Prevenzione e cura. Conflitti con malati e familiari da reprimere anche penalmente?

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Continua ad ondate la campagna contro le aggressioni a operatrici e operatori della sanità. C’è sui giornali e su siti web una sorta di bollettino di guerra che riporta a ritmo serrato le aggressioni ai danni del personale sanitario, soprattutto per quanto concerne i pronto soccorso e i luoghi della salute mentale, su un problema male affrontato, anche con intenzioni non inerenti. Una offensiva che prende di mira i malati e il loro familiari al centro di un’attenzione sempre più deviante facendo ritornare in auge anche la barbarie dei manicomi dopo la morte della psichiatra Barbara Capovani, fuori dall’ospedale di Pisa.

Negli ultimi anni di fatti così tragici non ce n’è stato solo uno, ma nemmeno tanti, ma ritorna più forte che in passato lo stigma legato alla malattia mentale. Questo modo di vedere la salute mentale sta dilagando, si imputa quello che è successo a Pisa alla Legge 180 di Franco Basaglia. E’ un colpo assestato alla riforma psichiatrica italiana.

Questo tema delle aggressioni in sanità dovrebbe essere affrontato con un metro di misura adeguato alle realtà sociale detrminatosi con i percorsi di privatizzazione che hanno portanto i cittadini a considerare ormai non più raggiungibile un diritto dovuto dallo Stato e i fatti lo stanno a dimostrare. Quello che non possono dimostrare, essendo stati esautorati dalla comprensione della politica e incapaci di individuare le responsabilità vere che si nascondono dietro il lavoro quotidiano delle professioni sanitarie, in ogni occasione di disservizio, o di totale assenza di cura e assistenza, la loro indignazione razionale.

Vogliamo così giustificare le aggressioni verbali e a volte fisiche? Molti di noi sono lavoratrici e lavoratori di sanità pubblica, e altri ancora lo sono stati: vogliamo solo dimostrare che la realtà racconta altro che la narrazione velenosa della stampa e delle TV, nonchè dei politici che hanno creato, da decenni, la fine del diritto alla cura e un lavoro di cura gratificante.

Non vorremmo che la voluta disinformazione sui fatti portasse a considerare violenza, moltiplicando le “violenze”, anche un tono di discussione accesa tra chi non riceve cura e chi non riesce a fare di meglio per soddisfare le esigenze.

Il numero maggiore delle proteste aggressive contro il personale sanitario si verifica nelle strutture dove la risposta ai bisogni di cura è inadeguata e spesso impedita. Gli atti, comunque deprecabili, hanno mandanti facilmente individuabili negli ambiti decisori delle politiche sanitarie, verso i quali dovremmo indirizzare la rabbia. Non dobbiamo cadere nella trappola della guerra tra gli ultimi, anche perchè una campagna mediatica che distorce la realtà nella quale si trovano gli operatori, i malati e i loro potrebbe creare un consenso inconsapevole, addirittura con richiesta di dotazione della pistola Taser da utilizzare nei pronto soccorso per ammansire i cittadini.

Il tema della sicurezza psicofisica degli operatori sanitari durante il loro lavoro di cura e assistenza è da non sottovalutare, ma va affrontato come una delle tante problematiche che affliggono il nostro quotidiano lavorativo. Una delle tante, ma senza vivere questo problema come il più importante, a scapito delle coercitive condizioni di lavoro imposte da politiche di tagli al personale che ci costringono a carichi di lavoro produttori di stress e disaffezione alla professione; di repressione della nostra libertà di parola e della stessa agibilità sindacale, pienamente riconosciuta sulla carta, ma ostacolata nei fatti anche sulla sicurezza del lavoro, a partire dalle malattie professionali. Il problema è reale ma non nella dimensione scandalistica.

Quando ci si trova difronte a un fenomeno complesso come questo non c’è una sola risposta e anche l’analisi della situazione è complessa. Da una parte ci sono i cittadini che non riconoscono più il sistema sanitario nel modo in cui lo hanno in mente:

  • code lunghissime prima di essere accolti, che si tratti di ambulatori o Pronto Soccorso;
  • liste di attesa interminabili anche a fronte di urgenze;
  • poco personale e carenza di letti e posti di ricovero.
  • il blocco del turn over per il personale. I carichi di lavoro sempre più pesanti si ripercuotono ovviamente di più nell’attività dei Pronto Soccorso, per definizione più stressante e comunque attiva 24 ore su 24.
  • l’assenza di una riforma dell’assistenza territoriale, funzionale un filtro dell’emergenza con la possibilità di gestire a domicilio o in strutture ambulatoriali le piccole emergenze, riducendo così gli accessi ai Pronto Soccorso ospedalieri, soprattutto quelli non appropriati che sono ancora il 30% del totale.
  • Fino al 62% degli operatori sanitari ha subito forme di violenza sul posto di lavoro;
  • L’abuso verbale (58%) è la forma più comune di violenza non fisica;
  • Seguono le minacce (33%) e le molestie sessuali (12%).

Se i tempi di attesa per un visita o al Pronto soccorso non vengono abbattuti, se non la smettiamo di poggiare intere cliniche sull’opera gratuita degli specializzandi, se non rinnoviamo la forza lavoro, se non aumentano gli organici, se non si investe in strutture piu’ moderne (invece di destinare fondi alla sanità privata), le conseguenze sono solo negative.

Sarebbe fondamentale chiederci tutti se è paradossale aggredire coloro cui si chiede soccorso?

Domanda ingenua se dimentichiamo cosa hanno significato per i cittadini e gli operatori dieci anni di de-finanziamento del SSN che hanno pesantemente degradato l’organizzazione delle strutture e reso difficile l’erogazione dei servizi sanitari.

Quindi, come non considerare che il numero maggiore delle proteste aggressive si verifica nelle strutture dove la risposta ai bisogni di cura è inadeguata e ancora peggio impedita dalla chiusura di ospedali o dal loro accorpamento, da strutture fatiscenti con poco personale e infinite liste di attesa?
Non dobbiamo cadere nella trappola della guerra tra gli ultimi, tali siamo anche noi operatori sanitari, ricordandoci che questa guerra rientra nei piani di chi da decenni debilita il S.S.N. lasciandoci lavorare in prima linea senza gratificazioni professionali, stipendiali e anche di collaborazione dirigenziale. Gli atti deprecabili hanno mandanti verso i quali dovremmo indirizzare la rabbia.

Eppure qualcuno già pensa alla pistola Taser nei P. S, in mano ai vigilantes o agli stessi medici e infermieri.
Non ci illudiamo: una pratica di cura senza divergenze e conflitti non esiste. Anche perché spesso il conflitto, prima che rispetto a visioni della vita e del bene rappresentate da altri, nasce nel profondo di noi stessi, quando ci avviamo per la strada tortuosa della cura: ci accompagnano tante ambivalenze, delle quali non sempre siamo consapevoli.

Siamo sfidati a conciliare valori contrastanti per indagare le deleterie problematiche, conseguenti a tanti
fattori di debilitazione della sanità pubblica, che spesso trovano sbocco solo nella guerra tra chi, malato e operatore, dovrebbe stare in un fronte unito. Servirebbe non solo a non considerare più il malato un cliente – che nella logica aziendalista non ha mai ragione – a servirebbe anche a rispondere efficaciamente allo snaturamento del ruolo professionale e relazionale degli infermieri.

Siamo di fronte a una realtà che nessuno, dagli infermieri ai medici, dai dirigenti aziendali ai sindacati delle professioni e confederali, può sottovalutare. Siamo convinti che il conflitto sia indotto dalla deregolamentazione in atto delle relazioni fra simili che permette in ogni ambito la sopraffazione verbale e fisica che fa di ogni luogo dove si esprimono interessi e bisogni un campo di battaglia dove, però, la spuntano sempre quelli che hanno più strumenti sociali e culturali e li usano come distanziatori contro chi ne è privo o quasi e si trova in uno stato di soggezione.

La quasi scomparsa della contrattazione sindacale ha privato i dipendenti pubblici di ogni ruolo propositivo e quindi di cosciente protagonista del proprio ruolo sociale e contrattuale per la soddisfazione dei bisogni altrui.
E la scelta di far venir meno il peso del dipendente – con il suo valore di equilibrio tra diritti e doveri- ricorrendo a figure esternalizzate ha ulteriomente precarizzato il quotidiano lavorativo. In questa situazione prevale il deleterio individualismo che massifica il proprio ego, caratteriale e professionale, che produce indolenza contro i malati e i loro familiari. La telecamera non parla delle motivazioni di nessuna delle parti.

Ma gli operatori sanitari corrono anche altri rischi, silenziosi e sublodi, ma quasi non riconosciuti e tanto meno sottoposti a prevenzione aziendale.
Molte sono le attività lavorative, anche in campo sanitario, che comportano dei rischi ma chi le svolge non potrebbe rifiutarle senza cambiare professione: si pensi ad un radiologo, ad un infettivologo, ecc. che per quanto protetti non possono considerarsi a rischio potenzialmente zero, eticamente il potenziale, rischio si giustifica nel tentativo di eliminare o ridurre il rischio dei cittadini afferenti al luogo di cura. Certamente, ma questo sta alla volontà e capacità di non esimersi dal lottare, anche sindacalmente, per non accettare l’imposizione di un rischio al solo fine di aumentare il profitto aziendale
Quel rischio molteplice, quasi disconosciuto, che si chiama “malattia professionale”. E’ un nemico vero.

Quel rischio molteplice, quasi disconosciuto, che si chiama “malattia professionale”. E’ un nemico vero che aggredisce silenziosamente, e impunemente dato che la stragrande maggioranza dei casi si manifesta nel tempo e quasi il più delle volte non viene riconosciuto e risarcito, se mai il risarcimento può essere considerato una panacea, mentre è una vera e propria accettazione del rischio che i lavoratori non sono consapevoli del rischio determinato da un’organizzazione del lavoro che non mette in conto la salvaguardia della loro salute e sicurezza sul lavoro.

Le malattie professionali più diffuse

Nella sanità i disturbi muscoloscheletrici degli arti superiori e del collo rappresentano il secondo tasso più elevato di incidenza tra le patologie correlate al lavoro, subito dopo il settore edilizio.

Il personale sanitario è esposto a diversi rischi durante lo svolgimento delle attività quotidiane, quali il sovraccarico biomeccanico, le posture incongrue, i movimenti scoordinati e/o ripetuti. Posture di lavoro scorrette vengono spesso assunte nell’assistenza al letto

In molti casi di intervento professionale lavoratrici e del paziente, ma anche in ambito chirurgico o durante le attività di laboratorio. lavoratori sono esposti anche a rischi legati all’utilizzo di sostanze chimiche (disinfettanti, gas anestetici, detergenti, ecc.) oltre che a medicamenti che, soprattutto in sede di preparazione, possono entrare in contatto con la pelle o penetrare nelle vie respiratorie e provocare reazioni locali o sistemiche, come le malattie cutanee, più spesso di origine tossico-irritativa che non allergica, affezioni nasali, patologie sinusali, oculari e asma. L’impiego di alcuni strumenti di lavoro, quali aghi, siringhe, bisturi, comporta un rischio di puntura o taglio con possibile trasmissione ematica di agenti biologici quali il virus HIV e il virus dell’epatite B. Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti rappresentano un altro potenziale rischio.

Nelle strutture sanitarie, oltre al personale sanitario (medici, infermieri, ecc.), sono esposti a rischi anche il personale di supporto, vedi OSS, e tecnico e i laboratoristi e gli anestesisti, i tirocinanti, gli apprendisti, i lavoratori a tempo determinato, i lavoratori somministrati e gli studenti che seguono corsi di formazione sanitaria.
Le addette e gli addetti alle pulizie sono esposti a pericoli che variano in funzione dello specifico luogo di lavoro.

Un’altra causa frequente è la ”acariasi “ dovuta alle frequenti occasioni di contatto e quindi di trasmissione di parassiti tra pazienti infetti o portatori e operatori sanitari, che possono fare da tramite per altri pazienti o contrarre essi stessi l’infezione”.

Considerando questi rischi latenti proviamo ad andare a ritroso nelle possibili motivazioni di tali comportamenti, la principale causa sembra imputabile alle lunghe ore di attesa, quindi sarebbe utile parlare di sovraffollamento. Il sovraffolamento dei pronto soccorso è questione che viene dibattuta anche all’interno delle analisi ministeriali, non solo da organizzazioni sindacali e associazioni di categoria, tipo ordine dei medici, associazioni degli operatori infermieristici.

È interessante notare come il problema vada di pari passo con la totale aziendalizzazione del sistema sanitario, e come in nome dell’efficienza e della razionalizzazione dei costi, si finisce per ridurre, posti letto, personale e depotenziare le strutture.

Questi aspetti sono parte attiva del problema e riguardano in un certo modo il “back office” rispetto al Pronto Soccorso, ossia la capacità di assorbimento immediato nei reparti dei vari problemi che si presentano, più o meno gravi che siano. La vera inappropriatezza per il Pronto Soccorso, da quanto è dato vedere, non è tanto il paziente con un codice bianco o verde, ma il paziente in barella in attesa di essere ricoverato in un altro reparto dell’ospedale. Ciò è suffragato da alcuni dati interessanti sull’incidenza dei codici a basso rischio vitale e il numero totale di pazienti che si presentano per ricevere delle cure.

Definendo impropriamente “accessi inappropriati” quelli riferiti a persone che si rivolgono all’ospedale per varie ragioni, comprese l’irreperibilità del medico di base o l’assenza della guardia medica (perchè magari è stato eliminato il presidio), persone quindi che potrebbero trovare risposta in sedi diverse dal pronto soccorso, sono circa il 30% del totale. Di questi la maggior parte sono codici bianchi e circa un 20% codici verdi. In ogni caso questi accessi inappropriati, pur costituendo il 30% del totale, sono gestiti solitamente in tempi ragionevolmente brevi e impegnano limitatamente il personale dell’emergenza, circa il 15% delle ore totali.

Il ragionamento sulle case di riposo e sui servizi psichiatrici meriterebbe un ragionamento a parte soprattutto alla luce dei tagli operati verso questo tipo di cure, a distanza di 40 anni dalla Legge Basaglia si stanno facendo passi indietro e la tendenza alla ospedalizzazione di queste patologie è sempre piu’ forte. Il fatto poi che sotto accusa siano anche alcuni operatori accusati di avere percosso i pazienti dovrebbe indurre a scelte radicali e a prendere atto che la sindorme di burnout è una malattia contagiosa e da debellare con scelte dirompenti.

L’operatore sanità sconta sulla sua pelle le conseguenze dei tagli operati ai servizi di cui è innanzitutto vittima. Le aggressioni scaturiscono spesso dalla ignoranza, dalla impotenza del paziente o dei suoi cari,si pensa che la soluzione praticabile sia quella di militarizzare gli ospedali, di assicurarela costante presenza di vigilantes o forze dell’ordine a tutela della sicurezza degli operatori.

Per tutto quando detto riteniamo sciagurata la proposta di Saverio Proia dell’agenzia governativa AGENAS di proporre al Governo e al Parlamento una legge che parifichi gli operatori sanitari ai pubblici ufficiali.

QUESTA LA PROPOSTA DI LEGGE
(modifiche all’articolo 583-quater del Codice penale e all’articolo 357 del codice penale)

  1. All’articolo 357 del Codice penale è aggiunto il seguente periodo: “sono, altresì pubblici ufficiali chi assicura la fruizione di un diritto costituzionalmente garantito, ivi compresi gli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie di cui alla legge 11 gennaio 2018, n. 3, indipendente dal rapporto di lavoro con il quale esercitano la loro professione e dal luogo ove la svolgano.
  2. All’articolo 583-quater del codice penale è aggiunto, infine, il seguente comma: “Le stesse pene si applicano in caso di lesioni personali gravi o gravissime cagionate a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria di cui alla legge 11 gennaio n. 3, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio presso strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche o private o in altro luogo ove l’esercente la professione sanitaria o sociosanitaria stia svolgendo la sua professione, compreso a domicilio dell’utente; l’entità della pena può, altresì, essere raddoppiata nel caso che sia esercitata violenza fisica o psichica nei confronti di professionisti operante nei Dipartimenti di Emergenza Urgenza Accettazione ospedalieri o nei servizi di guardia medica di continuità assistenziale”.
  3. All’articolo 583-quater del codice penale, alla rubrica, sono aggiunte le seguenti parole: « , nonché a personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria presso strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche o private o in altro luogo ove l’esercente la professione sanitaria o sociosanitaria stia svolgendo la sua professione, compreso a domicilio dell’utente
  4. Nei confronti di chi commetta reati di offesa, vilipendio, minacce, aggressione e violenza nei confronti dei pubblici ufficiali di cui al comma precedente è perseguito d’ufficio senza interruzione temporale della possibilità da parte degli stessi di sporgere denuncia o querela.
  5. Questa è la peggiore proposta che si possa dare a un serio problema sociale, troppo facile usare il manganello nelle piazze e l’arresto del disagio dei malati e dei loro familiari che si trovano in condizioni di sudditanza davanti alle violenze proprio come i manifestanti operai di fronte alla chusura dei posti di lavoro, degli studenti come dei giovani ambientalisti che vogliono attenzionare la societa sul pericolo di un clima assassinato dallle politiche governative. Il Governo ha già predisposto che non è più necessaria la denuncia Perchè si potrà procedere anche d’ufficio.
  6. Una proposta di Legge che vede gli utenti come potenziali delinquenti, in perfetta linea con la repressione legislativa e militare messa in atto dal questo governo repressione di ogni forma di dissenso. Insomma l’abbattimento definitivo della Legge 833 e e un’altro atto di stupro della Costituzione antifascista.
  7. Fanno male, molto male, quei sindacati che danno corda a questo deterioramente delle stesse professioni sanitarie, anche perchè non è certo lungimirante pensare che reprimere i disagi dell’utenza porti a una maggiore sicurezza. Comunque bene ha fatto la Cgil Funzione Pubblica a predisporre corsi d’indirizzo per gli infermieri, e altre figure professionali, perchè la facile militarizzazione delle relazioni sociali porta alla barbarie e le telecamere a iosa, o la presenza delle pistole nei luoghi di lavoro e di studio, è confacente allo strapotere contro la ragione e non al contenimento degli atti violenti contro chi lavora e chi dissente.
  8. Finiamola con questa schizofrenia che prende tanti nel denunciare, finalmente, l’agonia della sanità pubblica e in contemporanea chiedere punizioni per chi ne paga prima di tutti i prezzi, quei malati e familiari sulla stessa barca di medici e infermieri.

Franco Cilenti

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