Torture israeliane: urinare sui prigionieri palestinesi, seppellirli vivi e picchiare i malati
Prigionieri palestinesi liberati raccontano a MEE come i carcerieri israeliani li abbiano “trattati come animali” e abbiano “brutalmente torturato” alcuni fino alla morte.
Fonte: English version
di Maha Hussaini, a Gaza city-Palestina occupata, 9 marzo 2025
Immagine di copertina: Uomini feriti durante la detenzione israeliana fotografati dopo il loro rilascio all’ospedale al-Najjar di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, il 24 dicembre 2023 (AFP/Said Khatib)
I carcerieri israeliani avvolgevano i prigionieri palestinesi in sudari e li seppellivano vivi.
Quando cominciavano a soffocare, poco prima che la morte prendesse il sopravvento, veniva fatta entrare una piccola quantità d’aria per tenerli in vita, solo per ripetere il processo pochi istanti dopo.
Questa è una delle tante testimonianze di torture inflitte ai detenuti palestinesi dalle autorità israeliane.
In seguito al recente scambio di prigionieri tra Hamas e Israele, centinaia di detenuti sono stati rilasciati e sono emerse testimonianze simili e strazianti.
Middle East Eye, a Gaza, ha parlato con alcuni dei prigionieri recentemente liberati che hanno descritto come i palestinesi siano stati “torturati a morte” nelle carceri israeliane.
Ci hanno trattato come animali
Mahmoud Ismail Abukhater, 41 anni, il 20 ottobre 2024 si trovava all’ospedale Kamal Adwan, nel nord della Striscia di Gaza, quando un quadcopter militare israeliano si è librato in volo, trasmettendo una voce che ordinava “alla gente del quartiere di arrendersi”.
“Hanno sparato proiettili contro case e balconi e bombardato le case vicine mentre trasmettevano quei messaggi per terrorizzarci. È stato allora che ci hanno arrestato”, ha ricordato.
Abukhater ha detto che le torture sono iniziate nel momento in cui sono stati arrestati e sono continuate fino all’ultimo momento prima del loro rilascio.
“Ci hanno trattato come animali, non come esseri umani”, ha detto.
Prima di essere trasferiti in prigione, i prigionieri sono stati portati in un luogo di Gaza che sembrava un allevamento di bestiame, ha spiegato.
Lì sono stati costretti a sopportare la notte gelida, indossando solo boxer e i leggeri vestiti bianchi che gli erano stati dati.
“Ci hanno incatenato mani e piedi e colpito con bottiglie d’acqua ghiacciate e bottiglie piene di olive”, ha aggiunto.
“Lì, i soldati hanno urinato in un contenitore e poi ce l’hanno versato in faccia e sul corpo”.
Abukhater è stato poi portato nel famigerato campo di detenzione militare di Sde Teiman, dove è stato tenuto ammanettato per quasi due mesi.
“È un campo di tortura per uomini”, ha detto.
“Ci costringevano a stare seduti dall’alba a mezzanotte senza muoverci, e potevamo andare in bagno solo con il loro permesso e le mani ammanettate. A volte l’ufficiale lo permetteva, altre volte no, e molti detenuti finivano per urinarsi addosso”, ha continuato.
Nonostante l’accesso negato ai servizi igienici e le restrizioni igieniche, i soldati costringevan i prigionieri a fare la doccia, nei mesi di dicembre e gennaio, ogni due giorni in acqua gelata, nonostante il freddo pungente.
Se scoprivano che qualcuno non si era lavato, lo punivano e lo torturavano immediatamente.
Tuttavia, secondo lui, uno dei metodi di tortura più strazianti a Sde Teiman consisteva nell’ingannare i prigionieri facendogli credere che sarebbero affogati o soffocati a morte.
“Mettevano un detenuto in un sudario collegato a un tubo con una piccola telecamera all’interno, lo seppellivano in una fossa e poi lo controllavano attraverso la telecamera”, ha spiegato.
Non appena era sull’orlo del soffocamento completo, credendo che stesse per morire, le guardie facevano entrare una piccola quantità d’aria per tenerlo in vita”.
Tortura a morte
Abukhater ha ricordato che uno dei momenti più dolorosi in carcere è stato assistere alla tortura a morte di Musaab Haniyeh, nipote di Ismail Haniyeh, ex leader politico di Hamas.
Musaab è morto nel carcere di Ofer a gennaio dopo aver subito “torture brutali” che lo hanno lasciato debole e ferito alle gambe.
“Gli agenti non gli hanno fornito alcuna assistenza medica e alla fine hanno iniziato a uscire vermi dalle ferite e ha perso il controllo della vescica”, ha spiegato Abukhater.
Un giorno, altri detenuti hanno sentito un soldato dire che era morto e hanno visto attraverso le sbarre mentre avvolgevano il suo corpo in un sudario e lo portavano via”.
“Quando è entrato in prigione, pesava circa 120 kg, ma nei suoi ultimi giorni di vita era sceso a soli 50 kg”.
Prima del suo rilascio come parte del sesto gruppo di prigionieri palestinesi liberati nell’ambito dell’accordo di scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, Abukhater è stato trasferito nella prigione di Negev.
Lui e i suoi compagni di prigionia non sapevano che stavano per essere rilasciati, ma per tutta la settimana che ha preceduto la liberazione, hanno ricevuto “cibo vero” per la prima volta dalla loro detenzione.
“Hanno iniziato a darci cibo cotto e formaggio, facendo finta di trattarci bene. Ma non abbiamo saputo che saremmo stati rilasciati fino a quando una delegazione della Croce Rossa ci ha fatto visita alle 2 del mattino del giorno del rilascio”, ha raccontato.
“La mattina del nostro rilascio, [gli ufficiali israeliani] ci hanno consegnato delle magliette con la frase ‘Non dimenticheremo mai e non perdoneremo mai’, insieme alla Stella di Davide e all’emblema dell’esercito israeliano stampati sopra. Ci hanno obbligato a indossarle.
“All’inizio ci siamo rifiutati, ma ci hanno detto che chi si fosse rifiutato non sarebbe stato rilasciato. Così le abbiamo indossate e, una volta arrivati a Gaza, le abbiamo tolte e bruciate”.
Ibrahim Abdulrazzaq al-Majdalawi, 63 anni, dice che gli ufficiali israeliani non hanno mostrato “alcuna pietà, sia che tu avessi 16 o 60 anni”.
Majdalawi è stato anche torturato, umiliato e rimproverato senza sosta da giovani soldati israeliani, nonostante la sua età avanzata.
“Quando siamo arrivati a Sde Teiman, ci hanno spogliati di tutti i vestiti, anche della biancheria intima, nonostante il freddo e la pioggia battente. Poi ci hanno dato degli indumenti leggeri”, ha raccontato a MEE.
“I soldati ci rimproveravano e ci picchiavano ogni volta che facevamo qualcosa o pronunciavamo una parola. Alcune delle punizioni per aver parlato o essersi mossi senza permesso includevano lo stare in piedi per ore”, ha aggiunto.
Negligenza medica
Poiché al-Majdalawi parla ebraico, gli agenti gli hanno ordinato di spostarsi da un luogo all’altro della prigione per tradurre.
“A volte mi facevano entrare per tradurre i loro rimproveri ai prigionieri malati. Quando un prigioniero si ammalava e non riusciva a stare in piedi, lo picchiavano e minacciavano di mandarlo in isolamento se non si fosse alzato”, ha raccontato.
“L’ho visto con i miei occhi: c’era un prigioniero diabetico in condizioni critiche. Vomitava ed era troppo debole per muoversi, eppure lo hanno trascurato per molto tempo. Solo in un secondo momento lo hanno trasferito e hanno controllato la sua glicemia, ma anche allora hanno continuato a minacciarlo e a maltrattarlo”.
Un altro 62enne residente nel nord della Striscia di Gaza, detenuto per tre mesi a Sde Teiman, ha chiesto di rimanere anonimo perché le forze israeliane lo hanno minacciato di persecuzione se avesse parlato con i media.
“Ci hanno detto che ci avrebbero osservato ovunque fossimo andati e che avrebbero visto tutto ciò che avremmo fatto. L’ufficiale ha detto: ‘Se fate qualcosa, ci basterà solo una bomba drone’”.
L’insegnante in pensione ha raccontato di essere stato arrestato a novembre dopo che le forze israeliane avevano bombardato la sua casa, ferendo sia lui che sua figlia.
“Abbiamo deciso di lasciare la casa, ma mi hanno preso a un posto di blocco. Dal primo momento, hanno iniziato a picchiarmi e umiliarmi senza alcun motivo, se non quello di essere rimasto a casa mia e di non essere evacuato”, ha raccontato.
Affetto da diabete, problemi alla prostata e malattie della cartilagine, l’anziano è svenuto circa 15 volte nel corso dei tre mesi di detenzione.
“Ogni volta che svenivo, mi slegavano le mani e mi versavano acqua fredda sul viso. Quando mi svegliavo, mi davano circa 30-60 minuti per riprendere completamente conoscenza, poi mi ammanettavano di nuovo e riprendevano le sevizie”, ha raccontato.
“Ci lanciavano insulti osceni e ci costringevano a rivolgere maledizioni contro noi stessi. Una volta, visto che non lo facevo, i soldati mi aggredirono violentemente e mi picchiarono senza pietà”.
Il prigioniero rilasciato ha raccontato che parte delle torture consisteva nel costringerli a stare seduti per 19 ore al giorno in posizioni dolorose.
“Per quasi tre mesi ci hanno costretto a svegliarci intorno alle 5 del mattino e ci hanno tenuti seduti in una posizione estremamente estenuante e dolorosa fino a mezzanotte ogni singolo giorno. Al mattino, colpivano violentemente la nostra gabbia con il metallo, costringendoci a svegliarci terrorizzati”.
Un parente del prigioniero liberato ha raccontato a MEE che, da quando è stato rilasciato, ha dovuto affrontare un profondo trauma psicologico.
“Dobbiamo trattarlo come un bambino, è terrorizzato da tutto e si infuria per ogni minima cosa”.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina. org
12/372025 https://www.invictapalestina.org
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