Sesso e disabilità: perché lo nascondiamo?

Quando si parla di autismo ciò che generalmente salta all’occhio è che si immagina quasi sempre l’autistico come un bambino e come un angelo e ciò ha un portato abbastanza importante: si pensa alla persona autistica come una persona priva di sessualità.


Ma nella nostra società, purtroppo, questo trattamento non è riservato alle sole persone autistiche, e non a tutti noi autistici in egual misura: una persona definita (in modo improprio) “autistica ad alto funzionamento” probabilmente viene vista come un “quasi normale” sicché non si pensa di desessualizzarlo più di tanto; addirittura in certe proiezioni in cui si fa coincidere autistico e genio si ha forse la tendenza a erotizzare la persona autistica anche se, allo stesso tempo, si dipinge il “genio autistico” come distaccato e disinteressato creando così un’immaginario che disumanizza quella persona e la distacca dal contesto sociale negandone in qualche misura bisogno e desiderio affettivo ed erotico.


Verso tutti gli altri autistici il modo di agire comune è molto più semplicistico: non si prende neppure in considerazione il bisogno di tipo affettivo e sessuale. Sarebbe certamente lungo trattare l‘argomento nella sua interezza e si rischierrebbe di finire un po’ fuori strada ma è il caso di notare che la nostra società compie una simile operazione quando si parla di anziani, o di minori o, più in generale, di tutti coloro che non siano in salute, giovani e capaci di riprodursi o abbiano una qualche disabilità: il sesso è insomma vissuto come l’ennesimo privilegio a cui si ha diritto perché membri attivi e produttivi della società consumistica. Il sesso è inteso quasi come bene di lusso e se non hai i requisiti, ti è negato con estrema facilità quando non addirittura impedito anche con la somministrazione di farmaci.

Bisogna a questo punto comprendere che nella nostra società il sesso è totalmente e volutamente frainteso. In tutta la nostra cultura, e in quella determinatasi con la Riforma luterana e la Controriforma cattolica in particolare, il sesso si è visto in un’ottica industriale e fare sesso è associato a scopi meramente riproduttivi. Questo ha portato alla stigmatizzazione del piacere, specie femminile. Tuttavia questa maniera di intendere la sessualità è figlia di un tempo e di una cultura ben determinati nello spazio e nel tempo e che coincide con la cultura patriarcale e capitalista che si è originata nel 1600 e che è oggi comunemente accettata come cultura dominante. Dominante al punto che alcune concezioni tipicamente capitaliste vengono intese come invece “naturali”, facendo ricorso a un termine, “naturale”, che non ha alcun significato specie davanti alla nota affermazione di Levi-Strauss “In contesto umano cultura è natura”. Oggi però si usa il concetto di natura in maniera ideologica e si parla di “famiglia naturale” per fare riferimento alla coppia eteronormata e vincolata da matrimonio determinatasi, in pratica, con la riviluzione industriale.

Quanto questo modo di intendere, meramente utilitarista ed economicista, sia castrante e costrittivo per l’individuo è ben noto ed è qualcosa su cui il femminismo è tornato spesso. La critica femminista al patriarcato e al suo privare del piacere il corpo femminile può essere allargata anche al corpo dei disabili e si può cominciare a guardare a quei corpi sotto un’altra luce. Se non diamo al sesso una mera funzione riproduttiva ( ruolo che non ha negli animali sociali, tanto in quelli più vicini a noi- vedi scimmie- sia in quelli un po’ più lontani- vedi delfini e cetacei) e se pensiamo al corpo non come a un involucro ma a qualcosa che è qualcuno e che è capace di esperire piacere e dolore in egual misura ( finché un fattore esterno non lo impedisca), allora risulta chiaro che non esiste alcun motivo per cui non si debba pensare che non solo un individuo disabile non debba provare piacere ma, anche, non debba ambire a soddisfare questa necessità.

Certo, nessuno muore senza sesso o, almeno, non si può stabilire un nesso diretto di causa/effetto tra astinenza sessuale e morte. Tuttavia è del tutto evidente che un’astinenza imposta a qualcuno che vede o impara a vedere quella come una condizione permanente da cui non potrà mai uscire porta chiaramente a un crollo dell’autostima e a una frustrazione e repressione, senso di isolamento e rifiuto tanto forti che è impossibile non notare che anche questo contribuisca ad innescare circoli viziosi che alimentano una depressione che, questa sì, può condurre a morte. E non sono poche le ragioni per cui una persona disabile possa essere spinta verso la depressione nel nostro contesto culturale. Vediamo per esempio che una persona disabile e non in grado di parlare si vedrà quasi certamente assegnare una identità di genere e un orientamento sessuale in base ai caratteri biologici che mostra il suo corpo e così potremmo avere una persona trans trattata costantemente secondo un genere che non le appartiene o potremmo vedere una persona omosessuale essere immaginata come eterosessuale senza che il soggetto abbia la possibilità di affermare la propria identità e orientamento anche perché questo viene reputato una questione minore.

La condizione in cui vive un autistico ritenuto “non ad alto funzionamento” e/o un disabile è quella di totale abbandono, un vuoto da parte soprattutto delle strutture preposte alla salute e all’assistenza dell’individuo e le famiglie vengono messe nella condizione di essere le uniche a doversi occupare della cura del congiunto e, spesso, questa cura diventa un prendersi cura anche della vita sessuale della persona disabile.

Tendendo un po’ l’orecchio ed ascoltando ci si può imbattere in appelli disperati e “confessioni” di madri che parlano di situazioni in cui si vedono costrette a soddisfare le necessità sessuali del figlio in quello che diventa contemporaneamente qualcosa di incestuoso (sono prestazioni sessuali che una madre rende al figlio) e un vero stupro ai danni di una persona che si vede psicologicamente costretta a fornire prestazioni sessuali a un figlio che, altrimenti, non avrebbe alcuna possibilità di soddisfare quei bisogni. In quanto qui detto potrebbe ravvisarsi dello stigma da parte mia o anche il prendere in considerazione solo la madre però, pur non negando che anche un padre possa soddisfare le necessità sessuali del figlio, ciò non viene confessato e io non mi sono mai imbattuto in queste confessioni.

Inoltre, verso queste persone abbandonate a se stesse va la mia solidarietà e non la mia condanna. Il mio biasimo va verso una società sessuofoba e ipocrita che preferisce girarsi dall’altra parte e fingere che certe necessità non esistano e, quindi, condanna a solitudine, isolamento e situazioni psicologiche molto pesanti coloro che invece quelle situazioni le vivono da dentro. Il diniego della realtà arriva al punto che un minimo si parla della necessità di una vita sessuale per gli uomini disabili ma una donna disabile non viene neppure presa in considerazione come essere con necessità di quel tipo.

È necessario smetterla di considerare il sesso un privilegio e appannaggio dell’elite produttiva e pensare che un essere umano, come animale sociale, è anche un animale sessuale e che il sesso, come negli altri animali sociali, non ha solo finalità riproduttive ma anche forti implicazioni sociali e di salute fisica e psicologica.

Col sesso gli animali sociali stabiliscono legami e si prendono cura di sé e dell’altro accrescendo il proprio benessere e quello collettivo. Forzare qualcuno a una castità non voluta, non richiesta e vissuta come condanna, lasciare che dei genitori siano gli unici a dover far fronte a queste necessità e non considerare che anche una persona non in grado di comunicare e con un corpo con attributi femminili possa necessitare di sesso è ipocrita e ponziopilatesco e meritevole della più netta condanna.

Anche perché a tutto ciò si potrebbe agevolmente far fronte, se lo si volesse. E qui spero non si inneschino le lunghe polemiche contro il sex work su cui non intendo esprimere qui le mie posizioni e che porterebbe fuori strada. In alcuni paesi si stanno istituendo figure di professionisti preparati proprio per far fronte a queste necessità. Potrebbe anche non essere donne, tenendo sempre presente il rispetto per il disabile e il suo orientamento sessuale. Cominciare a lavorare per creare figure professionali che si occupino di questo e far uscire la sessualità dei disabili dalla zona d’ombra per viverla come ciò che è potrebbe aiutare le persone disabili a vivere meglio le proprie vite e noi tutti, come società, ad abbandonare il taboo del sesso .

Parlare di sesso e sessualità fornendo anche solo una preparazione e gli strumenti potrebbe inoltre aiutare a vivere il proprio corpo con maggiore consapevolezza e conoscere se stessi e le proprie esigenze potrebbe anche fornire i mezzi per comprendere se e quando si è vittime di un abuso riducendo anche il numero di violenze sessuali di cui è vittima chi non ha i mezzi per capire o chi vive in condizioni di abbandono e su cui una violazione si svolge inosservata. In una società matura non bisognerebbe infantilizzare e desessualizzare nessuno né abbandonarlo a se stesso ma bisognerebbe fornire conoscenze, supporto e sostegno.

Giuseppe Roberto D’Amico

3/5/2021 https://www.intersezionale.com

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