Sulle orme di Ipazia

Teofilo , tra il 390-391 a. C., ha voluto la distruzione dei templi ellenici di Alessamdria e questo fatto, ha avuto delle ripercussioni che sono andate ben oltre alla “semplice” demolizione dei luoghi di culto.
Lo storico italiano Guido Bigoni vedeva nella persistenza degli antichi monumenti una delle cause del perdurare della religiosità ellenica; la forza che sitrugge l’archiettura di una città vuole minare le radici della sua popolazione, i suoi simboli, il suo linguaggio.
Dopo questi fatti, in molti hanno abbandonato Alessandria e si sono dispersi in varie città, altri si erano convertiti al cristianesimo.
Nella città alessandrina, tuttavia, persisteva un nucleo di forza capace di contrastare il processo di sradicamento: la comunità scientifica del Museo.
Non compromessa dallo scontro religioso, che nella parte ellenica vide il protagonismo dei cosideti “filosofi-sacerdoti”, questa comunità solare salvaguardava le radici del popolo egiziano: rimandava alla storia della cultura classica, ai suoi simboli e, insieme, alla grandezza possibile di un mondo diverso da quello prospettato dagli episcopi cattolici.
Poco tempo dopo la distruzione del tempio di Serapide ad opera della folla cristiana incitata dal vescovo, la comunità scientifica iniziò a far sentire la propria voce.
È a qeusto punto che numerose persone rovenienti da luoghi diversi, accorsero ad Alessandria per udire la voce della “donna che a buon diritto presiede ai misteri della filosofia”.
Per quanto esprimano giudizi diversi in merito alla sua collocazione all’interno della genealogia filosofica, Socrate Scolastico e Damascio concordavano sul suo grande talento come maestra. Socrate Scolastico scriveva che ella :

“spiegava tutte le scienze filosofiche
a coloro che lo desideravano. Perciò coloro che desideravano pensare in modo filosofica correvano da lei da ogni parte.”

Dall’epistolario di Sinesio, sappiamo di per certo che nella cerchia di Ipazia vi erano uomini di Cirene, Siria, Costantinopoli oltre che di Alessandria. Con alcuni di loro Sinesio strinse legami profondi destinati a durare tutta la vita.
Alessandria. Con alcuni di loro Sinesio strinse legami profondi destinati a durare tutta la vita.
In un articolo che la studiosa Maria Dzielska ha scritto su Ipazia e la sua cerchia, ha sostenuto che:

“questa fiera aristocratica greca (benché nel modesto manto da filosofo) che seguiva – come ci dicono le fonti – le tracce di Platone e Plotino ed Aristotele, creò attorno a Sè un cenacolo di filosofi-aristocratici, plasmati – come si addice ai filosofi dello stato platonico – ,di una creta migliore. Al loro circolo non hanno accesso le donne che secondo Platone costituiscono la parte peggiore, inferiore, addirittura vergognosa dell’umanità.”

Questa affermazione contrasta con quanto Socrate Scolastico e Sinesio sostengono esplicitamente, e cioè che “coloro che desidervano pensare in modo filosofico correvano da lei da ogni parte”: l’espressione indica che l’accesso alla scuola era libero, a prescindere da sesso, religione, elevazione sociale e razza.
L’estrema libertà con cui Ipazia insegnava, è sottolineata ancor di più da Damascio, il quale scrive che:

la donna, gettatosi addosso il mantello e facendo le sue uscire in mezzo alla città, spiegava pubblicamente, a chiunque volesse ascoltarla Platone o Asristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo.

Le espressioni qui usate attingono al comune modello del saggio in filosofia o del filosofo-santo. L’antecedente più diretto è La vita di Isidoro in cui, Porfirio, sottolinea il carattere pubblico dell’insegnamento del filosofo. Dallo stesso racconto sappiamo inoltre che alla scuola di Platone accedevano uomini e donne cristiani e addirittura agnostici. Il prototipo di questo comportamento, che caratterizza la vera capacità maiueutica del maestro, la sua passione per la ricerca della verità nel dialogo, si trova in Apologia di Platone, dove Socrate afferma orgogliosamente di sé:

se c’è persona che desidera ascoltarmi, sia giovane sia vecchio, non mi sono mai rifiutato; e non è vero che se ricevo denari parlo e se non ne ricevo sto zitto, perché io sono egualmente a disposizione di tutti, poveri e ricchi, chiunque mi interroghi e abbia voglia di stare a sentire quello ch’io rispondo.

L’insegnamento avveniva in uno spazio pubblico e quindi lo studio della filosofia usciva dagli spazi classici del ragionamento, tra membri di una classe.
Damascio sottolinea l’ardore di una filosofa che osa esporsi ed insegnare pubblicamente in un momento in cui le sorti della cultura di sui è portatrice sono minacciate ed esposte al rischio della ccancellazione.
In quella situazione, era notevolemente coraggioso che si esponeva così, soprattutto una donna. Dopo la sua morte, i filosofi di Alessandria si interrogavano sulla posizione delle donne nella politeia, riprendendo in termini nuovi la discussione, già iniziata con Platone e Aristotel, sull’opportunità che anch’esse praticassero la virtù politica che le avrebbe condotte nello spazio pubblico della politica.
Il secolo in cui è vissuto Ipazia è stato un secolo in cui i vescovi cattolici si sono mostrati inquieti di fronte all’autorità pubblica di alcune donne, anche se queste erano cristiane.

Nel IV-V secolo l’autorità della chiesa era fortemente gerarchica e basata sull’esclusione delle donne dal potere, che veniva detenuto solo da maschi liberi e adulti. La gerarchia si realizza nella netta divisione dei ruoli e delle funzioni tra i due sessi, in base alla quale ogni donna si trovava sempre ad un gradino più basso di qualsiasi uomo. Tuttavia, questa struttura non ha impedito che alcune donne avessero un ruolo di primo piano nelle vicende religiose e politiche della loro comunità: Gerolamo, un padre della Chiesa, era intervenuto invitando i suoi confratelli affinché “non siano le matrone e le donne a decidere la formazione del nostro senato.”
Il lato negativo della professione di maestri è stata ben descritta da Sinesio: egli sosteneva che il prestigio del mestre dipendesse dalla presenza di allievi numerosi e fedeli e, per questo motivo, costretti a compiacerlo e ad odiare tutti coloro che potevano in qualche modo far concorrenza.
Ipazia non era soggetta a questa passione, apparteneva a quella schiera di docenti “che per natura si pongono al di sopra delle difficoltà del mestiere”. Però, l’invidia che si era generata nei suoi confronti, ha fatto si che ella subisse la più disastrosa conseguenza, l’omicidio.
E’ proprio nell’invidia che Socrate Scolastico e Damascio hanno riconosciuto la “causa ultima” del suo assassionio.
Socrate Scolastico delinea abbastanza bene il contesto storico e politico che hanno portato all’uccisione della maestra di Alessandria, e cioè il conflitto tra il potere cittadino e quello episcopale; tuttavia lascia capire che i fatti che si verificarono immeditamente prima del suo omicidio, non furono che la causa prossima, scatenante, di un evento che aveva radici altrove.
Egli scrive:

A causa della sua straoridnaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lui un timore reverenziale. Per questo motivo allora l’invidia si armò contro di lei.
Poiché, infatti, si incntrava alquanto di frequente con Oreste, l’invidia mise in giro una calunnia su di lei presso il popolo della chiesa, e cioè che fosse lei a non permettere che Oreste si riconciliasse con il suo vescovo.

La vera causa della morte di Ipazia è da ricercarsi in un eccesso che, in qualche modo, supera la misura umana: questo eccesso ha generato il sospetto, in alcuni, che il conflitto tra prefetto augustale e il vescovo non riuscisse a risolversi proprio a causa sua. Secondo Socrate questo sospetto si tradusse in calunnia all’interno del mondo ecclesiastico e, solo il suo omicido avrebbe potuto porre termine ai diverbi tra le due massime cariche.
Successivamente, Damascio ci racconta che:

Allora, dunque, una volta accadde che Cirillo, che era a capo della setta opposta, passando davanti alla casa di Ipazia, vedeva che vi era una gran ressa di fronte alle porte, “confusione di uomini e di cavalli”, gente che si avvicinava, che si allontanava, che, ancora, si accalcava. Avendo chiesto cosa fosse quella moltitudine e di chi la casa presso la quale c’era quella confusione si sentì rispondere da quelli del suo seguito che in quel momento veniva salutata la filosofa Ipazia e che sua era la casa. Saputo ciò, egli si rose a tal punto nell’anima che tramò la sua uccisione in modo che avvenisse al più presto, uccisione tra tutte la più empia.

La testimonianza di Damascio non sembra avere un valore storico affidabile perché non era possibile che Cirillo, nato e cresciuto ad Alessandria, non sapesse l’ubicazione della casa di Ipazia.
Grazie alla recente storiografia, si è appurato che Damascio utilizzava uno stile di narrazione biografica che parlava con la voce del mito: tramite l’utilizzo del mito, era sua intenzione evocare i fatti, mitigando la verità di un sottile velo di fantasia.
Il sentimento dell’invidia, permette all’autore di stigmatizzare la personalità del violento vescovo e di fornire, contemporaneamente, la misura della popolarità della maestra. Damascio ci fa anche capire che il vescovo si sentiva così frustrato e preoccupato per la notorietà della mestra, che si sentiva in conpetizione con essa: l’insieme di sentimenti negativi, la rabbia e l’angoscia erano aumentati notevolemente quando si accertò che la filosofa era anche il punto di riferimento per i capi più importanti, oltre al Prefetto Augustale, della città.
La popolazione era ammutolita e sconcertata per i fatti che nella loro città si stavano susseguendo: a maggior ragione, in Ipazia vedevano un punto di riferimento ancor più solido e, la paragonavano al sorgere dell’ “astro incontaminato della sapiente cultura”. Damascio concorda pienamente con Socrate Scolastico che ribadisce:

a causa della sua straordinaria saggezza tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale.

E Damascio rafforza il pensiero, sostenendo:

Poiché era tale la natura di Ipazia, era cioè pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni, il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente e i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei.”

In ultima analisi, per evocare la vera natura della filosofa di Alessandria, ricorriamo alle parole del poeta Pallada, il quale ci riporta al divino, al sacro, alla sua natura mitica di Vergine Astrale:

Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole,
vedendo la casa astrale della Vergine, infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura.

Questa visione, che lo costringe a quell’atteggiamento di reverente timore e ammirazione, era condiviso anche dalla popolazione di Alessandria che aveva l’uso di accalcarsi davanti alla casa della filosofa e di attendere la sua apparizione sulle strade della città.

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1 Oreste era il Prefetto Augustale della città di Alessandria. Era incaricato per ordine dell’imperatore di Roma di attività di sorveglianza e controllo del luogo a lui assegnato. Era la massima carica politica, ellenico, in contrasto con Cirillo, episcopo della città.
2 Questo eccesso ha luogo perché la donna è in grado di realizzare pienamente l’ideale umano della virtù politica, una virtù che le permette di stare in relazione con le persone e, contemporaneamente, con il cielo e il divino.

Laura Brunelli

Bioeticista

Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

Quinta parte pubblicata sul numero di maggio del mensile www.lavoroesalute.org

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