e indulto sono provvedimenti, anche se non risolutivi, da caldeggiare e considerare come passi necessari per ripensare al sistema carcerario nel suo complesso. Sto seguendo con attenzione gli sviluppi e proverò ad aggiornare nel caso di novità. Ricordiamoci che, oltre all’amica e compagna Nicoletta, nel penitenziario di Torino ci sono circa 1500 detenuti.

Luca Abbà, semilibero NO TAV

domenica 15 marzo 2020

www.notav.info

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