Perché NO al referendum

 

 

 

 

Dieci anni fa

Penso molti ricordino il referendum del giugno 2006 sulla riforma costituzionale voluta dalla destra.

Il centro sinistra aveva vinto di poco le elezioni politiche con un programma che prevedeva il superamento delle leggi volute dal governo di destra su migrazione (Bossi- Fini), lavoro, scuola (Moratti). Nella campagna elettorale si era insistito sulle leggi ad personam, sul precariato.

La netta vittoria al referendum (solo due regioni, Lombardia e Veneto approvarono la riforma della destra) sembrava aprire una stagione di parziale cambiamento che purtroppo sarebbe rimasto sulla carta e nelle promesse.

In ogni caso, il NO alla riforma berlusconiana nasceva dalla volontà di difendere la Carta costituzionale vista come bene comune, di rilanciarne i valori, di impedirne la manomissione su punti importanti.

In sintesi la riforma respinta prevedeva:

–        devoluzione, con attribuzione di potestà legislativa esclusiva alle regioni su varie materie (organizzazione scolastica, polizia amministrativa, assistenza e organizzazione sanitaria…)

–        allargamento in alcuni ambiti del titolo V (sicurezza sul lavoro, tutela della salute, produzione strategica dell’energia, reti del trasporto…)

–        fine del bicameralismo perfetto con la nascita del Senato federale e leggi di di competenza regionale esclusiva o concorrente con lo Stato. Chi si opponeva alla riforma diceva allora che una sola camera avrebbe comportato minore ponderazione nell’elaborazione delle leggi e che la ripartizione di competenze, non chiara, avrebbe prodotto continui conflitti di competenza

–        riduzione del numero di deputati e senatori e dell’età per il diritto elettorale (attivo e passivo)

–        premierato forte. Il primo ministro (non più pres. del Consiglio) avrebbe potuto revocare i ministri, dirigere (non più coordinare) la politica degli stessi, sciogliere direttamente le Camere

–        sfiducia costruttiva. Norma “antiribva garante dell’unità federale della stessa. Elezione diretta del presidente del Consiglio

–        autonomia di Roma.

Contro questa riforma si mossero unitariamente le forze democratiche, molt* costituzionalisti (allora osannati da chi è oggi nel PD), organizzazioni, associazioni, espressioni della società civile, unite nella preoccupazione per la deriva autoritaria e verticistica che ne stava alla base.

Lascio a chi legge la costatazione della somiglianza di molti punti e dei comuni presupposti della riforma della destra e di quella Renzi-Boschi…

Erano per il NO

E’ interessante ricordare affermazioni, datate 2005- 2006 di tanti esponenti politici, oggi contraddittoriamente schierati per il SI’.

Stefano Ceccanti e Antonio Polito: Il referendum metterà la parola fine all’infausta stagione dei cambiamenti unilaterali della Costituzione.

Sergio Mattarella (12 marzo 2005): State facendo la vostra Costituzione. L’avete preparata e la volete approvare voi da soli pensando solamente alle vostre esigenze,alle vostre opinioni ai vostri rapporti interni… E’ la concezione propria di questa maggioranza secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni.

Giorgio Napolitano: (21 giugno 2006) Andate a votare al referendum, ma poi le riforme si fanno insieme. E alla domanda se la Costituzione non fosse superata, rispondeva: La nostra Costituzione è quanto mai moderna e attuale, anche dopo 60 anni. E’ ovvio che sarà invecchiata in questo ultimo decennio.

Per Franco Bassanini  la Costituzione va ammodernata, ma sulla base di una vera condivisione tra maggioranza e minoranza. Nessun paese può progredire se ogni nuova maggioranza riscrive la Carta secondo logiche di parte.

Pier Luigi Castagnetti: Siamo in piena emergenza democratica.

Anna Finocchiaro: La Carta si può modificare, ma in maniera diversa e con metodi diversi. (9 giugno 2006) Noi siamo per riforme condivise.

Luciano Violante: Ci sarà caos legislativo, mentre il potere del premier sarà fuori controllo.

Francesco Rutelli: Si crea un potere assoluto del premier che riduce il parlamento a un vassallo e il capo dello Stato a un attaccapanni.

Pier Luigi Bersani (15 febbraio 2016): Il centrodestra produce uno stravolgimento delle regole. Gli italiani decideranno se preferiscono la Costituzione firmata da Terracini o da Calderoli. Oggi, cancellate il nome di Calderoli e sostituitelo con quelli Boschi, Renzi, Verdini… e il gioco è fatto.

Dario Franceschini: La riforma cancella il sistema parlamentare; la stessa maggioranza è ostaggio del premier. Occorre mettere al riparo la Costituzione da modifiche e colpi contingenti di maggioranza.

Michele Salvati: (1 giugno 2006): Non servono modifiche così radicali. Alla carta bastano piccoli ritocchi. Il cattivo funzionamento del bipolarismo deriva da un disegno costituzionale inadeguato, dalla mancanza di un premier forte o dalla mancanza di solidi partiti che organizzino i campi avversi?

I motivi del NO

1)      Un parlamento eletto con metodo giudicato incostituzionale ha riformato la carta Costituzionale. La riforma è nata dall’infausto Patto del Nazareno, il 18 gennaio 2014, siglato tra  Renzi ed un Silvio Berlusconi indagato per mille accuse. Al PD che ci dice Votate come le destre, occorre ricordare questo patto, l’accordo Renzi- Berlusconi sui contenuti della riforma, il primo voto comune alle Camere, il fatto che correlatore fu Calderoli. Poi Renzi fece leggere Mattarella senza accordi con le destre e il patto saltò. I contenuti, però, sono quelli e comuni fra i due campi. Voce della verità è Elisabetta Gualmini, vicepresidente PD della regione Emilia, che, in un dibattito televisivo, ha detto testualmente: Come possono votare no Berlusconi e Brunetta che hanno fatto una riforma dl tutto identica?

2)      Questa riforma non era prevista da alcun programma elettorale. Quello del PD, la cui coalizione vinse le ultime politiche (febbraio 2013) parlava di una legge elettorale che restituisse ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti (cioè cancellazione delle liste bloccate) e applicazione corretta e integrale della Costituzione più bella del mondo.

3)      Il nuovo Senato non è più eletto dai cittadini (così come le nuove province), ma con un meccanismo pasticciato e poco comprensibile. Sarà formato da consiglieri regionali, sindaci che manterrano i loro incarichi a cui sommeranno gli impegni della carica senatoriale, dividendosi tra la propria città e i continui viaggi a Roma. Solamente menti contorte potevano partorire l’ipotesi di senatori a  mezzo tempo, di un Senato dopolavoro, di un meccanismo di elezione/nomina che produrrà polemiche e probabili contenziosi (come saranno divisi tra forze politiche, nelle singole regioni, i senatori- sindaci- consiglieri?). Anche il ruolo del futuro Senato nel processo legislativo è molto confuso. Il tanto richiamato risparmio si riduce a poca cosa. Sarebbe stato molto più semplice e “risparmioso” a) ridurre il numero di parlamentari e senatori  b) ridurre stipendi e pensioni (scusate, indennità e vitalizi)  c) andare ad una sola Camera, abolendo del tutto il Senato, con maggiori garanzie sul processo legislativo.

4)      La cancellazione delle province, già attuata, è atto demagogico e poco razionale. Ancora non si è capito a chi facciano capo molte competenze provinciali (viabilità, scuole, ambiente) e la gestione del personale. Anche qui sarebbe stato molto più razionale: a) abolire istituti elettivi di secondo grado b) ridurre drasticamente il numero delle province, superando polemiche di campanile. Ricordo che il numero delle province, nei decenni, si è moltiplicato a dismisura e che impegno di tanti parlamentari e consiglieri regionali fu di farne nascere, per motivi economici, culturali, ma soprattutto elettorali, nei propri territori. Quando il Piemonte ne creò due nuove (Biella e VCO) le poche voci critiche e problematiche furono tacitate come stataliste, centraliste, proprie di nemici delle autonomie locali. Nel cuneese la richiesta di creare la  provincia di Alba si trascinò per anni, vide i partiti favorevoli ad Alba e contrari a Cuneo e il consiglio provinciale esistente assumere un atteggiamento “salomonico” (vedi i verbali del consiglio del settembre 1995). Resta il problema, fondamentale, della precisa definizione dei compiti (chi deve fare che cosa) tra comuni, province, regioni, enti di secondo grado, Stato. La legislazione in materia è complessa e il titolo V (vedi oltre) voluto dal centro- sinistra nel 2001 ha peggiorato le cose.

5)      La riforma Boschi- Renzi- Verdini…, già orrenda in sé, è aggravata ulteriormente dalla obbrobriosa legge elettorale (l’Italicum) che riproduce alcuni degli elementi bocciati dalla Corte costituzionale nel Porcellum. L’Italicum di Renzi prevede il ballottaggio tra i due primi partiti (non coalizioni) e un forte premio di maggioranza al vincitore. La maggioranza, fortemente relativa, diventerà assoluta. Inoltre riproduce, dopo tante polemiche contro la legge berlusconiana che non prevedeva le preferenze, i capilista bloccati nelle cento piccole circoscrizioni elettorali in cui sarà divisa l’Italia. E’ chiaro che la nuova legge si presterebbe a nuovi ricorsi presso la Corte costituzionale. La legge, presentata come magnifica, immodificabile, invidiata da tutta l’Europa, è oggi oggetto di trattative. Le comunali di Torino e Roma, hanno dimostrato (cosa che anche un cretino avrebbe dovuto capire alla prima lettura) che essa favorisce, in caso di ballottaggio, il Movimento 5 stelle. I grandi principi, le grandi certezze e le sonore affermazioni sono scomparsi in un giorno: si ipotizzano nuovi pasticci: il ballottaggio a tre (sic!), il premio alla coalizione (il PD potrebbe accordarsi al “centro” e a “sinistra” -le virgolette sono d’obbligo-), il ritorno ai collegi uninominali e altre piacevolezze. Tutto fuorché il ritorno al sistema proporzionale che permetterebbe di votare secondo convinzione e in base a programmi e di avere un parlamento specchio del paese (Togliatti).

6)      Il processo legislativo (cioè fare le leggi) non sarà più semplice, ma molto più complesso. In un dibattito televisivo una costituzionalista ha chiesto alla ministra Boschi: Mi spieghi l’articolo 70 con parole sue. Si confronti l’attuale articolo 70 con il pasticcio prodotto dalla riforma. La lingua chiara e semplice della riforma del 1947 si trasforma in un caos inestricabile. In un latinorum che sembra voluto. I  costituzionalisti sostengono che i due processi legislativi attuali (leggi ordinarie e leggi costituzionali) si trasformeranno in dieci o dodici. In ogni caso vi saranno almeno leggi costituzionali, ordinarie, di bilancio, in materia di autonomie locali. Leggi bicamerali e monocamerali, con possibilità di emendamenti del Senato, con meccanismi differenziati se gli emendamenti del Senato saranno respinti dalla Camera a maggioranza semplice o assoluta. Il caos, i contenziosi, i conflitti di attribuzione si moltiplicheranno. Se una legge verterà su più materie, con procedimenti diversi, la procedura dovrà essere decisa dai presidenti delle due Camere (sempre che trovino un accordo).

7)      Il titolo V è quella parte della Costituzione che regola i rapporti tra lo Stato e le autonomie locali. Nel 2001, il centro sinistra al termine del quinquennio segnato dai governi Prodi, D’Alema e Amato, alla vigilia di elezioni in cui la destra era iper favorita, ha fatto passare, con maggioranza risicata e in zona Cesarini, la riforma del titolo V che concedeva più poteri e strumenti alle regioni. Rifondazione allora votò contro questa riforma, per il metodo autoritario (riforma costituzionale unilaterale e non condivisa, cosa che poi il centro- sinistra rimproverò alla riforma berlusconiana) e per il contenuto ritenendo che avrebbe prodotto un ulteriore aumento della divisione tra nord e sud, tra regione  e regione, tra aree più ricche e più povere. Preoccupava l’ipotesi di scuola, trasporti e sanità regionalizzate con piani, programmi, livelli di assistenza, tariffe… fortemente differenziati. Fummo accusati di statalismo, conservatorismo, incapacità di comprendere quali possibilità avrebbe dato alle regioni una maggiore flessibilità. Ricordo negli anni fra il 2005 e il 2010 (quelli in cui Rifondazione ebbe decine di consiglieri regionali) le forti spinte, soprattutto in Piemonte, per un maggior “federalismo” (tale era, nei fatti) e il nostro atteggiamento preoccupato (funzionò, per breve tempo, una commissione nazionale, retta da Imma Barbarossa e Marco Nesci) alla quale partecipai puntualmente. Oggi: contrordine compagni! Renzi fa macchina indietro (tranne che per le regioni autonome). E’ da segnalare la contraddizione nel PD, autore di una riforma che oggi vuole cancellare, senza alcuna autocritica. Ancora il voto referendario (SI’ o NO) impedisce, come per la questione del CNEL di differenziare, sfumare le scelte.

Brevi considerazioni

Il famigerato e spesso citato documento della JP Morgan, una delle maggiori potenze finanziarie del mondo, sosteneva, pochi anni fa, che le Costituzioni di molti paesi europei  fossero ostacolo al cambiamento e al “nuovo”, perché impregnate di socialismo, dato il clima dell’immediato dopoguerra. Occorre, quindi, modificarle per avere più modernità, liberismo, flessibilità.

Sono per il SI’ fogli come “The economist”, “The Times”, “Wall street journal”, il Fondo Monetario internazionale, tutti uniti nel chiedere di agevolare e snellire il processo decisionale.

Ancora una volta (ricordate Craxi prima e Berlusconi poi?) la governabilità è agitata contro la rappresentanza politica. Renzi e la sua corte sono i nuovi rappresentanti di questa concezione. Renzi:

–        usa un tono arrogante e sprezzante proprio della destra.

–        Ipotizza, nell’intreccio tra riforma e legge elettorale, una sudditanza del parlamento al governo, cioè del legislativo all’esecutivo, propria di una visione autoritaria se non totalitaria (da Montesquieu ad oggi, la democrazia risiede proprio nell’equilibrio fra i tre poteri). Ricordo che con le nuove norme, il governo potrà arrivare al voto di una legge entro 70 giorni, fatto che snellisce le procedure, accorcia i tempi, impedisce ostruzionismi spesso pretestuosi, ma presenta pericoli gravi: a) la sinistra, quando esisteva, protestò duramente contro le procedure seguite per spezzare l’ostruzionismo su NATO e legge truffa  b) qualcuno ha pensato all’uso che potrebbe fare di queste norme un governo di destra con Salvini, Berlusconi, Meloni, Brunetta? Per consolarci, pensiamo che in Francia è peggio: il governo può far passare alle Camere, un provvedimento senza neppure metterlo ai voti. E’ successo con la Legge lavoro del governo sedicente socialista.

–        Ipotizza un potere totalizzante di un solo partito (nel caso, all’interno di questo, di una corrente dello stesso). La maggioranza avrà potere di eleggere da sola il/la Presidente della repubblica e il Consiglio superiore della magistratura.

–        Si comporta con arroganza verso gli oppositori. Qualcun* ricorda l’atteggiamento indecente e gli insulti della destra contro i senatori a vita (tra questi Rita Levi Montalcini e Mario Luzi) colpevoli di votare il governo Prodi? Qualcun* ricorda l’indecenza di Bettino Craxi che arrivò a definire Norberto Bobbio intellettuale dei miei stivali? Sono diversi gli sguaiati insulti dell’attuale governo (il primo: professoroni e parrucconi) contro insigni costituzionalisti e giuristi schierati per il NO? Ancora una volta la colpa è di essere in là con gli anni, al di là di ogni valutazione di merito. Valutazione propria di gente senza storia, che ha dimenticato il passato in nome di uno squallido nuovismo (eccezione: l’amore della ministra Boschi per il suo concittadino Amintore Fanfani, del quale, le consigliamo di leggere nel corso delle vacanze estive, gli illuminati discorsi tenuti nella campagna elettorale contro il divorzio).

–        Normalizza l’informazione in senso autoritario. La TV, purtroppo, è sempre stata strumento del governo di turno e del potere. Dal monopolio democristiano (corrente Fanfani) si è passati alla concessione di qualche spazio al PSI, quindi alla divisione delle tre reti tra DC, PSI e PCI, quindi al monopolio berlusconiano. Chi ha protestato giustamente contro gli editti berlusconiani e le sue epurazioni come può oggi cambiare direttori di TG (Berlusconi), spingere giornalisti alle dimissioni, tappare la bocca a Mercalli perché scomodo? Il governo normalizza l’informazione in vista del referendum per avere reti a senso unico, TG legati al potere, permette a Boschi affermazioni demagogiche sulla vittoria del SI’ sino a I partigiani che hanno combattuto votano SI’. Che cosa accadrebbe se questi provvedimenti fossero stati assunti da un governo di destra? Avremmo “Repubblica” sulle barricate, girotondi nelle piazze, tant* intellettuali si strapperebbero le vesti. Perché questo silenzio colpevole e complice? Perchè tanta superficialità e sudditanza? E ancora: dove è finito il popolo viola, scomparso alla caduta di Berlusconi e alla nascita del governo Monti?

Alessandro Galante Garrone sosteneva che le Costituzioni siano segnate dal contesto in cui sono nate e che di esse si debba intendere la genesi storica. Quella italiana deriva dall’antifascismo, dalla resistenza, dall’incontro di forze diverse in un momento di forte tensione a livello nazionale e internazionale. Nasce da speranze, spinte ideali, tensioni. Così quella francese, madre di uno dei più avanzati sistemi sociali (non a caso oggi sotto attacco, anche nella sua laicità). Sarebbe facile chiedere se ha più valore una Costituzione scritta da Dossetti, Mortati, Basso, Saragat, Terracini, Croce, Calamandrei o una scritta da Boschi, Renzi, Verdini e per largo tratto da Berlusconi. Ma ancor più ha senso chiedere: questa nuova Costituzione, che Raniero La Valle definisce autoritaria e di destra e che Felice Besostri definisce “deforma”, in quale contesto, in quale quadro politico sociale, su quale sollecitazioni nasce? Quelle di un liberismo trionfante che si lega ad un populismo becero. Quelle di una Europa che si è trasformata in strumento di dominio, basato su banche ed euro, che ha strangolato l’unica esperienza alternativa (quella greca) e che rischia di spappolarsi avendo prodotto nazionalismi, particolarismi, egoismi.

Per concludere

1) La destra è schierata strumentalmente per il NO, contro una riforma che pure ha contribuito a scrivere. Nascono comitati che fanno capo a Forza Italia, Lega Nord, all’estrema destra fascista e oltre.

Non a caso la ministra Boschi è arrivata a dire che noi votiamo come casa Pound. Sarebbe sufficiente ricordarle i comitati per il SI’ che fanno capo ad Alfano (e Alfanopoli?) e a Verdini (anni fa accusato di ogni male, oggi salvatore della patria e del governo, domani probabile alleato alle elezioni).

Occorre, invece, dare al dibattito dei prossimi mesi una forte accentuazione progressista, democratica e di sinistra, chiarire i contenuti, sottolineare le contraddizioni del SI’, non accettare i ricatti renziani (tra l’altro ha detto per mesi che, se sconfitto, si sarebbe dimesso, mentre oggi ha cambiato idea).

La costruzione, ovunque possibile, di comitati per il NO che diventino egemoni nel dibattito e che rifiutino ogni commistione con Brumetta, Salvini è il primo passo

In questi deve emergere una chiara posizione di sinistra, unitaria, alternativa al PD e al governo.

2) La frammentazione delle poche forze di sinistra, la loro marginalità rischia di far perdere una grande occasione: quella di legarle fra loro su un tema importante, di segnare una discriminante di fondo verso il PD, di legare forze democratiche e progressive che non hanno riferimento data la diaspora della sinistra, prima e dopo il 2008 e la sua inesistenza non solamente mediatica, ma anche sociale. Questo impegno comune potrebbe avere in più di un caso uno sbocco anche nelle elezioni amministrative (forse politiche) nel 2017, anche davanti ad un PD che potrebbe scaricare Renzi e darsi una nuova verniciata (prepariamoci a tanti salti e a tante conversioni) e ad un Movimento 5 stelle che ha, meritatamente, il monopolio dell’opposizione al governo, ma non considera certo la centralità dei rapporti di produzione e delle questioni strutturali.

3) Se il tema sembra prevalentemente democratico e istituzionale, le sue connotazioni sociali sono molte.

Nel lontano 1953, la legge truffa (molto meno orrenda, comunque, delle tante leggi elettorali degli ultimi anni) fu sconfitta anche perché grandi masse compresero il suo legame con le questioni sociali (lavoro, occupazione, migrazione, diritti sindacali…). Le ultime statistiche parlano di 4.600.000 italiani sotto l’indice di povertà, dell’11% di disoccupazione, del 38% di disoccupazione giovanile, di un ulteriore accentrarsi, a livello nazionale e mondiale, delle grandi ricchezze e di povertà endemiche (qualche decina di famiglie ha un reddito pari a metà dell’umanità).

Lo stallo del movimento altermondialista, dopo l’esplosione di inizio millennio, non deve farci dimenticare la centralità dei temi sociale ed ambientale e che una sinistra può ricostruirsi solamente rideclinando i temi del lavoro e dell’emergenza ambientale (riscaldamento climatico…).

I prossimi mesi sono quindi decisivi.

Contro le demagogie ed i luoghi comuni, lavoriamo con metodo, determinazione, razionalità.

Allo studio, al lavoro, alla lotta.

Sergio Dalmasso

Cuneo 12/8/2016

 

 

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *