Pubblico impiego, cosa sta realmente preparando il Governo?

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Più passano i giorni, piu’ sta prendendo corpo il nuovo contratto nazionale del pubblico impiego, anzi i contratti dei 4 comparti con quello degli statali che avrà la precedenza sugli altri visto, per esempio, che gli enti locali non hanno ancora i fondi a bilancio per erogare gli aumenti.
Ancora una volta la trattativa avviene senza interloquire con i lavoratori che non solo apprenderanno i contenuti dei contratti a firme avvenute ma potranno solo esercitare un flebile dissenso in assemblee confuse nelle quali cgil cisl uil magnificheranno le sorti di un rinnovo che porterà pochi soldi e sottrarrà numerosi diritti acquisiti nel passato.

Una cortina di fumo impedirà ai piu’ di prendere visione dei reali contenuti dell’intesa e lo specchietto per le allodole sarà costituito dagli arretrati del 2017 che daranno l’illusione di tornare al passato, ai tempi nei quali non esisteva la beffa della indennità di vacanza contrattuale e percepivamo in busta paga gli arretrati di tutti i mesi, spesso anni, nei quali eravamo rimasti senza contratto.

Ma rispetto al passato non ci sarà neppure un parziale recupero del potere di acquisto dei salari, se la caveranno con meno di 50 euro netti e magari in piu’ trances mentre in 9 anni abbiamo perso ben altre cifre.
Un argomento dirimente sarà quello dei codici disciplinari per favorire i licenziamenti e punire le assenze in nome della “continuità dei servizi all’utenza”, già parlano di sospensione dallo stipendio fino a sei mesi per i colpevoli di assenze strategiche. Qui non si tratta di esaltare logiche che non ci appartengono come il rifiuto del lavoro e men che mai ritenere l’assenteismo un’arma contro il Governo in una sorta di stupida rivalsa individuale per il deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

Vorremmo invece aprire un ragionamento diverso a partire dall’obbligo del lavoro nei giorni festivi sancito dai contratti del commercio, dal ricorso agli orari multiperiodali e alla settimana lavorativa che si dilata o si restringe a piacimento delle aziende nella logistica e ben presto anche nel pubblico impiego, magari agitando lo spauracchio degli orari spezzati.
Nel recente passato alcuni dipendenti hanno fatto ricorso anche all’arma dei certificati quando ordini di servizio ingiusti obbligavano al lavoro nei giorni festivi senza per altro corrispondere un riposo compensativo o il pagamento degli straordinari ma solo una misera indennità. La protesta, giusta o sbagliata che fosse, era il risultato di carichi di lavoro sempre meno sostenibili, di piani occupazionali che non incrementavano gli organici nonostante macroscopici tagli determinati dai pensionamenti e dalle mancate assunzioni nel passato, da ordinanze dei Sindaci o disposizioni dei direttori sanitari per i quali i lavoratori e le lavoratrici hanno ormai solo doveri e ben pochi diritti. I dati dell’Inps dimostrano che non esiste un dipendente pubblico fannullone che va in malattia a fine o inizio settimana. Se la forza lavoro invecchia e i carichi di lavoro aumentano, cresce anche l’incidenza della malattia e il numero degli infortuni, non siamo noi ma le statistiche e le ricerche a dirlo con dati alla mano.

Le statistiche dell’Inps confutano anche i luoghi comuni sull’elevato tasso di assenteismo nel Sud Italia, infatti è proprio il Nord-Ovest l’area geografica che presenta il maggior numero di certificati medici (28,4%), seguita dal Nord-Est e dal Centro con percentuali pressoché analoghe (rispettivamente 21,4 e 21,1%). Ma nell’area del nord Ovest , guarda caso, si registra l’aumento maggiore dei carichi di lavoro con aumento dello stress correlato al lavoro.
E’ per questa ragione che il sindacato dovrebbe sottrarsi al ricatto di sottoscrivere un contratto nazionale accettando norme repressive contro l’assenteismo e soprattutto senza mai entrare nel merito delle condizioni di lavoro e di vita, magari con la motivazione che non sono materie oggetto di contrattazione. E allora se queste materie non vanno contrattate, perchè il sindacato si presta ad accogliere le richieste del Governo e della Confindustria di penalizzare le assenze applicando anche , come nel pubblico impiego, i codici disciplinari ?
Dalle prime notizie si sa che dentro il prossimo contratto degli statali, ci sarà una sorta di accordo tra l’ufficio disciplinare e il dipendente che potranno accordarsi sulla penalità in caso di alcune assenze, ovviamente nel rispetto della legge e di un contratto che recepirà normative degne della Inquisizione

Sempre citando i dati Inps, sono i lavoratori del settore privato quelli che si assentano di piu’, nel 2016 sono stati 4,4 milioni i dipendenti che hanno presentato almeno un certificato di malattia, quelli del pubblico 1,8 milioni, maggioranza maschi nel settore privato (56,6%) e in maggioranza femmine in quello pubblico (68,7%). Se riflettiamo sui dati si capisce di cosa parliamo perchè nel privato sono piu’ numerosi gli uomini , nel pubblico invece le donne. Ma a fronte di un invecchiamento progressivo dell’età media e all’aumento dei carichi di lavoro, siamo in presenza di aumenti irrisori dell’astensionismo e tutti giustificati dal deterioramento delle condizioni lavorative. Poi ci saranno anche i casi dei furbetti (del cartellino o del certificato) ma da qui a ritenerli un fenomeno endemico contro cui scatenare codici disciplinari repressivi corre grande differenza.
Intanto è bene sapere che non sappiamo ancora le modalità con le quali saranno erogati i fatidici aumenti di 85 euro lordi, non si sa se andrà in porto la riduzione a 35 ore dell’orario settimanale previsto per chi opera con turni flessibili e carichi di lavoro particolarmente gravosi, di sicuro saremo noi tutti\e a pagare questa riduzione con meno straordinari, impossibilità di cumulare piu’ indennità, aumento dei carichi di lavoro e maggiori responsabilità, saremo impossibilitati a sommare l’indennità di turno e le maggiorazioni per i festivi e nel caso di giorno festivo infrasettimanale avremo solo una maggiorazione di stipendio del 10% piu’ gli eventuali bonus previsti dal contratto (30% per il turno notturno o festivo, 50% per quello notturno in giorno di festa).

Tra un turno e l’altro non saranno piu’ 12 le ore di riposo ma 11 (le normative europee sono piu’ arretrate. Nessun problema, invece, per l’adeguamento alle regole europee che prevedono 11 ore di riposo continuativo (il vecchio contratto dei ministeri ne contemplava 12). Per il resto, le varie forme di flessibilità sono ripescate dai vecchi contratti: è il caso dell’orario «multiperiodale», che consente (dal 1995) di cambiare l’impegno settimanale a patto di mantenere la media di 36 ore, oppure dell’«orario flessibile», che permette di fissare entrata e uscita in fasce temporali e non in orari puntuali.

Federico Giusti

7/12/2017  www.controlacrisi.org

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