Palestina. Dal fiume al mare

Mentre prosegue il massacro e il tentativo di deportazione dei Gazawi, tre racconti di s-f: due orride distopie e un’utopia, che però è la sola giusta e realistica per evitare che il conflitto regionale dilaghi in guerra mondiale

Ovvero dal Giordano al Mediterraneo. Alta sintesi di giustizia e politica. Però bisogna intendersi, perché la stessa espressione è usata con accenti e intenzioni diverse, secondo che viene riferita a un unico stato o federazione bi-nazionale o all’uno o all’altro dei due stati che potrebbero risultare da un accordo di pace. Tre varianti, dunque. E cominciamo da quelle che appaiono (ma non sono) le più realistiche, nel senso di immediatamente spendibili stanti i presenti rapporti di forza e stanti i desideri delle due parti in causa.

Uno stato israeliano dal Giordano al mare, dal Golan a Gaza inclusa, con cacciata in massa dei palestinesi che ci sono verso la Giordania e il Sinai, insomma una nuova e definitiva Nakba e colonizzazione di tutta Eretz Israel, la terra che Dio ha in eterno assegnato al popolo eletto.

Soluzione “realistica” nel senso che è attivamente perseguita da tutti gli ultimi governi israeliani e che ha due snodi chiave nella “pulizia” della Striscia di Gaza e nell’espulsione metodica dei palestinesi di Cisgiordania, mediante estromissione e accerchiamento da parte dei coloni e sequestro di case e terre.

Soluzione irrealistica perché non sembra facile e senza contraccolpi una deportazione di massa, sia per .il prezzo pagato sul piano internazionale sia per l’impossibilità materiale di spostare queste popolazioni in stati vicini tutt’altro che disponibili, in tendopoli e campi profughi, di tenerle sottomesse in una condizione di apartheid senza diritti. La demografia non sarebbe di grande aiuto, anche prevedendo un’ulteriore immigrazione ebraica dalla diaspora occidentale, magari sulla base di una crescente ondata antisemita. Il fatto che questo sia il progetto di Netanyahu, Ben-Gvir e Smotrich non lo rende di per sé praticabile, soprattutto dopo gli eventi in corso.

L’interpretazione simmetrica è uno stato palestinese dal Giordano al mare, con espulsione o drastica riduzione della popolazione ebraica – compiuta o “sollecitata” con i medesimi e simmetrici metodi terroristici della Nakba del 1948 e di quella in corso.  

A parte il fatto che avrebbe le stesse caratteristiche genocidarie della prima ed effettiva operazione israeliana, la formula integralista (come quella rilanciata poco fa da Saied, il dittatore tunisino corteggiato da Meloni) urta contro i rapporti di forza esistenti, contro la stratificazione instauratasi dopo il 1945.

Non la giustizia umana e umanitaria né la giustizia divina (entrambe improbabili), ma il possesso israeliano dell’arma atomica rende questa prospettiva puerile quanto atroce. Per fortuna, qualche volta, l’ingiustizia è tenuta a freno dall’impossibilità materiale – si tratti di uno squilibrio demografico o nucleare. Alla fine resta una conclamata volontà espulsiva, ma solo come sfogo e compensazione dello squilibrio e spesso si associa, fuori della Palestina, con un’incongrua identificazione fra i misfatti del governo di Israele e l’ebraismo diasporico – un antisemitismo in ascesa in cui confluiscono risentimento etnico delle seconde generazioni migranti, putride ideologie fasciste e socialismo degli imbecilli.

Le due opposte interpretazioni della formula “dal fiume al mare” si elidono a vicenda – sciaguratamente attraverso orride stragi reciproche di portata assolutamente non simmetrica, stante la potenza israeliana, che non portano se non a un fragile mantenimento dello status quo, alla sopravvivenza di élites screditate e al moltiplicarsi di tensioni internazionale che potrebbero sfociare in una terza guerra mondiale, al cui termine della Palestina e di Israele non importerebbe più nulla a nessuno dei superstiti.

Finora il discorso si è mantenuto sul piano teorico. Nella realtà la versione 1 (israeliana) è applicata spietatamente, con i bombardamenti a tappeto a Gaza e il progetto di deportazione dei Gazawi prima nella meta meridionale della Striscia trasformata in campo profughi e poi nel Sinai egiziano semi-desertico, mentre nel contempo cresce la pressione colonica in Cisgiordania, si sgombra la sezione al confine con Libano e Siria e si comincia a rendere la vita impossibile agli stessi arabo-israeliani all’interno dell’Israele “storica”. La versione 2 sta invece sulla carta ed è agitata dalla propaganda e dal desiderio di rivalsa senza avere grandi possibilità di realizzazione. Costituisce un motivo di valida polemica ma non una realtà in atto e probabilmente neppure futura.

C’è però una terza interpretazione – ancor più al momento sulla carta ma almeno degna di compartecipazione –  in cui fra il fiume e il mare non si caccia via nessuno, anzi possono ritornare le vittime arabe della Nakba e dei successivi allontanamenti e possono continuare ad arrivare gli Ebrei della diaspora che lo volessero, una formazione statale multinazionale e multiconfessionale, in cui le varie componenti (cristiani assortiti compresi) siano garantite secondo un pluralismo laico  e senza privilegi messianici che Gerusalemme e dintorni hanno purtroppo alimentato da tempo immemorabile.

Fantascienza? Certo, e che c’è di male? Lo attesta pure la firma di questa riflessione. Resta il fatto che è l’unica soluzione plausibile per evitare stragi reciproche e sogni di evacuazione impossibili, stante la discontinuità territoriale derivante dalla colonizzazione israeliana dentro e oltre i confini definiti nel 1948. I due stati significano oggi oggettivamente una potenza coloniale e un bantustan, apartheid nel primo e alternarsi di dipendenza “pacifica” e aggressioni saltuarie per il secondo, un fiume di terrore e un mare di odio.

Non vogliamo qui prefigurare le modalità di uno stato unico (in parte lo ha fatto Ilan Pappé), solo indicare una prospettiva di lungo periodo su cui possiamo esprimere partecipe solidarietà e non soltanto comprensione o empatia. Una cosa sono le contraddizioni immediate su cui intervenire (il cessate il fuoco, il ritiro da Gaza, lo sgombero delle colonie “legali” e abusive in Cisgiordania e a Gerusalemme est), un’altra il progetto di decolonizzazione e coesistenza bi-nazionale in Palestina. La vita e la politica al di là del lutto e del rancore.

Ubik

6/11/2023 https://www.dinamopress.it/

Immagine di copertina di Raya Sharbain da wikimedia commons

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