Un mare di droghe a Bologna
Qualche giorno fa una giovane donna è morta a Bologna per overdose.
Laura Tamai, questo il suo nome, originaria di Padova aveva trentuno anni e secondo quanto dichiarato dal fidanzato, i due giovani erano venuti in città “apposta per lo sballo”, l’odierna fama, a quanto pare nazionale, di Piazza Verdi, un tempo nota invece per gli stravizi rivoluzionari del ’68 e ’77.
Morta in un B&B a due passi da Piazza Verdi, nel cuore della città e della zona universitaria, nonchè vero e proprio mercato a cielo aperto per ogni tipo di droga, dall’erba alla cocaina, fino all’eroina la quale celebra così il suo gran ritorno, dopo anni in cui era praticamente scomparsa. Droghe che spesso si consumano en plein air nelle vie adiacenti e sotto i portici quando non addirittura sui tavolini dei caffè circostanti, mentre i pusher girano per l’area in bicicletta – innovazione degli ultimi rempi. Il pusher ciclista entra in campo per alcune precise ragioni come raccogliere alla svelta le dosi riposte e nascoste qua e là, dandole ai compratori in un tempo breve, minore è il tempo minore è il rischio; per la pronta consegna a domicilio come la pizza; per una fuga più veloce quando, e se, si sentono in pericolo. Inoltre con la bicicletta l’areale dello spaccio si allarga a una popolazione di potenziali clienti più ampia degli habitué di Piazza Verdi. Ovviamente agli angoli della piazza rimangono e s’aggirano gli spaccioni che t’agganciano chiedendo: vuoi qualcosa, abbiamo tutto, ecc..
Nè Laura Tamai è stata la prima vittima. Già dodici mesi orsono un uomo di quarantasette anni era stato ritrovato morto di overdose ai piedi di un albero subito dietro il Teatro Comunale che affaccia per l’appunto su Piazza Verdi.
Incontriamo Luca (nome di fantasia) che da oltre trentanni si occupa di droghe e tossicodipendenze, cercando col suo aiuto di capire donde vengano certi fenomeni nuovi, per esempio il gran ritorno dell’eroina e l’estensione del mercato degli stupefacenti fino a diventare ben visibile e sotto gli occhi di tutti, un mercato pubblico non solo in Piazza Verdi, ma esteso a molte zone della città.
Però prima di continuare la nostra conversazione con Luca, andiamo a fare un giro in un’altra piazza di spaccio, a Porta S. Vitale, uno degli accessi al centro storico. Ci passiamo per alcuni giorni in agosto. Siamo ai margini della zona universitaria e lo spaccio appare più localizzato.nello spazio, mentre il parco dei questuanti è più ampio degli studenti e dei giovani di Piazza Verdi. Abbiamo persone di mezza età, alcune dall’aspetto povero, altre dall’aspetto se non ricco almeno benestante, alcuni palesemente lavorano, operai o impiegati. Non c’è alcuna frenesia. Ci si siede su una panchina aspettando il proprio turno, mentre sull’altra di fronte gli spacciatori a volte due, a volte tre o più conversano, osservano e a un certo punto comincia lo scambio. Agli angoli vigilano le sentinelle che ti squadrano quando entri nel loro raggio d’azione, valutando chi sei: un possibile compratore, un concorrente, un poliziotto in borghese, o uno che semplicemente va all’edicola a comperare il giornale. Sì perchè nella stessa piazza c’è una delle più frequentate edicole della città aperta ventiquattro ore su ventiquattro per trecentosessantacinque giorni l’anno. Se questa contiguità degli spaccioni con l’edicola sia voluta oppure casuale è difficile dire; certo il via vai all’edicola favorisce il mimetismo dei compratori di droghe dall’aspetto più normale, confondendosi questi con i compratori di giornali.
Più in generale è impressionante come lo spaccio si sia diffuso capillarmente in tutti i quartieri bolognesi, dal centro alle periferie, includendo anche zone che fino a pochi anni fa erano immuni da questo fenomeno, come la Bolognina.
Per il ritorno in auge dell’eroina ci dice Luca, intanto dopo l’invasione dell’Afghanistan e l’instaurazione di uno stato di guerra endemica che ha visto l’espansione territoriale dei talebani, la produzione di oppio si è moltiplicata riducendo drasticamente il prezzo, mentre il commercio si è sviluppato ben oltre i tradizionali canali criminali, attraverso il vettore dei talebani che così si finanziano, e dei militari internazionali con tutte le missioni civili di contorno. Inoltre è cambiato il modello di consumo. Ci si buca sempre meno, procedura complicata e in qualche modo rituale per invece fumarla, e questo si può fare ovunque con relativa facilità, senza la paura della siringa e del buco, il che comporta meno rischi anche per le malattie che si trasmettono per via ematica, come l’HIV in primis e, in secundis, l’epatite B.
Fumarla non mette invece al riparo dagli effetti tossici. Questa droga, a differenza di altre come la cocaina, non è aggregativa. Piuttosto porta a una vera e propria “anestesia psicologica e sociale” (Luca). Se l’antico consumatore di droga aveva una sorta di scudo ideologico e rituale, pensando di ampliare la sua esperienza sensoriale e percettiva del mondo, l’odierno eroinomane in genere cerca soltanto di anestetizzare sè stesso, ovvero di diventare insensibile a un mondo sentito come doloroso, rinchiudendosi in una sfera chiusa e impenetrabile che lo isola dal mondo. Questo isolamento rende il consumo molto più soggettivo, e in quanto tale più pericoloso.
L’eroina non è però l’unico stupefacente in auge nella piazza bolognese.
La cocaina è una altro pilastro del consumo e commercio di droghe. Un tempo riservata ai ricchi, oggi è sempre più di uso comune arrivando a coprire anche i lavoratori dipendenti fino agli operai, in quantità difficilmente misurabile, anche perchè questo tipo di consumatore non frequenta i centri e servizi pubblici per la tossicodipendenza, non finisce quasi mai nelle maglie della legge, e conduce una vita in apparenza “normale”. Inoltre lo sviluppo delle consegne a domicilio lo mette al riparo da occhi inidiscreti e da eventuali cattivi incontri sia con i tutori della legge che con criminali aggressivi.
D’altra parte secondo uno studio del Cnr di Roma, realizzato nel gennaio del 2009 in collaborazione con l’Arpa (Agenzia regionale per l’ambiente), nell’atmosfera di Bologna si misuravano 0.10 nanogrammi di cocaina per metro cubo, una quantità tutt’altro che trascurabile.
Chissà che numero si otterrebbe oggi ripetendo le misure. Comunque sarebbe un indicatore del consumo abbastanza affidabile. Assieme a altri, per esempio l’analisi delle acque reflue, seguendo l’orientamento di ricerca dell’Istituto Mario Negri (MI) che ha attivato un network per il monitoraggio della acque di scarico in 17 città.
Ma a Bologna non è questione solo di eroina e cocaina. A differenza di trent’anni fa si è sempre più orientati verso una politossicomania, causa e conseguenza al tempo stesso di una sempre maggiore produzione di droghe sintetiche, anche di fabbricazione casalinga nello stesso capoluogo emiliano. Tra le “smart drugs” molto diffuse sono le droghe tese a aumenatre le capacità e sensibilità sessuali, le cosidette “sexual drugs”. Droghe sintetiche la cui nocività non è ancora misurata in modo preciso, e contro cui la repressione si presenta assai difficile, trattandosi di sostanze la cui fabbricazione è molto diffusa, e non troppo complessa. Quindi di facille accesso e basso prezzo, con effetti immediati.
Potremmo proseguire nella descrizione, ma adesso è il momento di porsi alcune domande.
Questo massiccio afflusso di droghe sul mercato bolognese è governato da una, o più, grandi organizzazioni criminali? Alcuni indizi e voci indicano che Bologna potrebbe essere un hub dove ‘ndrangheta, camorra e mafia siciliana si spartiscono e governano le attività criminali dallo spaccio alle estorsioni fino agli appalti e il resto: prostituzione, commercio di esseri umani, furti in serie, usura, gioco d’azzardo ecc.. E sotto di loro si muove un mondo di manovalanza spesso con bande agguerrite di criminali stranieri che però non travalicano i limiti posti dai poteri mafiosi in senso lato.
Seconda domanda: le forze di polizia hannno una strategia di contrasto efficace e all’altezza dell’aggressione alla convivenza civile che una tale diffusione di droghe comporta? Sì perchè una tale azione criminale che pervade lo spazio dell’Università più antica del mondo e una delle più grandi d’Italia, aggredendo i giovani studenti ogni giorno, lede le libertà, tra l’altro quella di muoversi senza essere continuamente avvicinati e disturbati e tentati da spacciatori tanto subdoli quanto violenti, e lo stesso diritto allo studio non ne esce indenne, anzi ne viene fortemente limitato e incrinato. E la sua difesa chiama in causa direttamente l’Università, dai suoi organi di governo fino a ogni lavoratore.
Terza domanda, quella essenziale. Perchè i giovani studenti sono così permeabili alla logica dello sballo, ovvero così permeabili al rischio di tossicodipendenza, senza dimenticare i fiumi di birra consumati facendoli somigliare a vecchi alcolisti. E perchè le droghe sembrano pian piano tracimare fino a inquinare tutta la città. Domanda che va fatta all’intera cittadinanza, sia nella sua dimensione di società civile che in quella della società politica e istituzionale. Coinvolgendo gli studenti e i loro collettivi a difesa del bene comune. Sempre che l’Università sappia essere un bene comune, e non un semplice parcheggio dove si apprendono al più alcune tecniche più o meno spendibili sul mercato del lavoro.
Se a queste domande non si cercasse risposta, o addirittura neppure si ponessero le domande, ebbene il degrado potrebbe accentuarsi fino a contaminare in modo irreversibile il corpo sociale e l’insieme dei cittadini. Non proprio il destino migliore per la città di Bologna.
Bruno Giorgini e Sofia Nardacchione
26/10/2016
Questo intervento è stato pubblicato su Q Code Magazine di oggi
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