Un CSM è per sempre? Pare la riedizione di una vecchia pubblicità per la vendita di diamanti..
In attesa della estinzione della “psichiatria” quantomeno vogliamo una psichiatria consensuale e…dal volto umano ! A fronte di quello che constatiamo NON POSSIAMO TACERE
Avevamo sentore di questa pratica e di recente ne abbiamo avuto conferma; la persona che le istituzioni sanitarie e anche la sanità privata definiscono “paziente psichiatrico” riceve un trattamento diverso dalle altre : in molte circostanze; per esempio la legge 68/1999 (collocamento obbligatorio, esclude i cosiddetti “pazienti psichiatrici” dal collocamento automatico/numerico riservando loro solo quello nominativo; approfondiremo in altro momento questo problema, e non certo per la prima volta , in quanto-vox clamans in deserto- lo abbiamo affrontato spesso anche in passato: “problema” che evidenzia a nostro avviso un profilo di incostituzionalità e una grave forma di discriminazione ; ma veniamo alla relazione persona/CSM;
non ci risulta che un qualunque servizio sanitario, alla richiesta di “dimissioni” da parte della persona, chieda il nome dello
specialista che prenderà , successivamente, in carico “il paziente”; non accade né col dentista né col cardiologo, insomma con nessun altro se non col servizio psichiatrico; al vostro dentista , se lo sostituiste , magari perché cambiate residenza, non verrebbe mai in mente di chiedervi il nome del suo sostituto ; la prassi del CSM ( di tutti?) evoca dunque la dinamica della libertà vigilata oltre a incentivare diversi “pazienti” a collocarsi sotto la “protezione” di uno psichiatra libero professionista pur di “liberarsi” del e dal CSM; noi – che non facciamo libera professione ma volontariato- abbiamo ricevuto alcune richieste in questo senso , richieste che non abbiamo accolto in quanto leggiamo a monte una impostazione relazionale di tipo coatto e invasivo e , per certi versi, ricattatoria ; complessivamente il fenomeno è penoso in quanto , spesso, i “pazienti” sono “poveri” ma , pur di sganciarsi, farebbero i salti mortali facendosi carico degli oneri economici della libera professione che a questo punto , in quanto “via di fuga”, la prassi dei CSM rischia di incentivare; ovviamente la prassi stride con il messaggio “propagandistico” che abbiamo letto di recente su un manifesto della regione E-R : “lunga vita alla sanità pubblica…” slogan molto infelice se contraddetto dai fatti ;
sulla genesi di questa prassi abbiamo fatto alcune ipotesi ma non ci addentriamo in questo momento su di esse salvo dire che
probabilmente si tratti di prassi eterodirette da soggetti esterni (intendiamo ispirate dagli stereotipi manicomialisti e custodialistici che ci pare sopravvivono in alcuni settori della “magistratura”); ne abbiamo però parlato con operatori/colleghi dell’area Trieste- Gorizia che , come ci aspettavamo, hanno condiviso il nostro parere; vale a dire che la prassi in atto è sintomo di scarsa consensualità e , in definitiva, di scarsa aderenza allo spirito della legge 180/1978;
una altra contraddizione che si evidenzia è il “non detto” (nella relazione tra la persona e il CSM) circa la prognosi e , più
concretamente, circa la durata prevista o prevedibile del trattamento psicofarmacologico che, senza esplicitare la questione, viene sottinteso “a vita” ; ma pare, da come diverse persone ci hanno riferito, che l’argomento, sia tabù; tempo fa nel territorio della E-R arrivò una ”ventata” di cambiamento sul tema del trattamento a vita (che quando proposto conferma uno dei pilastri della psichiatria manicomiale ottocentesca: quello della “Inguaribilità”); qualcuno disse, saggiamente, “il disagio mentale non può essere paragonato al diabete…” ; ma la “ventata” , associata ad un certo interesse per la esperienza finlandese denominata “dialogo aperto” (Seikkula) pare riassorbita da una pericolosa calma piatta con la riaffermazione e la sopravvivenza di vecchi metodi coatti (tso, mezzi di contenzione, farmaci depot); il depot imposto (e non richiesto dalla persona) è uno dei sintomi di non consensualità che fa evolvere la relazione nel quadro del controllore/controllato che nulla ha di “terapeutico”; a volta il depot , dovendo il paziente permanere per un certo lasso di tempo sotto sorveglianza medica , crea problemi alla persona per i suoi carichi sociali, familiari e lavorativi ma la imposizione viene agita comunque ; tutti elementi che , come la richiesta dello “psichiatra sostituto” (garante di una sottintesa e insinuata “capacità di intendere e di volere) orientano ad un quadro di consensualità precario o del tutto assente; aggrava e condiziona negativamente il quadro complessivo la nuova aggressiva “offerta” di prodotti farmaceutici delle lobby multinazionali che hanno come supporto le vecchie teorie genetiche e biochimiche del disagio mentale e, persino , la ”offerta” da parte della sanità privata (ma qualche struttura pubblica, almeno in Veneto e in Abruzzo pare avere aderito) di trattamenti che prevedono la somministrazione di energia elettrica al cervello cosiddetta TMS (ovviamente non si tratta dell’esk che, comunque, in Italia non è certo scomparso e probabilmente sopravvive anche in E-R , anche se non nel pubblico); la “offerta” di TMS riguarda vari
disturbi tra cui tossicodipendenze, depressione e burn out; il disagio mentale -indotto spesso da organizzazioni sociali costrittive e morbigene- viene dunque visto e usato come occasione di nuovo profitto capitalistico ; non ci risulta che a Bologna la autorità sanitaria locale abbia avviato una indagine conoscitiva sugli effetti di queste “nuove tecniche” ci risulta praticate, quantomeno, in un ambulatorio privato (e non sappiamo dove ancora…)
A nostro parere la persona che intende sganciarsi dal CSM non deve sottostare ad una pratica, vissuta come umiliante e coercitiva dalle persone che ci hanno riferito la questione; chiunque è libero di interrompere i rapporti, certo con eventuale esplicitazione dell’eventuale dissenso da parte del CSM (peraltro non si fa così negli ospedali ? vale a dire: dimissioni col parere contrario dei sanitari…) ; certamente non sarebbe vissuta come negativa o invasiva una prassi del CSM che contatti periodicamente la persona- dopo le dimissioni- per sondare il suo stato di salute, anzi modalità discrete di contatto sono previste e anzi consigliate dalla deontologia medica e se ben gestite sono vissute positivamente dalle persone non come controllo fiscale ma come manifestazione di empatia e di vero interesse; è quello che noi facciamo abitualmente per le vittime di mobbing che si rivolgono a noi o per le persone , in generale, che ci contattano per motivi di salute; altro invece è contattare telefonicamente minacciando che non presentarsi agli appuntamenti farebbe scattare un aso o un tso , provvedimenti che, ci pare, troppo sindaci italiani sottoscrivono, troppo spesso, acriticamente-
Certo in Italia la situazione è difficile: manca un vero confronto sulla psichiatria , sulla gestione della sofferenza mentale e ancora di più sulle strategie di prevenzione; sembrerebbe che per discutere di psichiatria/depressione/psicofarmaci occorre andare a Sanremo magari per seguire le canzoni e la vicenda personale di Fedez un ragazzo e artista di cui in molti hanno parlato sapendone molto poco e azzardando diagnosi mediatiche …esistono poi situazioni assolutamente drammatiche come le carceri e i CCPPRR che il governo ( e non solo il ceto politico oggi di maggioranza ) vorrebbero “risolvere” aumentando la repressione; due soli dati: come ha denunciato di recente il cappellano del Beccaria di Milano , negli ultimi 5 anni sono stati effettuati numerosi ttssoo nelle carceri minorili (una prassi, almeno in quell’ambito, prima sconosciuta) ; un altro drammatico riscontro viene dalla città di Verona : IN UN ANNO 17 TSO SU 74 SONO STATI EFFETTUATI NEL CARCERE LOCALE DI MONTORIO ! Il tasso di tso è 2,83% nella popolazione reclusa di 599 persone private della libertà e 0,022 nella popolazione fuori dal carcere; nello stesso periodo, in carcere, 4 suicidi.
Non abbiamo dati particolarmente aggiornati sui ttssoo in Italia (spesso i dati sono poi “sotto chiave” per noi che viviamo alla periferia dell’impero; gli ultimi disponibili depongono per un calo del 20% tra il 2010 e il 2015 ; permangono tuttavia gravissime e significative discrepanze territoriali che confermano costantemente come il fenomeno negativo sia influenzato non dai bisogni degli utenti ma dalla ideologia degli operatori e del contesto sociale e anche della scarsità di mezzi e di personale; la scarsità di risorse è peraltro un limite determinante in tutti i campi della sanità pubblica: recenti indagini epidemiologiche hanno evidenziato che anche la “antibioticoresistenza” (evento ovviamente del tutto diverso dalla psichiatria ma pur sempre tema di sanità pubblica) sia scoppiata in Grecia a causa della crisi economica e del conseguente taglio di risorse dedicate.
La libertà è terapeutica, leggemmo a caratteri cubitali sui muri dell’ex-manicomio di Trieste nel settembre del 1977 in occasione del Reseau internazionale per la alternativa alla psichiatria.
Certamente riteniamo deleteria una opinione di segno contrario ma constatiamo che non meno pericolosi sono i falsi unanimismi; Bologna, per certi versi, ha spesso dimostrato di essere basagliana a parole e manicomialista nei fatti; una città e una Ausl in cui ancora si utilizzano mezzi di contenzione fisica; certo “in calo” rispetto al passato ma, dal nostro punto di vista, del tutto evitabili e da evitare magari con il “semplice” incremento del personale addetto alla assistenza per aderire finalmente ad una prassi “no restraint” attuata in tanti servizi territoriali in Italia e quindi POSSIBILE !
in conclusione facciamo appello a chiunque interessato a “discutere” della questione che abbiamo sollevato affinché la prassi psichiatrica evolva sempre più decisamente verso la consensualità e il rispetto della persona.
Una istruttoria pubblica comunale sulla “psichiatria” ? Sarebbe utile
Vito Totire
Portavoce Centro per l’alternativa alla medicina e alla psichiatria F.Lorusso via Polese 30 40122 Bologna
Bologna, 2.3.2025
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