Sanità pubblica in declino: LEA 2023, specchio di un sistema malato tra privatizzazioni, disuguaglianze e sottorganico

Il recente rapporto del Ministero della Salute sui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per il 2023, lungi dall’essere un bollettino di salute, suona come un allarme per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Se da un lato si evidenzia un tenue miglioramento nell’ambito ospedaliero, dall’altro emergono ombre inquietanti: disuguaglianze regionali stridenti, una prevenzione in affanno e una riforma dell’assistenza territoriale che non decolla. Dietro questi dati, si celano dinamiche profonde che minano la natura universalistica e pubblica del nostro sistema sanitario: le spinte verso la privatizzazione, le acute differenze regionali esacerbate dall’assurda autonomia differenziata e una cronica carenza di personale demotivato e sottopagato.

La narrazione di un SSN che “migliora” nell’ospedaliera è fuorviante. L’ospedalizzazione è spesso la conseguenza del fallimento della prevenzione e dell’assistenza territoriale. Concentrarsi sui miglioramenti ospedalieri mentre si trascurano le fondamenta del sistema è come abbellire la facciata di un edificio con fondamenta marce. Questa enfasi sull’ospedaliera potrebbe non essere casuale, ma riflettere una tendenza sottostante alla privatizzazione strisciante del settore. Le strutture ospedaliere, soprattutto quelle ad alta specializzazione, sono più appetibili per il privato, garantendo margini di profitto maggiori rispetto alla medicina territoriale e preventiva, meno “redditizie” ma essenziali per la salute pubblica e la sostenibilità del sistema nel lungo termine. La retorica dell’efficienza privata rischia di erodere ulteriormente l’investimento nel pubblico, creando un circolo vizioso di depauperamento delle strutture pubbliche e conseguente migrazione verso il privato per chi può permetterselo, acuendo le disuguaglianze sociali.

Le profonde differenze regionali emerse dal rapporto LEA sono un altro sintomo di un sistema frammentato e diseguale. La mappa di un’Italia sanitaria a due velocità, con regioni virtuose del Nord e fanalini di coda del Sud, non è una novità, ma si consolida e rischia di aggravarsi con la spinta all’autonomia differenziata. Se le regioni più ricche ottengono maggiore autonomia gestionale e finanziaria, si crea il rischio concreto di un sistema sanitario “a macchia di leopardo”, dove i diritti alla salute dei cittadini dipendono dal luogo di nascita o di residenza. L’autonomia differenziata, contrasta con il diritto costituzionale alla salute, ed è incompatibile anche se si introducono meccanismi di perequazione e solidarietà nazionale, di fatto istituzionalizza e amplifica le disuguaglianze già esistenti, minando il principio di universalità e coesione del SSN.

Infine, la cronica carenza di personale sanitario, denunciata da anni da sindacati e associazioni di categoria, è una ferita aperta che incide profondamente sulla qualità dei servizi. Medici, infermieri e operatori sanitari, sottoposti a turni massacranti e retribuzioni inadeguate, sono allo stremo. La fuga dal settore pubblico verso il privato, o addirittura verso l’estero, è una conseguenza logica di questa situazione. La mancanza di personale qualificato si traduce in liste d’attesa infinite, servizi depotenziati, difficoltà di accesso alle cure, soprattutto nei territori più disagiati e nelle aree della medicina territoriale e preventiva, già cronicamente sottofinanziate. La riforma dell’assistenza territoriale, pur ambiziosa sulla carta, rischia di rimanere lettera morta se non accompagnata da un massiccio investimento in risorse umane e da politiche di incentivazione che rendano attrattivo il lavoro nel SSN.

Il rapporto LEA 2023, letto in controluce, rivela le fragilità di un sistema sanitario pubblico in esplosione, minato da spinte privatizzatrici, disuguaglianze regionali e una drammatica carenza di personale. Parlare di “miglioramenti” parziali serve solo a distrarre l’attenzione dai problemi strutturali che erodono la capacità del SSN di garantire il diritto alla salute a tutti i cittadini, in modo equo e universale. È necessario un cambio di rotta radicale, che rimetta al centro l’investimento nel pubblico, la riduzione delle disuguaglianze territoriali e la valorizzazione del personale sanitario, allontanandosi dalle logiche privatizzatrici e dalle politiche che rischiano di frammentare ulteriormente il sistema. Solo così si potrà salvare il Servizio Sanitario Nazionale dal declino e garantirne la sopravvivenza come pilastro fondamentale del nostro welfare e della Costituzione.

Marco Nesci

27/2/2025 https://www.apcinkiesta.it/

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