Raccontare le donne

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Una semplice ricerca in rete alla voce “ femminicidio” offre un’ impressionante catena di notizie.

Donne di ogni età, condizione sociale, istruzione, professione. Giornali, blog, social, trasmissionii televisive riportano notizie di violenze, dalla più estrema alla quotidiana piaga delle molestie “ minori” subite dalla donne sul lavoro, in autobus, a scuola, in ospedale. I fatti sono sempre sconvolgenti sia per gravità che per quantità e frequenza. Ogni volta che si legge di una donna uccisa ci si chiede come intervenire, come far cessare questo scempio. Si dibatte molto sul tema, ma forse non abbastanza e comunque senza grandi risultati, su come estirpare la piaga della violenza di genere , ricordando, peraltro, che il “ genere” è oggi qualcosa di diverso e complesso dalla tradizionale divisione binaria maschi/ femmine.

Le radici della violenza sulle donne risiedono in un complesso intreccio di fattori, dalla gestione del potere politico ed economico, alle conseguenti legislazioni, ai rapporti economici che regolano la nostra società.

Non è affatto secondario il ruolo della comunicazione, dell’uso dei linguaggi ( verbali ma anche artistici, cinematografici) delle modalità che si scelgono per raccontare le donne, sia quando sono vittime, sia quando sono eroine o protagoniste. Le parole “sono pietre” e come tali andrebbero maneggiate con cura e mai scagliate , usate per aggiungere violenza alla violenza, per trasformare gli eventi, ponendoli in una luce sbagliata, dove la vittima diventa colpevole.

Sono di pochi giorni fa le avventate parole della Palombelli, che, al netto delle sue rettifiche e spiegazioni, hanno platealmente espresso il pensiero che spesso accompagna il giudizio sui casi di delitti compiuti sulle donne. Le donne provocano, esasperano, oppure tollerano troppo, scelgono male, “ se la cercano “, ci ricascano, peccano di ingenuità o di egoismo a seconda della situazione: si espongono troppo oppure si negano, sono infedeli di nascosto ma se decidono di troncare perchè non stanno più bene, il partner lasciato non si rassegna. Finiscono per vedersi sempre riconosciuta una percentuale variabile di “ colpa” in quello che succede loro; contemporaneamente, in molte narrazioni, agli uomini si riconoscono giustificazioni, alibi, ( la passione, il raptus, la momentanea fragilità).

Ma anche quando ( non troppo frequentemente) le donne sono protagoniste, la tentazione di ritrarle secondo i canoni estetici correnti prevale perfino sulla realtà storica, come nel caso della statua della spigolatrice di Sapri, appena inaugurata e che, a parte il giudizio estetico personale, rappresenta una scelta di immagine forse poco attinente al contesto che vorrebbe celebrare. Certo, può sembrare, questa, una questione minore, ma la cultura che pervade una società si nutre di quotidiano, di immagini e parole ed ha una influenza sulla qualità del pensiero, e degli atti che ne conseguono.

Loretta Deluca

Insegnante Torino

Collaboratrice redazionale del mensile Lavoro e Salute

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