Sicurezza: cosa cambia con il referendumsui subappalti?

Versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-aprile-2025/

Archivio https://www.lavoroesalute.org/

Quando parliamo di RESPONSABILITA’ DEL COMMITTENTE nella filiera degli appalti ci possiamo riferire a diversi aspetti, solo alcuni anche se molto importanti sono oggetto del 4° quesito referendario.

Arrivano fino a 500 mila, in Italia, le denunce annuali di infortunio sul lavoro, con la media di un migliaio di morti ogni anno.

Soprattutto nel campo dell’edilizia, uno dei più rischiosi che useremo come paradigma, la responsabilità di chi affida i lavori ad una molteplicità di imprese medie e piccole nella catena degli appalti che suddividono le fasi di lavorazione “esternalizzando” il lavoro, è centrale.

L’impresa committente e/o affidataria ha in mano le chiavi dell’intera opera: un edificio in costruzione è un bene unitario, che sarà oggetto di vendita e quindi di profitto.

Purtuttavia le parti che lo compongono sono molteplici: la muratura, gli infissi, gli impianti (idraulico ed elettrico), le rifiniture ecc. ecc.

Il contratto di appalto (quello “buono”, quello c.d. “genuino” di cui all’art. 1655 del codice civile) è lo strumento giuridico per commissionare opere di varia natura all’interno dell’assemblaggio dell’intero bene finito, che in edilizia è un immobile:

“L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.“

Spesso però questa veste giuridica maschera un finto appalto (l’appalto illecito) che diversifica non le singole opere da realizzare, ma le singole categorie di lavoratori, i quali vengono impiegati nella stessa fase di lavorazione dell’appaltante ma assunti con contratti di lavoro diversi, più svantaggiosi o meno tutelati da aziende che pur rispondendo in proprio dei rischi specifici della fase di lavoro, non hanno la necessaria idoneità tecnica od affidabilità economica, proprio in quanto fungono da schermo alla responsabilità del vero datore di lavoro.

Per questo motivo in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, per la corresponsione dei trattamenti retributivi ed il versamento dei contributi previdenziali a cui sono tenuti l’appaltatore o il subappaltatore (articolo 29 del D.Lgs. n. 276/2003 – “legge Biagi”- integrato dall’articolo 1, comma 911, della legge n. 296/2006 – “Finanziaria 2007”).

Se da un lato il contratto di appalto è astrattamente giustificato, dall’altro La frantumazione delle attività in tante microimprese, tra loro in competizione al ribasso sui costi del lavoro, e la mancanza di coordinamento tra di esse non sono errori, ma rappresentano un modello organizzativo che ha come scopo il massimo profitto.

Ed è evidente come in questi anni le scelte legislative abbiano reso più facile ed agevole il ricorso ad appalto e subappalto fino agli ultimi interventi del governo, che li liberalizza ulteriormente, nel nome di quel “non disturbare chi produce” molto caro alla destra liberista, ma forse anche al centro sinistra di segno liberista.

Certamente all’interno di un cantiere le responsabilità si incrociano e si dovrebbero coordinare. I vari titolari o legali rappresentanti delle singole imprese esecutrici e a loro volta affidatarie di sub appalti, in una filiera spesso troppo lunga, sono per legge figure “di garanzia”, ciascun datore di lavoro dovrebbe garantire cioè la predisposizione delle misure di prevenzione e sicurezza per il lavoro specifico svolto ed eventualmente rispondere penalmente e civilmente per i danni subiti dagli eventuali lavoratori infortunati.

A sua volta il committente dei lavori, quando fosse nella veste di impresa, dovrebbe farsi carico di coordinare le diverse attività e le interferenze tra il loro svolgimento in un ambiente, quello del cantiere mobile, molto limitato e perciò stesso pericoloso.

Vediamo ciò che è successo nel cantiere Esselunga di Firenze dove hanno perso la vita 5 operai: nel comunicato del procuratore si parla di omissioni nell’ “adottare e/o di attuare efficacemente, prima della commissione del fatto, un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della specie di quelli verificatisi e, in particolare, di adottare un modello che contenesse procedure idonee ad evitare (o a consentire) che la progettazione e l’esecuzione degli elementi prefabbricati venisse reiteratamente eseguita frettolosamente e con gravi e palesi errori di progettazione e di esecuzione”.


la frantumazione delle imprese e conseguentemente dei lavoratori non consente una corretta visione di insieme dell’intera opera, i lavoratori non si conoscono nemmeno fra di loro e conseguentemente non si coordinano correttamente e quindi attuano lavorazioni potenzialmente rischiose nella loro interferenza.

In tema di committente stiamo parlando del vertice di una piramide, della impresa solitamente più solida economicamente, quella abituata a vendere immobili ancora da costruire mentre più cantieri sono in attività, quella che realizza i profitti più alti, in quanto vende un bene finito ad alto valore aggiunto.

Ma dobbiamo tenere distinte le diverse responsabilità che fanno capo ad essa.

In tema di sicurezza lo schema logico deve essere sempre quello che distingue un “prima” e un “dopo” cioè il tema della responsabilità penale o amministrativa conseguente agli obblighi di prevenzione diretta (prima che accadano gli infortuni) e quello della responsabilità accertata in via giudiziaria riguardante un evento già storicamente occorso (il dopo infortunio) e cioè l’infortunio comportante lesioni o nei casi più gravi la morte di un lavoratore.

PRIMA DELL’INFORTUNIO

L’articolo 90 del D.Lgs. 81/08, Testo Unico sulla sicurezza, approfondisce, nello specifico, proprio gli “obblighi del committente o del responsabile dei lavori”.

Il titolo stesso di questo articolo introduce un primo tema. Ovvero, il committente può decidere se nominare o meno un responsabile dei lavori, affidandosi quindi a un soggetto che si occupi di svolgere i compiti attribuiti al committente stesso.

Dunque, nella fase di progettazione dell’opera, il committente o il responsabile devono attenersi alle misure generali di tutela della salute e sicurezza sul lavoro descritte all’articolo 15 (es. valutazione di tutti i rischi, programmazione della prevenzione, eliminazione o riduzione dei rischi, informazione e formazione lavoratori, ecc.).

Nel caso di più imprese esecutrici, inoltre, andranno designati il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP) e il coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva (CSE), di cui parleremo meglio nel prossimo paragrafo. Il committente o il responsabile dei lavori, se in possesso degli adeguati requisiti, possono anche ricoprire in prima persona i ruoli di CSP e CSE.

Qualora, invece, i lavori venissero affidati a una sola impresa o ad un lavoratore autonomo, committente o responsabile dovranno:

  • verificare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, di quelle esecutrici e dei lavoratori autonomi;
  • chiedere alle imprese esecutrici una dichiarazione dell’organico medio annuo, distinto per qualifica, con gli estremi delle denunce dei lavoratori effettuate all’INPS, all’INAIL e alle casse edili, oltre a una dichiarazione relativa al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, applicato ai lavoratori dipendenti;
  • prima dell’inizio dei lavori, trasmettere all’amministrazione concedente una copia della notifica preliminare, il documento unico di regolarità contributiva delle imprese e dei lavoratori autonomi e una dichiarazione attestante l’avvenuta verifica dell’ulteriore documentazione.

Proprio per la complessità del quadro di responsabilità, quindi, è consigliabile per il committente privato nominare un responsabile dei lavori, che si occuperà di adempiere a tali obblighi. In capo al committente rimane, comunque, la responsabilità di vigilare sull’operato del soggetto nominato.

Coordinatore per sicurezza in fase di progettazione e coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione identificano due ruoli distinti, che possono essere ricoperti da figure diverse oppure anche da una stessa persona. Ma che, in ogni caso, non vanno appunto considerati come sinonimi, in quanto svolgono mansioni differenti.

Nello specifico:

  • coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione: redige il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) e predispone il fascicolo con le informazioni utili alla prevenzione e protezione dei rischi;
  • coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione: verifica che i lavori vengano svolti correttamente, secondo quanto previsto dal Piano di Sicurezza e Coordinamento.

Come visto in precedenza, queste due figure entrano in gioco quando nel cantiere edile è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non in contemporanea. E la nomina spetta appunto al committente o al responsabile dei lavori, secondo quanto previsto all’articolo 90 del Testo Unico.

In generale, il mancato adempimento di quanto previsto per legge può comportare pesanti sanzioni per il committente o per il responsabile dei lavori. In base all’articolo 157, a seconda delle violazioni, si può arrivare anche a un’ammenda da 2.500€ a 6.400€ e all’arresto da 3 a 6 mesi. Questo per ciò che riguarda “il prima”.

TALE RESPONSABILITA’ DEL COMMITTENTE NON E’ OGGETTO DEL QUESITO REFERENDARIO.

DOPO L’INFORTUNIO

Quando un evento infortunistico invece purtroppo si realizza, la ricostruzione della responsabilità riguarda pur sempre la possibile violazione di norme di prevenzione ma viste “al passato”, per ricostruire l’elemento colposo del reato di lesioni od omicidio colposi, (art. 589 c.p. 2° comma e 590 c.p., 3°comma) e cioè la eventuale responsabilità penale del fatto che ha causato lesioni o morte di un lavoratore.

Ma nella ricostruzione giudiziaria dell’evento infortunistico l’elemento colposo della violazione di norme prevenzionistiche è necessario per la sussistenza della coesistente eventuale responsabilità civile, sempre dello stesso soggetto ritenuto colpevole.

La stessa responsabilità civile del committente si può ulteriormente suddividere in responsabilità propria, in quanto il committente ha violato i doveri di coordinamento descritti sopra (art. 90 T.U. sicurezza) e ha messo in pericolo i lavoratori delle diverse aziende, oppure in responsabilità solidale con il datore di lavoro diretto.

La responsabilità civile, a differenza di quella penale o amministrativa, non consiste in una “sanzione” comminata dallo Stato (pur essendo spesso molto afflittiva economicamente) ma nel ristoro del danno subito direttamente dal lavoratore o dai suoi familiari a causa dell’evento infortunistico (morte o lesioni gravi).

Un primo ristoro diretto ed immediato è fornito, in caso di infortunio, dalla assicurazione obbligatoria in materia di infortuni sul lavoro.

È l’assicurazione sociale obbligatoria diretta a tutelare il lavoratore in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale prevista dalla Costituzione (art. 38, comma 2) e disciplinata dal Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali approvato con d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 e ss.mm.ii., così come integrato dal D.lgs. n.38/2000.

L’assicurazione ha la funzione di garantire ai lavoratori, in caso di infortunio o di malattia professionale, prestazioni sanitarie relative alle prime cure, prestazioni economiche e forniture di apparecchi di protesi. Esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile conseguente all’evento lesivo subito dai propri dipendenti, salvo i casi in cui, in sede penale o, se occorre, in sede civile, sia riconosciuta la sua responsabilità per reato commesso con violazione delle norme di prevenzione e igiene sul lavoro.

L’obbligo assicurativo ricade in primis direttamente sul datore di lavoro ed esclude il committente.

Nei casi però in cui sia riconosciuta la responsabilità penale o civile del datore di lavoro, esso risponde per il c.d. danno differenziale.

Il danno differenziale è il risarcimento che un lavoratore può chiedere al datore di lavoro per un infortunio sul lavoro o una malattia professionale.

Si ottiene sottraendo l’indennizzo dell’INAIL dall’importo del risarcimento che si può chiedere al datore di lavoro. 

Il danno differenziale può essere richiesto quando l’indennizzo dell’INAIL non è sufficiente a coprire tutti i danni subiti. 

Danni che rientrano nel danno differenziale: 

  • Danno biologico temporaneo
  • Danno biologico permanente fino al 5% compreso
  • Danno morale
  • Danno dinamico-relazionale
  • Danno da perdita o menomazione del rapporto parentale
  • Danno patrimoniale

Come si ottiene il danno differenziale

Il lavoratore può chiedere il risarcimento del danno differenziale al datore di lavoro, anche per via giudiziaria. Per ottenere il risarcimento, il lavoratore deve dimostrare l’illecito e di avere subito un danno maggiore rispetto a quello risarcito dall’INAIL. 

Quando però il datore di lavoro diretto (ad esempio la microimpresa in coda alla filiera degli appalti), sia incapiente, ossia in fase di liquidazione giudiziale, fallimento o altro, oppure si tratti di impresa individuale legata al patrimonio personale del titolare firmatario che non presti garanzie di solvibilità, la legge soccorre i diritti riconosciuti al lavoratore accollando tale responsabilità civile all’impresa committente.

In relazione ai contratti di appalto o d’opera, l’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali i dipendenti dell’appaltatore o del subappaltatore non siano indennizzati dall’INAIL.

Purtuttavia, la responsabilità in solido non si applica ai danni che siano conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice (articolo 26, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008).

IL QUARTO QUESITO REFERENDARIO PROPONE AI CITTADINI:

L’abrogazione delle norme che impediscono, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante e cioè la parte che limita la responsabilità civile da danno differenziale nell’ultimo periodo della norma citata.

IL TESTO DEL QUESITO: «Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?»

 Sono responsabili in solido tutti i committenti che esercitano un’attività imprenditoriale o professionale, anche non edile, nonché gli enti pubblici con natura imprenditoriale. Sono esclusi i committenti non esercenti attività commerciale, come, ad esempio, i privati che commissionano lavori edili nel proprio appartamento, nonché le pubbliche amministrazioni.

L’OGGETTO DELLA SOLIDARIETA’ CIVILE DEL COMMITTENTE

Il committente privato (dell’intera opera) è economicamente responsabile in solido nei confronti dei lavoratori dipendenti dagli appaltatori o dai subappaltatori, edili o non edili. In pratica, la sua corresponsabilità si estende a tutta la “filiera” costruttiva dell‘opera.

In sintesi la responsabilità in solido del committente riguarda:

i trattamenti retributivi, contributi previdenziali, danni non indennizzati dall’INAIL;

La responsabilità in solido del committente non riguarda le ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente.

Trattamenti retributivi dovuti in relazione al contratto collettivo applicato, comprensiva degli elementi retributivi periodici maturati durante l’appalto o il subappalto (mensilità aggiuntive, TFR, ferie, ecc.). Per gli operai edili, anche gli accantonamenti e i contributi alla Cassa Edile;

Contributi previdenziali I contributi INPS e i premi INAIL dovuti per il periodo di esecuzione dell’appalto o del subappalto;

Danni non indennizzati dall’INAIL In generale, rientrano tra questi: • il danno morale • il danno biologico da inabilità temporanea • il danno biologico da inabilità permanente,    fino al 5% • il danno esistenziale • il danno biologico “differenziale” (differenza tra quanto liquidato dall’INAIL e quanto liquidato dal Tribunale).

La responsabilità in solido per i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali si estingue per legge trascorsi due anni dalla cessazione dell’appalto o del subappalto. Per la responsabilità in solido per i danni non indennizzati dall’INAIL la legge non stabilisce un termine; pertanto, deve ritenersi operante l’ordinaria prescrizione quinquennale o decennale (se c’è reato).

La legge non individua l’entità economica entro la quale il committente è responsabile in solido con appaltatore e subappaltatore. E’ pertanto da ritenere che tale entità possa anche eccedere il valore dell’appalto.

Per il committente non è prevista alcuna possibilità di esonero dalla responsabilità solidale verso i dipendenti di appaltatori e subappaltatori. E’ quindi opportuno che il committente si cauteli in vari modi, pur senza ingerirsi nell’attività e nell’organizzazione propria dell’appaltatore e dei subappaltatori.

Questa cautela “preventiva” del committente, dovuta al rischio di responsabilità solidale per i danni dovuti per infortunio, fanno sì che la scelta delle imprese appaltatrici sia più oculata, sia dal punto di vista della solidità economica che dal punto di vista della capacità di garantire le misure prevenzionistiche nei confronti dei rischi legati alle mansioni e alle lavorazioni dei loro dipendenti. In sostanza in via “indiretta” si catalizza l’attenzione e la cura per la sicurezza, sia pure per cautelarsi economicamente. Tale responsabilità aumenta i requisiti di sicurezza di tutte le imprese della filiera.

Nei confronti di tutti gli appaltatori e subappaltatori le precauzioni suggerite sono quindi:

 a) acquisire e controllare tutta la documentazione obbligatoria relativa ai rapporti di lavoro (DURC, certificazione CCIAA, dichiarazione dell’organico medio annuo e del c.c.n.l. applicato, ecc.) b) acquisire copia delle comunicazioni di assunzione dei dipendenti e dei collaboratori e l’elenco dei lavoratori impegnati nell’appalto o nel subappalto

c) effettuare accurati e ripetuti controlli sugli accessi in cantiere, verificando che le maestranze presenti coincidano con quelle indicate d) acquisire la comunicazione dell’orario di lavoro effettuato dal personale impiegato nel cantiere

e) prevedere clausole contrattuali che ribadiscano per l’appaltatore il divieto di subappalto senza autorizzazione e che consentano la sospensione dei pagamenti risoluzione in danno o la dell’appaltatore in caso di subappalto non comunicato o di irregolarità nei rapporti di lavoro, anche dei subappaltatori, nonché la facoltà di richiedere tutta la documentazione relativa al trattamento economico dei lavoratori e alla relativa contribuzione (modelli di denuncia e ricevute di versamento )

f) prevedere una fideiussione bancaria o assicurativa per eventuali irregolarità retributive o contributive rilevate entro i due anni dalla fine dell’appalto o del subappalto g) riservarsi accessi senza preavviso nel cantiere durante lo svolgimento dell’attività lavorativa per verifiche a campione circa la veridicità di quanto dichiarato.

I dipendenti dell’appaltatore, che  hanno prestato la loro attività nell’ambito dell’appalto, possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino a concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore al momento della domanda (articolo 1676 del codice civile).

L’azione giudiziaria diretta può essere proposta verso tutti i committenti, sia privati sia pubblici, ma solo nei confronti dell’avente causa del proprio datore di lavoro.

L’azione va esperita entro il termine di prescrizione ordinaria del credito di lavoro, di norma quinquennale.

La richiesta del lavoratore non può eccedere il debito che il committente ha verso l’appaltatore nel momento in cui il lavoratore interessato propone la domanda in giudizio

EFFETTO DEL QUESITO (NORMATIVA DI RISULTA):

Art. 26 d.lgs. 81/2008

4. Ferme restando le disposizioni di legge vigenti in materia di responsabilità solidale per il mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e assicurativi, l’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) o dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA). Viene quindi espunto quello che sarebbe il limite della responsabilità solidale del committente.

OBIETTIVI E RAGIONI DEL QUESITO: Il quesito referendario mira ad estendere in ogni caso la responsabilità civilistico – risarcitoria dell’imprenditore committente, appaltante lavori o servizi, per i danni derivanti dagli infortuni sul lavoro subìti dai dipendenti dell’appaltatore e di ciascun subappaltatore oltre la quota indennizzata dall’Inail (cosiddetti danni differenziali), attraverso l’abrogazione dell’ultimo periodo dell’art. 26, comma 4, che esclude detta responsabilità per i danni derivanti dai rischi specifici dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. Nozione assai dubbia e fonte di incertezze applicative, in danno del lavoratore infortunato. Il risarcimento del danno differenziale consiste nella differenza tra l’indennizzo che l’Inail riconosce al lavoratore in caso di infortunio o malattia professionale (indennizzo forfetizzato e quindi non onnicomprensivo di tutti i danni subiti) e quello che il giudice riconosce al lavoratore a copertura dei danni ulteriori subiti dal lavoratore stesso in base alle tabelle civilistiche.

L’articolo 26 si inserisce nel complesso degli obblighi di prevenzione delineati, su specifica indicazione della legge delega 123/07, dal d. lgs. 81/08 al fine di prevenire i rischi connessi all’esecuzione di opere e servizi mediante il ricorso ad appalti e subappalti.  La norma merita abrogazione per diversi ordini di ragioni. In primo luogo, essa si presta ad essere interpretata in chiave riduttiva, perchè esime dalla predisposizione a carico del committente delle misure di cooperazione e coordinamento sancite dai commi precedenti dell’art. 26. In secondo luogo, l’abrogazione è diretta ad assicurare una maggiore tutela del lavoratore in caso di infortunio o malattia professionale, che deriva dalla garanzia dell’integrale copertura dei danni subiti, tanto più rilevante quanto più l’impresa appaltatrice o subappaltatrice sia di dubbia solidità o cessi la propria attività.

L’abrogazione consentirebbe inoltre un allineamento rispetto alle norme che regolano in generale la responsabilità solidale del committente per le retribuzioni e gli oneri previdenziali che sono estese a tutti i casi di appalto e subappalto, come previsto dall’art. 29, d. lgs. 276/03 e dall’art. 1676 cod. civ., il cui ambito di applicazione non subisce le stesse limitazioni previste invece dall’art. 26, d. lgs. 81/08.

Si sottolinea in proposito come l’evoluzione normativa degli ultimi venti anni si sia caratterizzata per l’utilizzo della responsabilità solidale quale regola di base generale volta ad impedire che le diverse forme di decentramento produttivo, anche quando fisiologiche, si risolvano nella limitazione delle tutele del lavoro.

Principio che la Corte costituzionale ha inoltre esteso, oltre i confini dell’appalto anche ai contratti di subfornitura e a tutte le ipotesi di decentramento produttivo (Corte cost. n. 254/2017).

L’estensione della responsabilità solidale costituisce inoltre un rilevante incentivo per le imprese committenti e, a loro volta, per le imprese che si avvalgono di subappaltatori, a selezionare imprese qualificate e rispettose della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Con questo referendum si cambiano le leggi che favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche. Abrogare le norme in essere ed estendere la responsabilità dell’imprenditore committente, significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro.

Monica Coin

funzionario ispettivo

CGIL – Area “Le Radici del Sindacato) Veneto

Versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-aprile-2025/

Archivio https://www.lavoroesalute.org/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *