Nuovo Ddl sicurezza: Governo Meloni all’assalto della democrazia

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto sicurezza (Ddl 1660), che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Le norme del provvedimento (che recepisce tutti i rilievi emersi nell’interlocuzione con il Colle, ma che non ne modificano l’impianto finale), entrano in vigore, segnando una svolta storica nella gestione del dissenso e del conflitto sociale nel Paese.

Si tratta di un testo fortemente repressivo, che introduce 13 nuovi reati e prevede un inasprimento delle pene per azioni legate alle lotte sociali e politiche.

Con queste nuove norme, il dissenso viene trattato come una minaccia da criminalizzare, minando i principi fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia.

Il nuovo Ddl Sicurezza: criminalizzazione del conflitto sociale

Il Ddl 1660, attraverso i suoi 13 nuovi reati, attacca frontalmente il dissenso, colpendo movimenti che spaziano dalle lotte operaie a quelle ambientaliste, fino ai movimenti sociali che si battono per i diritti dei migranti e dei detenuti. Questo provvedimento risponde a una logica esclusivamente repressiva, tipica di un clima politico dominato dalla paura e dal controllo sociale. Le misure colpiscono duramente chi si organizza per protestare contro la delocalizzazione delle imprese, chi partecipa a picchetti o scioperi, e chi sostiene occupazioni abitative e cause ambientali.

Il quadro repressivo tracciato rispecchia l’approccio securitario della destra italiana, che vede nelle manifestazioni di dissenso una minaccia all’ordine pubblico da soffocare. Ricordiamo che l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), alla lettura della prima bozza, aveva commentato così: “la maggior parte di queste disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto”.

Una svolta verso lo stato di polizia

Il Ddl introduce misure che, per gravità e portata, possono essere considerate una svolta senza precedenti. Tra gli articoli più preoccupanti spiccano:

Art. 1, che punisce con pene fino a 6 anni chiunque sia trovato in possesso o diffonda materiale legato alla preparazione di armi o sostanze pericolose, con il rischio che questa disposizione venga strumentalizzata per colpire chi partecipa a manifestazioni di protesta.

Art. 7, che prevede la revoca della cittadinanza italiana per chi venga condannato per terrorismo o eversione entro 10 anni dalla sentenza, rafforzando un approccio punitivo che colpisce anche i diritti civili.

Art. 8, che introduce l’articolo 634 bis del codice penale, punendo con pene da 2 a 7 anni chiunque occupi immobili destinati a domicilio altrui. La norma colpisce direttamente i movimenti per il diritto all’abitare, equiparando l’occupazione di case da parte dei senza tetto a crimini gravi.

Art. 10, che dà al questore il potere di allontanare un cittadino da una determinata area urbana per un massimo di 48 ore, una disposizione che potrebbe essere utilizzata per reprimere le manifestazioni sindacali e politiche.

Art. 11, che ripristina la sanzione penale per il blocco stradale, punendo chiunque partecipi a un blocco con pene che vanno da 6 mesi a 2 anni di reclusione, colpendo così scioperi e proteste pacifiche.

Norme contro le minoranze e i movimenti sociali

Il Ddl introduce anche norme che colpiscono specificamente le minoranze e i gruppi più vulnerabili. L’Art. 12 rimuove l’obbligo per il giudice di rinviare la pena se la condannata è incinta o madre di un bambino di età inferiore a un anno, una disposizione che potrebbe portare in carcere madri con i loro figli. L’Art. 13, invece, inasprisce le pene per chi organizza o incoraggia l’accattonaggio, mirato principalmente alle comunità Rom.

Altre misure come l’Art. 20, che autorizza agenti di polizia a portare armi anche fuori servizio, e l’Art. 15, che introduce la procedura d’ufficio per le lesioni lievi ai danni di poliziotti, completano un quadro normativo che amplia enormemente i poteri delle forze dell’ordine, con il rischio di abusi.

Demonizzazione del dissenso

Le lotte operaie, i movimenti ambientalisti e i movimenti sociali vengono trattati alla stregua di organizzazioni criminali. Il Ddl, infatti, considera il dissenso come un problema da eliminare con mezzi legali e punitivi, invece di un’espressione legittima di partecipazione democratica. La criminalizzazione di questi movimenti, come denunciato anche dall’Osce, può avere conseguenze devastanti sul tessuto sociale del Paese.

Questo disegno di legge sembra rispondere più alla necessità di rassicurare un elettorato in preda alla paura e all’incertezza, alimentata da campagne mediatiche che dipingono il dissenso come un attacco alla sicurezza pubblica. Le occupazioni abitative vengono presentate come un racket, le lotte ambientaliste come un pericolo per i beni culturali, e gli scioperi come una minaccia al diritto di lavorare, quando in realtà rappresentano la voce di chi lotta per i propri diritti.

Un futuro inquietante per le libertà democratiche

Il Ddl 1660 segna un pericoloso passo verso l’instaurazione di un vero e proprio stato di polizia, in cui la repressione del conflitto sociale e delle lotte democratiche diventa la norma. In un periodo storico caratterizzato da crescenti disuguaglianze economiche e sociali, questa legge rappresenta un ulteriore colpo alla libertà di espressione e alla possibilità di resistere all’ingiustizia.

Nulla viene fatto per affrontare i veri problemi del Paese, come il carovita, lo smantellamento dei servizi sociali o la crescente precarietà lavorativa. Al contrario, il governo sembra più interessato a soffocare qualsiasi forma di dissenso, criminalizzando chiunque osi alzare la voce.

14/4/2025 https://www.kulturjam.it/

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