SANITA’ PUBBLICA IN RITIRATA

Come abbiamo più volte denunciato, con dati e cognizione di causa in questi mesi di pandemia, niente sarà come prima ma peggio. Il ministero della salute si affida ai privati, anche non convenzionati, per togliersi dagli impicci che gli procurano milioni di cittadini in attesa perenne di visite e interventi. Come primo finanziamento ci sono 800 milioni. Continuiamo ingenuamente a chiederci perché questo fiume di euro non venga speso per potenziare le strutture pubbliche, le uniche sicure e adeguate, a iniziare da assunzioni immediate di infermieri, medici e OSS.

Ormai è lampante la certezza del governo di poter fare impunemente quello che crede e di fatto accontenta anche l’opposizione parlamentare, che certamente preferirebbe che la privatizzazione fosse più accelerata ma si accontenta, al netto dello sbraitare comunque per ottemperare ai loro ruoli di pifferai magici per il loro elettorato.
In questo Parlamento non c’è opposizione sui contenuti vicini ai bisogni reali della maggioranza degli italiani, quindi Governo e “opposizione” mettendo in conto la rabbia, senza rappresentati nelle istituzioni, dei cittadini vanno avanti per la loro strada privatizzatrice di ogni spazio pubblico.

La mortale gestione della pandemia ha coperto ulteriormente la storica commistione tra gli affari della sanità privata e le complicità politiche nel governo e delle Regioni del centronord dove la privatizzazione della sanità pubblica è quasi definitiva. E sarà sempre peggio senza una risposta di lotta unitaria nel martoriato lavoro pubblico, per, in primo luogo, affrontare la mancanza di personale che rende impossibile erogare servizi essenziali, spesso vitali.

Siamo “ritardati” nella medicina territoriale e nella prevenzione rispetto agli altri Paesi europei , bene ricordare che eravamo negli anni 80/90 il Paese con la migliore sanità territoriale. Questo ritardo si traduce in grandissime diseguaglianze sanitarie anche in un divario di inciviltà tra Regioni: Per fare un esempio, l’aspettativa di vita in Trentino Alto Adige, con forte presenza di servizi territoriali di prevenzione, assisstenza e cura è superiore di otto anni rispetto a quella in Campania.

Per imporre il bisogno del ritorno alla medicina preventiva e di base smantellata con operazioni gattopardesche negli ultimi due decenni. Il conto di queste politiche ce l’ha presentato la pandemia che ha chiarito quanto fosse deviante la spinta nel burrone dell’ospedalizzazione e dell’aziendalizzazione, con la conseguente desertificazione del territorio per destrutturare la medicina di base e l’organizzazione distrettuale.

Quindi abbiamo chiaro il quadro della situazione in cui versa il nostrosistema sanitario, ricordando che non si può chiamarlo Servizio Sanitario Nazionale dopo la sciagurata riforma dell’art V della Costituzione che ha regalato alle Regioni le decisioni sul diritto universale alla salute dei loro cittadini ai cambiamenti elettorali?

In questo stato di cose abbiamo chiaro che se nella pandemia non ci fosse stato il disinteressato aiuto determinante di Cuba e dei suoi medici oggi avremmo in Lombardia e in Piemonte (due delle Regioni più vicine agli affari del privato sanitario) una situazione ben peggiore?
Il ministero della Sanità cubano ha riferito che in Piemonte i membri del contingente hanno effettuato oltre 5.100 interventi medici, circa 29.000 procedure infermieristiche e hanno curato più di 170 pazienti con un solo deceduto.
L’atto di riconoscimento il 21 luglio 2020 di sera alle 22 quando la Mole Antonelliana di Torino si è illuminata per celebrare il ritorno a casa della Brigada Medica “Henry Reeve” rischia di essere solo un evento spettacolo se non capiamo quale importanza deve avere un sistema sanitario nelle politiche di un governo degno.

Di certo, ad oggi, questa dignità non la riscontriamo e tutti dovremmo porci una domanda: come affronteremo le nuove patologie in itinere causa la pandemia e la sua gestione politica, con un sistema sanitario pubblico disastrato e succube dell’invasione dei lanzichenecchi delle strutture private che gongolano sempre di più di fronte affari che faranno?
Qualcuno degli ambiti decisionali, nel governo e nelle Giunte regionali, ci può assicurare nella delega data ai privati della bontà che dovrebbe permettere l’attenzione di fronte ai milioni di malati in attesa e ai milioni che soffriranno di patologie sociali finora considerate secondarie o addirittura immaginarie lamentate da presunti ipocondriaci?

Una ricerca della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli attesta come l’80% degli italiani hanno sviluppato, grazie al lockdown e verosimilmente alla dissennata informazione erogata dai media, sintomi ansioso-depressivi di varia gravità: dai più lievi fino a sintomi depressivi gravi. Dai dati è risultato che l’80% delle persone che ha vissuto questa emergenza collettiva, ha sviluppato sintomi ansioso-depressivi di diversa entità. E si è osservato – fino alla fine di luglio – che il tempo non ha diminuito i disturbi, ma più è andata avanti la pandemia più si sono aggravati questi sintomi. È un problema che riguarda non solo i pazienti psichiatrici ma anche la popolazione generale.

Sono problemi che vengono derubricati dalla politica dominate e abbandonati agli spazi familiari già provati e impoveriti dalle diseguaglianze economiche e dalla disoccupazione, oppure delegati alle strutture caritatevoli così bollandoli come poveri e malati per tutta la vita.

Tutta questa catastrofe sociale, che ovviamente porterà più crepe nella convivenza civile del Paese tutto a vantaggio delle mafie, poteva quantomeno essere attutito?

Psichiatri e psicologi ci hanno provato, ma si sono trovati soli, senza un sistema strutturato su cui appoggiarsi. Un sistema ormai senza linee guida, protocolli e con direttive aziendali e regionali sempre più confuse.
Tra i servizi territoriali chiusi, ospedali pieni, i pazienti affetti da disturbi mentali sono stati in gran parte abbandonati a loro stessi, relegati in situazioni socio-abitative disfunzionali, condannati a sentirsi per un’ennesima volta un peso per la società.

Se poteva essere attuito rischia di essere una domanda retorica se registriamo, inconfutabilmente, che nessuna istituzione ha pensato di tutelare i più deboli, di attuare un programma di prevenzione attiva del disagio psichico derivato dalla grave situazione in cui siamo colpevolmente caduti anche per diretta colpa delle politiche che hanno storto il naso quando alcuni anni addietro medici, scienziati ed esperti di sanità avevano avvisato che le malattie infettive continuavano ad essere un pericolo costante in un sistema globalizzato basato sulla mercificazione di ogni ambito della vita. Erano gli anni post picco HIV quando le istituzioni governative e regionali iniziarono a smantellare la ricerca e le strutture di diagnosi e cura del malattie infettive.

Sono 20 anni che silenziosamente, e spesso mistificando letteralmente, i privatizzatori istituzionali hanno prodotto la crisi del SSN, tanto è vero che ad oggi quasi il 40% di molti Servizo Sanitari Regionali sono in mano al privato accreditato, anche nell’Emilia e Romagna e con il record della Lombardia che supera il 50%.
Hanno operato in silenzio e senza sosta- con la sola opposizione di associazioni di malati , comitati locali e nella sfera politica nazionale da Rifondazione Comunista- ma i cittadini dei territori dove si è tagliato servizi di base e ospedali se ne sono ben accorti, impotenti nella loro rabbia.
Hanno operato in silenzio er poi dichiarare la sua insostenibilità economica. Questo nel mentre è cambiata la demografia del Paese (invecchiamento, calo delle nascite e immigrazione da altri Paesi europei e continenti utile a contribuire anche economicamente una pur precaria -causa la criminale propaganda razzista-stabilità del tessuto sociale).
Nel mentre hanno reso ancora più crepante il quadro le dissennate politiche economiche e sociali, la modifica del Titolo V della Costituzione con la regionalizzazione della sanità che ha aggravato le diseguaglianze nell’erogazione dei LEA, l’aziendalizzazione della sanità e la non effettiva integrazione professionale, l’involuzione del rapporto paziente-medico, l’induzione alla trasformazione del cittadino in consumatore di prestazioni sanitarie.

Da quanto stanno assistendo i cittadini, impotenti, ma anche incapaci ormai di indignarsi causa l’apatia alla quale sono stati portati da decenni di propaganda miserabile contro la partecipazione alla vita politica attiva dal sistema d’informazione lottizzato e con leggi truffaldine come il sistema elettorale maggioritario, vedi le liste d’attesa con migliaia di persone che attendono da mesi esami e visite mediche.
Questa politica ne tiene conto dei ritardi che spesso sono causa di malattie e morti? E se non tiene conto chi gli presenta il conto?

Eppure basterebbe poco per rispettare il diritto alla salute e a un lavoro sicuro:

  • Un piano straordinario di assunzioni, tra cui almeno 25.000 infermieri;
  • Trasformare le partite Iva in contratti a tempo indeterminato;
  • Aumenti salariali per buste paga dignitose e in linea con i parametri europei;
  • Recupero dei presidi sanitari dismessi per costruire ambulatori pubblici;
  • Eliminare ogni tetto di spesa;
  • Eliminare gli appalti al ribasso;
  • Riduzione drastica degli accreditamenti delle strutture private;
    E tanta programmazione su investimenti e innovazione.
    E’ quanto dovrebbero capire anche i sindacati, affrancandosi dai legami con le lobby politiche e considerarsi ancora utili per costruire lotte, senza le quali con le parole si diventa cortigiani.

Redazione Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero 8/9 settembre 2020 www.lavoroesalute.org

Puoi leggerlo anche in versione interattiva: https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-settembre-2020/

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