STORIE DI VIOLENZA AZIENDALE

http://www.lavoroesalute.org/

In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-novembre-2020/

Nel corso della sua pur breve attività lo sportello del sindacato di base Pisa Cub ha raccolto varie testimonianze di ordinaria repressione nei luoghi di lavoro. Riportiamo i fatti inserendo nomi di fantasia, omettendo i nomi dei datori di lavoro giusto per non incorrere in querele e ulteriori repressioni

Matilde, anni 45 addetta alle pulizie. “Lavoro in una ditta di pulizie che opera in appalto in un Ente Pubblico ….. Conosco il mestiere, lavoro nelle pulizie da quasi 25 anni e in ogni cambio di appalto abbiamo perso potere contrattuale e di acquisto, hanno ridotto le ore in nome della autonomia di impresa, accresciuti i carichi di lavoro. Ordinaria amministrazione nel mondo degli appalti, una situazione analoga a quella di tante altre situazioni.

Con l’emergenza covid abbiamo deciso di rivendicare dpi a tutela della nostra salute richiedendo il tampone e il sierologico dopo alcuni casi di positività.

Sono iniziati cosi’ i nostri problemi, chiedere la tutela della nostra salute ha determinato un asfissiante controllo aziendale, contestazioni di addebito continue, ogni giorno qualcuna di noi veniva raggiunta da procedimento disciplinare per ragioni risibili come la perdita di un cencio per le pulizie, il consumo eccessivo di acqua o di detersivo, la non ottimizzazione dei materiali per la sanificazione, il ritardo di un minuto o la semplice presenza di polvere in angoli remoti dove non riusciamo ad arrivare per mancanza di tempo. Si inventavano quotidianamente ragioni per richiamarci al rispetto dei nostri doveri, alla fine sono arrivati una quindicina di provvedimenti discipinari, dai richiami alle multe fino alla sospensione di 4 giorni per una collega andata a fumare una sigaretta in bagno.

Rivendicare i nostri diritti ha significato mesi di attenzioni particolari da parte dell’azienda e alla fine molte di noi hanno deciso di non alzare piu’ la testa, accettano di lavorare a ritmi impossibili e in luoghi insalubri o senza sicurezza pur di non subire la pressione padronale. Con i procedimenti disciplinari ci hanno diviso e alla fine abbiamo perso una battaglia, spero che alla fine ci si renda conto di alzare la testa ma sono sempre piu’ scettica.

Mario, 37 anni, è laureato in architettura, lavora in una azienda della provincia da pochi anni. Un giorno con le sue colleghe ha deciso di far intervenire il sindacato perchè le buste paga non erano regolari e i responsabili della ditta esigevano straordinari senza maggiorazione. E’ bastato l’invio delle deleghe per provocare l’ira padronale, una riunione veloce per comunicare che appena ripristinata la libertà di licenziamenti la forza lavoro sarebbe stata messa a casa e i servizi di consulenza esternalizzati a partite iva. Credere nel progetto aziendale significa subire retribuzioni irregolari, stipendi da fame e condizioni di vita senza dignità. Mario e le sue colleghe hanno deciso di rinunciare a iscriversi al sindacato, a distanza di poche settimane i soprusi sono aumentati ma senza reazione da parte della forza lavoro. Mario spiega di avere una famiglia da mantenere e preferisce “non rischiare”, con l’arrivo della seconda ondata di covid saranno tutti in ammortizzatori sociali ma tra qualche mese non è detto che l’azienda preferisca esternalizzare i servizi e non avvalersi piu’ del loro apporto.

Anna, 25 anni, contratto a tempo determinato in una cooperativa sociale, dopo poche settimane prende il covid e la sua responsabile la mette in ferie invitandola a non dire di essersi contagiata al lavoro. E’ una operatrice sociale e molti ospiti sono risultati positivi senza portare la cooperativa ad adottare protocolli rigorosi a tutela della salute. Anna si è rivolta al sindacato e a Medicina democratica ma il suo contratto a scadenza ravvicinata non sarà rinnovato.

Lucia, 60 anni, una vita da impiegata in un Comune. E’ venuta meno all’obbligo di correttezza e buona fede per avere diffuso dei dati aziendali, dati che un consigliere comunale avrebbe potuto comunque avere con una richiesta di semplice accesso agli atti. L’ha fatto perchè molti cittadini protestavano per la mancata manutenzione dell’edilizia popolare, ha solo fornito dei dati che qualche dirigente aveva preferito occultare su pressione politica. 32 anni di lavoro non le hanno risparmiato un procedimento disciplinare finito con 15 giorni senza stipendio.

Sono storie di ordinaria repressione, di arbitrio padronale, di codici disciplinari costruiti ad arte per incutere paura e rassegnazione. Potremmo parlare di Marco, infermiere di 50 anni, che, dopo avere chiesto i dpi in una Residenza per anziani , è stato subissato di critiche, accusato dai suoi stessi colleghi e ora si trova a casa in depressione, potremmo raccontare la storia di Antonio che da 3 mesi è in mutua dopo essere stato giudicato inabile alla guida o infine di Marcella a casa in malattia perchè la sua azienda le rifiuta lo smart working nonostante abbia subito un trapianto di reni.

Sono storie comuni a tante altre ma il segnale evidente che i diritti nei luoghi di lavoro sono cosi’ ridotti da rappresentare quasi un lusso in aziende nelle quali la tutela della salute e della sicurezza sono quasi impossibili e perfino l’applicazione di un contratto nazionale diventa una conquista eccezionale e non la regola.

Avere depotenziato lo statuto dei lavoratori è stata una sconfitta per la classe lavoratrice, da anni i contratti sono siglati con pochi soldi e ancor meno diritti. Se non prendiamo atto di questa situazione, delle crescenti repressioni nei luoghi di lavoro, non riusciremo a costruire alcune tutela reale. Se nei luoghi di lavoro non esiste la democrazia anche la società e il tessuto civile diventano cosi’ malate da favorire processi repressivi e autoritari.

Federico Giusti

CUB Pisa – Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Articolo pubblicato sul numero di novembre del mensile

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