Taxi, uniti contro Uber

Uber et Orbi

di Riccardo Cacchione

Il 15 giugno il quartier generale in Olanda di Uber ha comunicato la cessazione dell’attività di consegna in Italia connesse a «Uber Eats». La motivazione è stata, che seppure presenti in Italia dal 2016 non sono riusciti a conquistare una significativa quota di mercato, disattendendo le aspettative della società. Eppure per acquisire queste significative quote, l’azienda era andata abbastanza per le spicce.

Nel 2020 era stata processata e condannata dal Tribunale di Milano. Nel dibattimento oltre ad aspetti lavorativi vessatori e discriminatori (definito sistema per disperati) emergevano anche comportamenti mirati ad evadere le imposte attraverso operazioni inesistenti con le quali abbattere l’imponibile. Poi però nel 2021 con un atteggiamento “estremamente disponibile e singolare” il provvedimento è stato revocato perché a detta dei giudici, c’era un attivo ravvedimento da parte della società.

Ma non è l’unica cortesia riservata ad Uber:

  • Un’inchiesta del ” The Guardian” (UBER Files) pubblicata nel luglio del 2022 tracciava un quadro agghiacciante del modello UBER, mettendo in mostra tanto il cinismo verso i lavoratori (bene venga la violenza verso i driver così potremo passare per vittime, dichiarano i manager nei documenti acquisiti) che i legami imbarazzanti, con molti politici internazionali. Il Presidente USA J. Biden, Macron ai tempi ministro economia, il Primo Ministro irlandese, Enda Kenny, il Premier israeliano, B. Netanyahu, e l’allora cancelliere del Regno Unito George Osborne, l’ex-Commissaria Europea per la Concorrenza e il Digitale Nelly Kroes erano nominati tra i supporter della multinazionale a stelle e strisce (compresi imprenditori e politici italiani).

Ecco quindi un prospetto su metodi e meccanismi della società americana, che oggi decide di tagliare il settore food-delivery per concentrarsi sulle attività legate ai servizi di mobilità.
Uber eats agiva in un settore molto complesso dove oltre 30 mila esercizi, quasi il 15% del totale utilizzano queste piatta–forme, spesso subendo pesantemente le decisioni dei grandi player del settore, in un regime tendenzialmente monopolista. La fase della pandemia ha determinato sicuramente un boom, ma anche nel 2022 il fatturato in Italia è stato di 2,8 miliardi di euro equivalente a circa il 4% del volume d’affari complessivo dei servizi di ristorazione. Di questi 2,8 miliardi, circa 1 miliardo si realizza online con le grandi piattaforme internazionali.
Con la chiusura di questo ramo d’azienda; perdono il posto di lavoro 49 dipendenti diretti, ma sopratutto almeno 4.000 rider (stima per difetto in quanto è molto complicato capire quanti sono veramente stante il modello lavorativo). Rider che non avranno nessun paracadute rispetto alla cessazione di questo rapporto di lavoro, nonostante l’estrazione di profitto in azienda, avveniva pressoché unicamente proprio da quei lavoratori.

Senza tanti fronzoli un bel calcio in c…. arrivando a negare perfino il confronto, con l’arroganza tipica di chi è sicuro della sua impunità.
Ora il focus aziendale si concentrerà sulla mobilità, sempre naturalmente con le stesse linea guida.

Vediamo cosa comporta questa variante e perché non è soltanto un problema circoscritto a due categorie di lavoratori.

La prima considerazione è che il SERVIZIO TAXI è una parte del Trasporto Pubblico Locale e quindi un servizio essenziale (Legge 146/90 regolamentazione scioperi nei servizi essenziali), svolto da lavoratori autonomi che facendosi completamente carico dei costi, raggiungono il loro reddito attraverso una tariffa decisa dai Comuni. È questo il passaggio che permette agli Enti Locali di completare il Trasporto di Linea attraverso una funzione complementare e integrativa, tra l’altro elemento non secondario appunto a COSTO ZERO per le casse comunali.
Una tariffa che deve risultare equilibrata e basata su alcuni parametri: “costi vivi” (carburante, ammortamento del mezzo, assicurazione, ecc.) contribuzione (INPS, INAIL, IRPEF) e reddito del tassista. Da cui, se com’è ovvio i “costi vivi” non possono essere compressi, il pericolo concreto all’orizzonte è che così come accade in altri contesti lavorativi, si andrebbe a intaccare la parte reddito/contribuzione, con le conseguenze che conosciamo bene.
Ecco perché risulta fondamentale estromettere qualsiasi soggetto “estraneo” al servizio, nell’ecosistema UTENZA-TASSISTA-COMUNE, la loro intermediazione inoltre va a determinare un “prolungamento della filiera” ingiustificato e nocivo, visto anche il ruolo meramente speculativo, senza alcun apporto lavorativo che svolgono.

Attraverso le modalità operative questa società introduce un altro elemento molto pericoloso, mirata a discriminare l’utenza in funzione del poter spendere. Infatti la profilazione dell’utenza e gli algoritmi analizzano il rapporto tra domanda e offerta, mirando a proporre in maniera discriminatoria il costo. In sostanza si va verso una differenziazione del prezzo in funzione del bisogno, dove tanto più c’è domanda tanto più salgono in prezzi. Un evento climatico o addirittura un attentato, possono essere l’occasione per far schizzare il prezzo.

Non più quindi un prezzo prefissato dalle Amministrazioni Comunali, uguale per tutti e garantito ma la giungla. È già accaduto a Nizza ad esempio nel 2016, quando nelle tragiche ore dell’attento sui boulevard, mentre i tassisti accompagnavano gratuitamente i feriti in ospedale, i prezzi sulla piattaforma erano più che raddoppiati. Era già successo negli USA durante alcuni uragani, stessa cosa a Roma durante una copiosa nevicata, insomma la speculazione sopra ogni necessità.

Per di più in Italia, anche facendosi forte di una nefasta partnership con alcuni radiotaxi (ittaxi), si sta cercando di accelerare questo modello che se non contrastato porterà ad una vera e propria destrutturazione del SERVIZIO PUBBLICO TAXI mirata a stravolgerne la funzione. Per averne evidenza basta leggere i commenti all’incontro tra alcuni politici EU e la struttura di coordinamento delle principali multinazionali europee della mobilità, Move.Eu (UBER-FREENOW-BOLT). Se le confrontiamo con le affermazioni del manager di Uber L. Pireddu a commento dei risultati della partnership con ittaxi, come pure per certi versi la “sconfitta commerciale” riportata nel food-delivery, risulta evidente al di là delle dichiarazioni di facciata, una concreta tendenza monopolista sfrontata (e pericolosa) che lo porta a sognare entro il 2025 ad avere TUTTI I TAXI nel suo impero.

L’altro elemento di congiunzione con la vicenda rider è di tipo sociale legato ai processi di elusione fiscale, vero core business di queste società. Nel 2019 risulta che la multinazionale a stelle e strisce ha fatturato oltre 65 miliardi di dollari con un trend sempre più oscuro, ma in crescita.

Allora quante tasse paga UBER e dove?

L’importo tende verso lo ZERO e DOVE le dovrebbe pagare lo dimostra. La holding ha trasferito la sua sede dalle Bermuda, nella “civilissima” Olanda, che ha addirittura superato come offerta “fiscale”, paesi come Cayman o Delaware. Per di più questo trasloco è stato finanziato (16 miliardi) da una sua filiale di Singapore che ha concesso un prestito (ad un tasso superiore a quello di mercato) deducibile in termini di “spese sostenute”, rivolto a garantire ad UBER un credito deducibile, spalmato su 20 ANNI che porta a ZERO le tasse al governo Orange.

In un’inchiesta condotta da Jason Ward coordinatore di un gruppo di economisti indipendenti (CICTAR) questa scandalosa operazione viene definita “la Champions League” dell’elusione fiscale mondiale. L’inchiesta conferma tra l’altro che il modello “tulipano” è molto diffuso, a pochi chilometri dal centro di Amsterdam, in un’azienda specializzata nella domiciliazione di società, hanno sede quasi tremila imprese e transitano 5 trilioni di euro l’anno. Da Google a Uber, eBay, addirittura i Rolling Stones, Mediaforeurope, (la nuova Mediaset europea) senza dimenticare società italiane come ad esempio ENI (controllata da MEF e Cassa Depositi e Prestiti), FCA, FERRARI, MEDIASET, CEMENTIR, LUXOTTICA, BARILLA, PIAGGIO, ARMANI, ecc. hanno deciso di albergare tra i tulipani.

Essenzialmente sono tre le ragioni per andare ad Amsterdam: meccanismi pressoché irrintracciabili in termini di bilanci, una legislazione blindata in funzione di diritto societario e una tassazione sugli utili finanziari (capital gain), estremamente vantaggiosa che permette la distribuzione di dividendi esentasse per i soci. Il tutto con buona pace dei lavoratori italiani (e europei) e di quanto sancito anche Costituzionalmente.

In tutto questo va ricordato che Uber svolge le transazioni esclusivamente con carta di credito, per cui senza colpo ferire trasferisce l’intero importo del servizio sui suoi conti olandesi, dove dopo aver trattenuto la sua percentuale (esentasse), restituisce la differenza al conducente. Se non basta, azzera ulteriormente gli obblighi verso la fiscalità locale, inserendo tra i costi delle “sedi locali”, la cosiddetta cessione dei diritti intellettuali (royalty per uso della piattaforma), in India questa procedura gli ha permesso di ridurre il pagamento a meno del 2% (a fronte di un accordo che lo limitava già al 6 %).

Quale proposta?

È arrivato il momento di rispondere a quella che a nostro avviso è sempre più una battaglia di civiltà. Non solo i rider e i tassisti devono contrastare questo modello aziendale, ma anche l’utenza dovrà affrontare questo scontro, altrimenti il rischio di finire divorati dalla speculazione finanziaria è molto concreto. Un’esigenza di unirsi che trova ulteriori conferme nella non casuale aggressione mediatica che si è scatenata contro i tassisti, quasi come se i TAXI sono diventati l’ombelico dell’economia italiana.

È quindi urgente mettere fine all’impunità e alla complicità di cui godono queste multinazionali, anche grazie all’azione portata avanti da influencer prezzolati che pur di incassare parcelle ne promuovono l’offerta.
Rivendichiamo per tutti i rider l’applicazione del CCNL della logistica, l’apertura di un’azione legale mirata a impugnare i licenziamenti e richiedere i danni nei confronti di questa società e delle altre società di delivery che agiscono in violazione della normativa vigente. Valutando la possibilità di favorire piattaforme indipendenti, magari gestite dagli Enti locali, impostate a garantire l’occupazione nel rispetto dei diritti per i lavoratori. In tal senso l’approccio dei taxi nel servizio comunale ChiamaTaxi 060609 potrebbe indicare un diverso modello, rispetto a dinamiche selvagge e predatorie. Infine è sempre più necessaria una presa di posizione da parte delle istituzioni, al fine di interdire l’azione di questi soggetti nei servizi pubblici, ma anche laddove agiscano in contesti diversi, imponendo che non sia concessa alcuna deroga al rispetto dei diritti dei lavoratori, che devono esser inquadrati e garantiti, come lavoratori subordinati.
Nello specifico della vertenza Uber-eats va urgentemente impedita alla piattaforma la fuga senza far fronte ai danni provocati, prendendo in considerazione la possibilità di sospendere tutte le piattaforme dell’azienda, fino alla completa conclusione della vicenda rider.

Ci sarebbe poi un’ultima domanda sul tavolo nell’immediato, come si comporterà il Governo del made in Italy, quello che in campagna elettorale rasentava l’autarchia, relativamente ai danni provocati da questa Società?
I primi silenzi ci fanno pensare che come sempre, se non saranno i lavoratori ad imporre una scelta diversa, imboccheranno la solita strada: «forti con i deboli e sottomessi con i potenti».

Riccardo Cacchione

Coordinatore Nazionale USB-TAXI

4/7/2023

Versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-luglio-2023/

Archivio http://www.lavoroesalute.org/

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