Trump vuole invertire il declino dell’America ma il risultato sarà un fallimento
Trump e i suoi sostenitori vorrebbero opporsi alla corrente della storia, ma potrebbero finire per non avere modo di fermarla ed essere travolti. Queste prime settimane della sua amministrazione potrebbero rappresentare l’apice del potere di Trump, come riconoscono alcuni sostenitori.
Dopo anni di analisi, dibattiti e conflitti su cosa significhi la sua ascesa, il discorso inaugurale di Donald Trump in occasione della sua seconda assunzione della presidenza ha chiarito tutto: lui è il sintomo del declino imperiale che pretende di essere la cura. Il suo discorso inaugurale in occasione del primo mandato si era soffermato sul declino nazionale: la “carneficina americana”. L’apertura del secondo discorso inaugurale, date le pretese monarchiche di Trump, tuttavia, è iniziata con il mito della “nuova età dell’oro”, proponendo un’immagine quasi idilliaca della fine del periodo di difficoltà dell’America, con il paese che dovrà tornare a suscitare quell’invidia e rispetto di cui un tempo godeva tra le potenze della terra. E, molto più chiaramente che nel suo primo discorso inaugurale e mandato, le parole e gli stratagemmi di Trump indicano una visione non solo di competizione, ma di ritorno a un’ascesa comparativa. Vuole che l’America si crogioli al sole della sua precedente vittoria nella competizione degli imperi. Sarà una “nuova entusiasmante era di successo nazionale”.
Sappiamo che Trump è un narcisista, un bullo e un cercatore di accordi che non desidera avere obblighi verso gli altri. Sta creando una monarchia elettorale non soggetta al controllo parlamentare, un sistema in cui tutto il potere è personalizzato e tenuto nelle sue mani, una ricetta certa per flussi distorti di informazioni, corruzione, instabilità e i(nco)mpotenza amministrativa. La miscela di politica, ideologia ed escatologia megalomane è particolarmente importante perché Trump ha legato il destino degli USA alle sue fortune personali come nessun altro presidente prima di lui. Come lui sostiene, la realizzazione del programma America First (arrestare il declino imperiale statunitense) è inestricabilmente legata al suo potere personale.
Sebbene alcuni analisti e commentatori, naturalmente, si oppongono al fatto che gli Stati Uniti siano mai stati un impero, Trump non sembra dubitarne. E chiaramente, è un’impresa folle invertire il declino relativo di qualsiasi impero, e tentare di classificare l’immoralità che ciò comporta. Ma i critici di Trump non dovrebbero perdere l’opportunità che le sue azioni e la sua retorica in questi primi giorni del suo secondo mandato forniscono per capire finalmente cosa ci troviamo di fronte.
Trump non è un fascista (almeno per ora). Benito Mussolini e soprattutto Adolf Hitler sognavano di costruire un impero come ultimi arrivati nella corsa competitiva tra le potenze europee. Trump, al contrario, è ossessionato dal declino di una potenza imperiale un tempo grande, e sogna di ricostruirla. Ritiene che l’ascesa e la posizione degli Stati Uniti d’America sulla scena mondiale siano state annullate nel corso di decenni. I commentatori sono rimasti inorriditi, e comprensibilmente, dalle minacce di Trump di una acquisizione di nuove terre di altri paesi: indubbiamente sembra imperialismo. Ma questa per ora è una distrazione. Invertire il declino implica naturalmente la mitizzazione dei fondatori dell’impero, ma questo fatto non aiuta a prevedere le conseguenze più probabili del tentativo di rivendicare il loro successo.
La fantasia di acquistare la Groenlandia, di annettere il Canada come 51º Stato o di invadere Panama per riprendere il controllo del canale o di colonizzare Marte, come il cambio di nome della montagna Denali in Alaska e la bizzarra riabilitazione da parte di Trump della presidenza di William McKinley (1897-1901)1, attestano il nuovo interesse di Trump per l’inizio del XX secolo. Fu allora che l’America assemblò il suo impero d’oltremare per eguagliare ciò che avevano fatto le potenze europee occidentali. Andando ancora più indietro, Trump continua ad avere una passione per il presidente Andrew Jackson (1829-1837), risistemando il ritratto del suprematista bianco, capo della pulizia etnica americana del XIX secolo (contro i nativi americani Creek, Seminole, etc.), nel suo ufficio alla Casa Bianca. Anche questa analogia trascura un punto ovvio. È una cosa molto diversa bonificare il territorio (con guerre, genocidi, rimozioni di popolazioni e appropriazioni di terre) per consolidare un impero, come fece Jackson, che rivendicare l’antica posizione di una potenza economica e di un egemone globale che ora si sta erodendo. Trump non può essere il fondatore dell’impero statunitense, e può solo desiderare di ripristinare lo zenith imperiale statunitense degli anni della sua infanzia dopo la seconda guerra mondiale.
Questo non significa che i politici che si struggono per il declino imperiale siano innocui. Tutt’altro. Ma la dichiarazione di Trump di voler invertire il declino aiuta a identificare i rischi più plausibili. Dopo tutto, il declino imperiale e lo zelo infruttuoso di annullarlo spiegano gran parte del danno fatto nella storia del mondo. L’impero romano nei suoi ultimi secoli offre i classici esempi di leader esasperati di una potenza un tempo potente, caduta in relazione alla sua antica gloria, e che si scatenano tra le rovine. Anche la fase finale dell’impero britannico è stata essenzialmente una storia di efferata violenza, di feroce sfruttamento delle risorse, di repressione e tortura delle popolazioni soggiogate come ha documentato la storica Caroline Elkins nel libro monumentale “Un’eredità di violenza. Una storia dell’Impero britannico” (Einaudi, Torino 2024).
Le scaramucce mortali e inutili nell’entroterra imperiale potrebbero essere state un esempio di cosa aspettarsi, poiché i declinisti a volte si illudono che una vistosa vittoria militare, specialmente contro un avversario debole, potrebbe essere la chiave per invertire le loro sorti. Trump, tuttavia, sembra credere che i suoi predecessori abbiano già provato quella strategia scatenando guerre inutili, infruttuose e mortali (in Afghanistan, Iraq, Ucraina, Palestina) che hanno fatto regredire l’impero anziché riportarlo in vetta.
La politica di Trump non è mai stata anti-guerra. Ma è stato chiaro sulla necessità di evitare guerre che facciano arretrare l’impero americano o che lo inducano o inducano i suoi vassalli a un conflitto infinito e ingestibile. Invece di “inciampare in un catalogo continuo di eventi catastrofici all’estero”, ha osservato nel suo secondo discorso inaugurale, radunerà “l’esercito più forte che il mondo abbia mai visto”, ma “misurerò il nostro successo non solo in base alle battaglie che vinciamo, ma anche in base alle guerre che concludiamo. E, forse più importante, alle guerre in cui non entriamo mai”.
È probabile, quindi, che dobbiamo guardare altrove per indovinare dove porterà la lotta di Trump per invertire il declino. Per prima cosa, gli imperi hanno bisogno di imperatori. I primi ordini esecutivi di Trump testimoniano molto di più il desiderio di essere potente, e di trasudare potere, che qualsiasi programma politico credibile che potrebbe realizzare la restaurazione imperiale che lui desidera così chiaramente.
Fin dalla sua prima apparizione sulla scena politica, Trump ha temuto quello che ritiene essere il malgoverno e la miseria dei paesi senza potere. Il suo ferreo ostracismo contro l’immigrazione che lui dice sta “avvelenando il sangue” degli Stati Uniti, oltre a essere carne rossa gettata ad una classe lavoratrice insoddisfatta e in cerca di un capro espiatorio da incolpare per la sua stagnazione e declassamento, è probabilmente meglio spiegato dai timori del declino imperiale. Se i “barbari” stanno arrivando – tralasciamo che i sostenitori di Trump hanno tentato di saccheggiare la capitale imperiale il 6 gennaio 20212 – il primo passo è tenerli a bada schierando truppe militari al confine tra Stati Uniti e Messico per “un’emergenza nazionale” che deve fermare i migranti “coinvolti nell’invasione attraverso il confine meridionale”.
Il nocciolo della risposta di Trump al declino, come lo vede lui, rimane comunque economico. L’impero è stato turlupinato, pensa, durante i suoi lunghi anni di generosità ingiusta, sia verso il suo rivale cinese che verso i clienti europei. Il futuro imperiale dell’America dipende, pensa Trump, dall’inversione delle politiche di cessione del magazzino delle merci industriali alla Cina o di protezione gratuita dei suoi clienti europei.
Ma farlo non potrebbe mai rendere l’America “di nuovo una nazione manifatturiera”, come Trump ha promesso dopo aver prestato giuramento. Le politiche tariffarie di Trump probabilmente non arresteranno o capovolgeranno il declino industriale, ma peggioreranno le fortune economiche dell’America. Le politiche protezioniste indicano molto chiaramente quale pensa sia il problema, qualunque sia l’inadeguatezza e inettitudine delle sue soluzioni. D’altra parte, Trump ha anche abbandonato praticamente la lotta contro la crisi climatica e ha dichiarato un’emergenza energetica nazionale per espandere la produzione di petrolio e gas naturale (il nuovo piano per la politica industriale è “drill, baby, drill”), eliminare le normative e porre fine alle regole volte ad accelerare la transizione energetica verde e ai veicoli elettrici (ha definito le misure climatiche dell’Inflation Reduction Act di Biden come “la più grande truffa nella storia di qualsiasi paese”).
Se il declino imperiale è il problema di Trump, rende difficile per i suoi oppositori rispondere alle sue insensatezze e follie. Il declino americano è inevitabile, non solo reale. Tutte le grandi potenze sono soggette ad aggiustamenti e stagnazioni. E la quasi incontenibile ascesa globale di cui un tempo godevano gli Stati Uniti ha oscurato tutti i predecessori, inclusi Roma antica e l’impero britannico. Non c’era altra via d’uscita se non quella di andare verso il basso. Ciò non significa che il declino americano sia già in uno stato avanzato, ma è abbastanza evidente da essere un fattore potente nell’ascesa di Trump e da condizionare la sua politica, senza dubbio in peggio.
La presidenza di Barack Obama, nonostante i suoi gesti imperialisti, potrebbe benissimo essere stata basata su un’accettazione fondamentale del declino. Per alcuni, il piano era quello di lasciare un’eredità benefica e duratura mentre la finestra di opportunità dell’America si chiudeva per definire unilateralmente i termini dell’ordine mondiale. Il fatto che il declino sia sempre, in misura maggiore o minore, disordinato non significa che non valga la pena tentare di gestirlo. Sfortunatamente, l’establishment del partito democratico americano ha fallito; sperando di evitare un’era caotica, l’ha provocata (basta pensare come si è chiusa la presidenza Biden che ha alimentato e favorito i due maggiori conflitti ancora in corso).
Il declino dell’America non è certamente un problema per il mondo (anzi!). E comunque nessuno che pensi che lo sia ha una soluzione. Trump e i suoi sostenitori vorrebbero opporsi alla marea della storia, ma potrebbero finire per essere trascinati via e non avere modo di fermarla. Tuttavia, il fatto che Trump la pensi diversamente avrà ripercussioni su questo declino in atto in modi grandi e piccoli, esilaranti e orribili per i cittadini statunitensi e del resto del mondo.
Trump, senza dubbio vorrebbe che tutti pensassero che il suo potere non ha limiti e che la resistenza è inutile. È assai probabile che queste prime settimane saranno il punto più alto dell’arroganza trumpiana. Fare grandi promesse è facile; ottenere risultati positivi è molto più difficile. Le capacità di Trump non dovrebbero essere sottovalutate, ovviamente. Ha dimostrato di essere straordinariamente abile nel convincere gli elettori che gli Stati Uniti erano in condizioni disperate (non importa quali fossero i fatti) e che solo lui poteva risolvere la situazione, in buona parte perché è altrettanto abile nel trovare nemici fittizi da incolpare per problemi diversi.
Ciò per cui Trump non ha mostrato molto talento è guidare un governo, progettare politiche coerenti e fornire benefici ampi e tangibili ai cittadini americani comuni. Trump ha sabotato il suo primo mandato con la sua notoriamente breve capacità di attenzione, la riluttanza a leggere i documenti politici e la promozione del caos e della disfunzione. Ha uno stile di governo in cui guida con sfacciataggine e poi ricorre alle minacce. C’è il grande discorso e gli annunci appariscenti, ma poi c’è il tipo di duro lavoro di governo e Trump sembra addormentarsi quando arriva al duro lavoro. Il suo è un programma di destra radicale, ma vedremo fin dove arriverà. Gli oppositori di Trump affermano che sta distorcendo la Costituzione degli Stati Uniti e che sta espandendo i limiti del potere esecutivo oltre il limite previsto. Affermano inoltre che le mosse iniziali di Trump dimostrano che è meno interessato a unire il paese che a trasformarlo radicalmente, e in molti casi a esigere vendetta per punire i nemici politici e intimidire i media.
Il record del suo primo mandato non dovrebbe essere dimenticato: i deficit commerciali sono peggiorati invece di migliorare, l’immigrazione illegale non ha rallentato in modo significativo, migliaia di americani sono morti inutilmente a causa di una risposta maldestra alla pandemia, la Corea del Nord si è dotata di più armi nucleari, l’Iran ha ripreso l’arricchimento dell’uranio e gli Accordi di Abramo tanto pubblicizzati hanno gettato le basi per l’attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre 2023. Non ha mai costruito un muro al confine tra Stati Uniti e Messico e il Messico non l’ha pagato. La Cina non ha mai acquistato i 200 miliardi di dollari extra di esportazioni statunitensi che aveva promesso di acquistare nel grande accordo commerciale negoziato da Trump dopo che aveva colpito miliardi di dollari di prodotti cinesi importati con i dazi.
A differenza del 2017, questa volta avrà fedeli oligarchi plutocrati (nuovi “robber barons”) ed esecutori in posizioni chiave. Ma queste risorse (insieme al controllo repubblicano di entrambe le Camere del Congresso) non possono eliminare le profonde contraddizioni del programma politico di Trump e gli ostacoli che dovrà affrontare.
Innanzitutto, c’è una tensione evidente tra il desiderio di Trump di passare alla storia come un grande pacificatore e la sua consolidata inclinazione a fare il bullo e minacciare di usare la forza per ottenere ciò che vuole. Sebbene un abile uso della diplomazia coercitiva possa a volte facilitare gli sforzi di pace, la tendenza di Trump a far vorticare una clava in tutte le direzioni non funzionerà ovunque. Prima o poi, i suoi bluff verranno smascherati e dovrà fare marcia indietro o scontrarsi sul terreno della dura realtà. Alcuni dei bersagli della sua rabbia sono delle paludi in cui rischia di impantanarsi e minacciare di usare la forza tenderà a rafforzare la resistenza invece di indurre l’obbedienza. Ha anche ereditato due conflitti particolarmente spinosi, la guerra della Russia in Ucraina e un fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas, e sta già tornando sui suoi passi rispetto alla sua vanteria elettorale secondo cui avrebbe potuto risolvere questi conflitti in 24 ore.
Per quanto riguarda le sue politiche economiche si può dire semplicemente che non stanno in piedi. Dovrà sacrificare alcuni dei suoi obiettivi dichiarati o affrontare un potenziale disastro economico. L’estensione dei tagli fiscali ai ricchi e alle imprese, l’imposizione di tariffe e l’espulsione dei migranti clandestini che lavorano promettono di aumentare deficit, disavanzo commerciale e di far ripartire l’inflazione, con un’influenza molto negativa anche sull’economia mondiale. L’incertezza creata dalla tanto decantata imprevedibilità di Trump sarà un freno anche per le aziende. Trump e i suoi sostenitori sostengono che la deregolamentazione e il taglio delle spese “inutili” risolveranno i problemi, ma non sarà possibile risparmiare molto denaro se si ha intenzione di darne di più al Pentagono, a meno che non si facciano tagli profondi ai programmi sociali su cui la maggior parte degli americani fa affidamento e che sostiene3. Secondo tutti i maggiori analisti economici, Trump ha ereditato un’economia notevolmente sana dall’ex presidente Joe Biden, il che significa che non c’è altra via d’uscita se non quella di un ribasso. Ancora più importante, le politiche che Trump ha promesso di attuare peggioreranno questo declino.
C’è un’evidente contraddizione tra le minacce di Trump di punire altri paesi (in particolare il Messico) e il suo programma anti-immigrazione. Oltre a interrompere le rimesse dei migranti e le catene di fornitura da cui dipendono molti produttori statunitensi, i dazi sul Messico danneggerebbero l’economia messicana (inducendo politiche di austerità e un possibile default sul debito estero) e incoraggerebbero più messicani impoveriti a ignorare i rischi e a cercare di migrare negli Stati Uniti. In realtà, il modo migliore per scoraggiare l’immigrazione illegale sarebbe aiutare il Messico e gli altri paesi latino-americani a prosperare economicamente, non certo destabilizzarli e mandarli in recessione.
La forte dipendenza dell’America dai flussi di capitale globale è potenzialmente una grande vulnerabilità. Se gli afflussi esteri dovessero prosciugarsi in risposta a nuove tariffe, politiche fiscali verso le aziende, un dollaro forte o altre decisioni politiche, gli americani dovrebbero consumare meno, il che verrebbe vissuto come un calo del loro tenore di vita.
Smantellare le istituzioni governative (lo “Stato amministrativo” federale costruito negli ultimi 100 anni4), imporre prove di fedeltà alla pubblica amministrazione5 e mettere individui non qualificati e/o profondamente disturbati dal punto di vista dell’equilibrio mentale a capo di agenzie governative chiave garantisce che i servizi pubblici essenziali si deterioreranno. Le agenzie governative sono un facile bersaglio politico, ma gli americani che non sono miliardari contano sul loro buon funzionamento, soprattutto durante le emergenze. Gli americani comuni si arrabbieranno se i servizi pubblici si deterioreranno e Trump non avrà nessuno da incolpare se non sé stesso.
Attaccare le università e altre organizzazioni che producono conoscenza renderà gli Stati Uniti meno competitivi, ridurrà il loro capitale umano e aiuterà altri paesi a recuperare terreno. Se si prendono di mira le università, chi formerà i futuri scienziati, ingegneri, dottori, artisti, scienziati sociali, avvocati e altri esperti che guidano l’innovazione, aiutano a sviluppare politiche pubbliche efficaci e contribuiscono al benessere più ampio della società? Imporre l’agenda MAGA alle università, alle organizzazioni non governative e ai think tank soffocherà il sano dibattito che aiuta i paesi a evitare errori fatali, analizzare criticamente le questioni sul tappeto e innovare6.
Ci sono tutte le ragioni per credere che Trump porterà la corruzione governativa a un livello completamente nuovo. Sta già estorcendo denaro e concessioni a miliardari della tecnologia oscenamente ricchi che si sono dimostrati ansiosi di baciare il suo anello. L’imposizione di tariffe e altre restrizioni al commercio fornirà nuove opportunità di corruzione poiché le aziende cercheranno esenzioni e sborseranno denaro per ottenerle. Quando la corruzione è pervasiva, le risorse vengono sprecate per corrompere le persone e gli investimenti non fluiscono verso gli innovatori più brillanti o le opportunità più promettenti, ma verso i lealisti che promettono di esaudire le richieste dell’autocrate. Gli esperti di sviluppo sottolineano che ridurre la corruzione e rafforzare lo Stato di diritto aiuta la crescita economica, ma Trump sembra voler portare gli Stati Uniti nella direzione opposta. Lui e i suoi amici oligarchi diventeranno più ricchi, ma i cittadini statunitensi no.
Il secondo mandato di Trump è il culmine di una lunga ricerca repubblicana di un cosiddetto esecutivo unificato per trasformare la presidenza della repubblica in una de-facto monarchia. La concentrazione del potere esecutivo (rispetto ai poteri legislativo e giudiziario) è aumentata costantemente per più di un secolo, ma recenti decisioni della Corte Suprema hanno accelerato questa tendenza e rafforzato gli istinti monarchici di Trump7. Il problema con il potere incontrollato è che non c’è modo di correggere gli errori di un autocrate, soprattutto quando controlla anche l’ambiente informativo e può emarginare o mettere a tacere chiunque faccia notare i suoi (inevitabili) errori. Nel suo discorso inaugurale, Trump ha dichiarato che guiderà gli Stati Uniti verso una nuova “età dell’oro”. Ma è difficile conciliare tutto questo con la visione di un paese in cui gli oligarchi dominano la politica, il capitalismo clientelare è endemico, il governo intimidisce le istituzioni indipendenti della società civile, lo scambio di insulti personali e bugie è la modalità normale del discorso politico, il dogma religioso guida gli elementi chiave della politica pubblica e i problemi vengono sistematicamente attribuiti a una serie in continua evoluzione di “nemici” (capri espiatori) interni ed esterni.
Come ha scritto lo scienziato politico Stephen Walt, “la buona notizia è che abbiamo ancora molta strada da fare per arrivarci, e il percorso verso l’autocrazia è disseminato di insidie”. In meno di una settimana, Trump ha già rivelato il suo obiettivo e messo a nudo la debolezza di coloro che potrebbero sfidarlo. Ma per Walt “il giro di vittoria che Trump sta facendo dalle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 5 novembre 2024 è giunto al termine, e inizia il duro compito di mantenere tutte le sue stravaganti promesse”. Da questo punto di vista è assai improbabile che Trump sarà in grado di lasciare gli Stati Uniti più ricchi, più uniti, più sicuri, più ammirati e più tranquilli alla fine del suo mandato.
- McKinley, come membro del Partito Repubblicano, guidò un riallineamento che rese i Repubblicani ampiamente dominanti negli Stati industriali e a livello nazionale per decenni. Presiedette alla vittoria nella guerra ispano-americana del 1898; ottenne il controllo delle Hawaii, di Porto Rico, di Guam e delle Filippine; ripristinò la prosperità dopo una profonda depressione; respinse la politica monetaria inflazionistica dell’argento libero, mantenendo la nazione nel gold standard; e aumentò le tariffe protezionistiche con la Dingley Tariff del 1897.[↩]
- Con un ordine esecutivo, Trump ha liberato i circa 1.500 criminali violenti che lo avevano sostenuto nel tentativo di colpo di Stato del 6 gennaio 2021. I repubblicani hanno sostenuto di essere il partito della “legge e dell’ordine” sin dai tempi di Richard Nixon, ma Trump, il primo criminale condannato eletto presidente, ha ribaltato la più grande indagine del Dipartimento di Giustizia della storia. Una manciata di senatori repubblicani ha condannato la sua decisione, ma la maggior parte lo ha sostenuto o è rimasta in silenzio, un tacito riconoscimento del suo immenso capitale politico. Nella sua intervista alla Fox News, Trump ha liquidato la violenza contro la polizia come “incidenti molto minori“.[↩]
- Musk, la prima persona il cui patrimonio netto ha superato i 400 miliardi di dollari, afferma che i cittadini affronteranno “difficoltà temporanee” mentre il suo Dipartimento taglia la spesa pubblica. Ha affermato che potrebbero essere tagliati “almeno” 2.000 miliardi di dollari dalla spesa federale, una cifra superiore all’intero budget discrezionale (una contrazione le cui conseguenze sarebbero devastanti per la maggior parte degli americani). Trump e Musk vogliono tagliare il bilancio federale in modo da poter tagliare le tasse per gli ultra-ricchi. Questa classe ha bisogno di tutto l’aiuto possibile: dal 2020, la ricchezza dei 12 uomini più ricchi degli Stati Uniti è aumentata “solo” del 193% e collettivamente ora possiedono “solo” 2 trilioni di dollari.[↩]
- Il “Progetto 2025” è stato elaborato per espandere il potere esecutivo e rimodellare la vita americana nel corso di due anni dal think tank conservatore Heritage Foundation insieme ad un consorzio di organizzazioni conservatrici (da cui Trump ha cercato di prendere le distanze ma molti dei suoi ex ed attuali collaboratori sono stati direttamente coinvolti e vi hanno contribuito). L’azione di Trump sta in gran parte seguendo le indicazioni del “Progetto 2025” e si basa anche sulla premessa di una legittimità percepita. “La mia recente elezione è un mandato per invertire completamente e totalmente un orribile tradimento”, ha detto Trump nel suo discorso inaugurale. Il sito web della Casa Bianca afferma che ha ottenuto una “vittoria elettorale schiacciante” nel 2024. Tuttavia, la vittoria di Trump non è stata una valanga. Ha ottenuto meno della metà del voto popolare nazionale e ha battuto Kamala Harris solo di 1,5 punti percentuali. I repubblicani hanno perso alcune gare chiave al Senato e hanno mantenuto la Camera dei rappresentanti solo per un margine sottile. I sondaggi di opinione mostrano che tre americani su quattro si sono opposti alla grazia per gli insorti del 6 gennaio. Trump si trova ad affrontare divisioni all’interno del partito repubblicano al Congresso e del movimento MAGA e un elettorato che chiede risultati rapidi. Le mosse di Trump per sovvertire la burocrazia federale (che lui ritiene che gli sia stata ostile durante la sua presidenza 2017-2020), in particolare il cosiddetto “deep State”, hanno scatenato paura e confusione: le agenzie sono prese dall’incertezza su come implementare una valanga di nuove politiche del presidente mentre i lavoratori valutano l’impatto sulle loro vite.[↩]
- Trump ha ripristinato l’ordine esecutivo del primo mandato, denominato Schedule F, che priverebbe potenzialmente decine di migliaia di dipendenti pubblici delle tutele occupazionali e li renderebbe più facili da licenziare.[↩]
- L’agenda del movimento MAGA è conservatrice, se non proprio reazionaria: si tratta di riportare l’America all’epoca precedente alla diffusione dei diritti – sociali ed economici del New Deal di FDR degli anni Trenta; civili e politici della ”Great Society” di Johnson degli anni Sessanta -, diritti che ritiene abbiano oscurato l’identità bianca, anglosassone e protestante del paese.[↩]
- Nel secolo scorso, presidenti come Franklin Delano Roosevelt hanno esteso la portata della presidenza negli affari economici e internazionali. Dopo la guerra del Vietnam, lo storico Arthur Schlesinger ha definito questa l’ascesa della “presidenza imperiale”. Ma non si è fermata. Nella sua intervista a David Frost, Richard Nixon ha sostenuto che se un presidente approva qualcosa, non è illegale. La Corte Suprema ha dato a questa visione, un tempo impensabile, la sua benedizione della maggioranza l’anno scorso, stabilendo che un presidente possiede l’immunità assoluta per qualsiasi atto ufficiale. Una giudice liberale della Corte Suprema, Sonia Sotomayor, ha affermato che questo ha reso il presidente “un re al di sopra della legge“.[↩]
Alessandro Scassellati
29/1/2025 https://transform-italia.it/
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