Picchetti, cariche e intimidazioni. Una settimana di sciopero nel magazzino Coop di Pieve Emanuele

La mattina di giovedì 4 maggio una settantina di lavoratori della Clo – Cooperativa lavoratori ortomercato di Pieve Emanuele, provincia di Milano, si sono dati appuntamento fuori ai cancelli del posto di lavoro. Davanti all’ingresso e all’uscita dei tir hanno legato decine di bandiere dei due sindacati con cui hanno proclamato lo sciopero, Cisl e Si Cobas. Nei magazzini, che si trovano a ridosso dell’entrata per gli uffici amministrativi del supermercato Coop Lombardia, poco più di una decina di operai sono rimasti a lavorare le merci.

Tardo pomeriggio di venerdì: un’auto con a bordo ignoti sfreccia nel parcheggio dei camion e spara in aria tre colpi di pistola, poi scappa. Il giorno dopo però il presidio dei lavoratori sembra tranquillo. Daniel, delegato Cisl, indica ai solidali accorsi dopo la notizia delle intimidazioni la posizione delle telecamere aziendali, ma non esclude la possibilità che siano spente e inutilizzabili ai fini delle indagini dei carabinieri arrivati il giorno prima sul posto; poi spiega che il sabato pomeriggio non c’è molto lavoro perché i turni si concentrano al mattino; resta comunque a presidiare i cancelli con una trentina di colleghi, si daranno il cambio con gli altri verso tarda sera.

La tensione aumenta lunedì 8 maggio, quando alle prime ore dell’alba arrivano le forze dell’ordine in assetto antisommossa per sgomberare il picchetto. Davanti allo schieramento di scudi e manganelli si posizionano i lavoratori più combattivi. All’inizio il tentativo è di aggirare le cariche avanzando e retrocedendo sul tratto di strada che di solito viene impegnato dai furgoni. Quando arrivano i dirigenti della Clo dagli altri impianti, le cariche della celere si intensificano. Tre lavoratori e una lavoratrice verranno trasportati dalle autoambulanze al pronto soccorso. Nel denunciare i fatti, qualcuno dei solidali avrebbe notato la partecipazione alle violenze di un paio di bodyguard privati e di un paio di autisti mentre le forze dell’ordine sparavano spray urticante. Gli stessi hanno rammentato che la cooperativa aveva già usato metodi del genere nel 2019, quando si chiedeva il reintegro di cinque lavoratori presso il sito Coop di Tortona, in provincia di Alessandria. All’epoca, lo sciopero era stato fisicamente compromesso dagli autisti e non erano mancate le aggressioni, o frasi e minacce a sfondo razziale ripescate in alcuni video di vecchia data sulla pagina del sindacato. Anche alla Clo di Siziano a Pavia, nel 2020, il sindacato denunciava  centinaia di lettere di contestazione e licenziamenti di massa dopo gli scioperi per ottenere migliori condizioni di lavoro. “Ci furono prove di sfondamento dei picchetti con utilizzo di squadracce di sgherri e crumiri per intimidire scioperanti e solidali”, si legge in un comunicato.

Martedì 9 maggio, alle 6 di mattina, i lavoratori in sciopero sono ancora l’ottanta per cento del magazzino. La merce è sugli scaffali da giorni. Qualcuno paventa che presto la cooperativa della logistica inizierà a deviare i camion in entrata verso l’impianto di Vercelli in Piemonte, “come hanno fatto quando erano quelli in sciopero, un paio di mesi fa, che tutta la merce l’hanno spostata qua e ci hanno costretto a lavorare fino a dodici ore di fila”.

La lotta che stanno conducendo i lavoratori della Clo ha degli obiettivi precisi. Dei centosettanta lavoratori assunti dalla cooperativa in qualità di soci, sono tantissimi quelli che hanno maturato un’anzianità di oltre dieci o quindici anni, e anche se svolgono mansioni che richiedono maggiore carico di lavoro e di responsabilità, ricevono le retribuzioni parametrate ai livelli di assunzione originari, quelli più bassi. Inoltre, gli accordi che regolamentano l’ottenimento dei ticket mensa sono tra i peggiori della logistica: si parla di due euro e cinquantotto al giorno per ticket; l’azienda, però, riconosce questi soldi ai lavoratori solo al superamento di un tetto orario minimo e di una soglia di produttività usurante. Le donne sono le più penalizzate, perché il tetto minimo per l’ottenimento dei ticket prevede di lavorare almeno otto ore al giorno per venticinque o ventisei giorni al mese. Dunque bisogna sforare il proprio orario di lavoro normale e accettare di fare gli straordinari, ma spesso le lavoratrici dopo un turno di sei ore e mezzo devono tornare a casa dalla propria famiglia.

Oltre queste due semplici rivendicazioni, i lavoratori denunciano l’esistenza di un sistema di ricatto tra i più perversi nel mondo delle cooperative della logistica. Sono costretti ad accettare le ore di straordinario, pena la decadenza del diritto a prestare lavoro nei turni ordinari: “Tante volte ci è capitato d’essere mandati a casa perché ci dicono che quel giorno non c’è lavoro per tutti, ma magari lo fanno per punirci perché una paio di volte non abbiamo accettato di fare lo straordinario”.

A quel punto, per arrivare al monte ore mensile previsto, i lavoratori dovranno recuperare il turno in un altro giorno, facendo il doppio delle ore e senza il trattamento economico maggiorato come previsto dal contratto. Tra le denunce generali, pare che lo straordinario venga anche utilizzato come strumento propulsore della produttività per chi invece richiede di farlo: “Io ho una figlia disabile e con mille e trecentocinquanta euro al mese non riesco a coprire tutte le spese familiari – dice un lavoratore –. A volte ho bisogno di più ore di permessi grazie alla legge 104 per i genitori di figli disabili, ma chiederne troppi significherebbe non raggiungere la soglia di produzione del settantacinque per cento che mi permetterebbe di fare qualche ora in più”.  

I lavoratori nei depositi Coop di Pieve sono controllati da un rigido sistema elettronico. Attraverso un auricolare, collegato a un palmare, viene loro indicato il tempo stimato per sollevare e trasportare i pacchi alimentari. Ogni pacco ha un suo peso, ma l’algoritmo sancisce solo la velocità con cui muoversi. In media, l’azienda richiede dai settantacinque ai centodieci colli l’ora. Se le performance sono esaustive, vengono ricompensate con dei premi di qualche decina di euro, o al massimo di un paio di centinaia di euro.

Il 16 aprile scorso, il colosso Coop ha lanciato all’interno dell’ultima campagna pubblicitaria, “Insieme”, un film per raccontare “la propria natura, un’impresa di persone e non di capitali”. Ma quello che è accaduto nel sito di Pieve Emanuele dal 2007 al 2010 ha del contraddittorio: il famoso spot pubblicitario “la Coop sei tu” per i lavoratori ha significato sborsare tra i venticinque e i settantacinque euro al mese, fino a un totale di quattromila euro di quota sociale, come contributo al finanziamento dell’impresa. Molti assunti negli anni hanno versato migliaia di euro del loro salario attraverso una trattenuta in busta paga chiamata “ritenuta del capitale sociale”, che raramente è stata restituita. I lavoratori hanno anche denunciato che durante la pandemia l’azienda aveva richiesto il posticipo dei ratei di tredicesima e quattordicesima. Dopo vari mesi, i lavoratori hanno ricevuto una carta prepagata per fare la spesa nel supermercato Coop più vicino: “Non solo non ci hanno dato i soldi, ma molti di noi non hanno neanche usato quel buono perché quel supermercato era troppo lontano”.

Se è vero che la Coop sono tutti i dipendenti indiretti, i lavoratori non si spiegano come mai ci sia stata la volontà della Clo di trattare prima con la Cgil, sindacato meno rappresentativo numericamente nell’impianto di Pieve, e dopo con la Cisl, con l’intento di spingere i confederali a smantellare il picchetto con le buone. Nelle mattinate tra il 5 e il 10 maggio, i confederali hanno sottoscritto due accordi, pressocché simili, che prevedono, contrariamente alle rivendicazioni degli operai, pochi centesimi di aumento sulle ore di lavoro e una fittizia garanzia di ticket, poiché ancora subordinata al tetto delle ore lavorate. Inoltre, pare che i Si Cobas, ancora esclusi dal tavolo della trattativa, siano nel mirino dell’azienda, la quale ha inserito una clausola nell’accordo con la Cisl che prevede il trasferimento dei lavoratori in altri impianti nell’eventualità si verificassero delle riduzioni dei volumi nel sito lombardo. Una manovra, denuncia il sindacato di base, “mirata a mettere fine allo sciopero dividendo i lavoratori, e a confinare altrove quelli iscritti al Si Cobas perché non si organizzino ancora per rivendicare i loro diritti”.

La stessa mattina, a dar sostegno al rifiuto del delegato della Cisl di firmare l’accordoin contrasto con le indicazioni della dirigenza regionale, la riposta degli altri iscritti non si è fatta attendere: in massa hanno raccolto le bandiere bianco-verdi e le hanno arrotolate alla meglio in un sacco dell’immondizia. Tante altre bandiere rosse sono state legate da un lato all’altro dei cancelli di ingresso e uscita, indicando lo stato del semaforo per i camion merci che vorranno passare. (alessandra mincone)

11/5/2023 https://napolimonitor.it/

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