Renzi & Big Tobacco

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Come riportato dagli organi d’informazione[1], lo scorso mese, il Presidente del consiglio Matteo Renzi ha, da una parte, smentito la notizia dell’aumento della tassa sul fumo e, dall’altra, presenziato al lancio di un maxi-stabilimento di sigarette. Due scelte politiche che vanno decisamente nella stessa direzione.

Inaugurata il 23 settembre a Crespellano nei pressi di Bologna, la fabbrica è frutto di un investimento di 500 milioni di euro della Philip Morris International (PMI). A pieno regime impiegherà 600 persone e avrà una capacità di produrre fino a trenta milioni di unità l’anno, pari a circa il 6 per cento delle vendite di sigarette dell’Unione europea.

Il sito è il primo al mondo per la produzione su larga scala di sigarette “di nuova generazione” cui la multinazionale lavora da anni. Si tratta di un dispositivo a tabacco riscaldato tramite un piccolo astuccio elettronico (iQOS o I-Quit-Ordinary-Smoking) che, a differenza delle sigarette elettroniche, non usa ricariche liquide aromatiche ma stick di tabacco vero e proprio. Un tale marchingegno, a detta del produttore, dovrebbe assicurare una riduzione complessiva del rischio tossicologico in virtù della mancata combustione del tabacco.

L’evento, ampiamente reclamizzato, che sancisce la nascita della più grande fabbrica al mondo di sigarette di nuova generazione, è stato salutato in modo a dir poco entusiastico: “il simbolo dell’Italia”, come l’ha definito Renzi, che produce la sigaretta “intelligente”, orgoglio “made in Bo” e, con un’espressione grottesca nella sua criminale banalità, una “boccata di ossigeno” per l’economia locale.

 

Nelle braccia di Big Tobacco

A prescindere dall’innovazione che promette un’ipotetica riduzione del danno ancora tutta da dimostrare, l’evento mediatico e il messaggio da esso lanciato alla nazione hanno senza dubbio rappresentato un importante spot pubblicitario al fumo come “stile di vita”[2] e segnato un’importante scelta strategica dell’Italia a favore dell’industria del tabacco, come anche confermato dall’impegno ufficiale assunto dal Ministro dell’agricoltura alla “valorizzazione della filiera”[3].

Il significato strategico di una tale scelta è evidenziato anche dal fatto che l’Italia è stata identificata dalla PMI come finora l’unico paese occidentale tra i tre “mercati-chiave” su cui puntare, assieme a Indonesia e Russia[4]. Investire nell’economia del tabacco, gettandosi tra le braccia letali di Big Tobacco, rappresenta una scelta politica molto grave di cui il governo non può ignorare le enormi implicazioni, a cominciare del suo impatto sulla salute.

L’Italia è “State Party” nella Convenzione Quadro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la lotta al tabagismo (WHO Framework Convention on Tobacco Control – FCTC) adottata all’unanimità alla 56a Assemblea Mondiale della Sanità nel 2003, ed entrata in vigore nel 2005. Come riportato sulla pagina web del Ministero della Salute, la FCTC “stabilisce obiettivi e principi che hanno lo scopo di proteggere le generazioni presenti e future dalle devastanti conseguenze sanitarie, sociali, ambientali ed economiche causate dal consumo di tabacco e dall’esposizione al fumo di tabacco. Si tratta della prima convenzione adottata dall’OMS e rappresenta il primo trattato internazionale per la tutela della salute pubblica giuridicamente vincolante.”[5]

Senza necessariamente approfondire cosa significhi “giuridicamente vincolante” nel diritto internazionale, non ci si allontana troppo dalla realtà immaginando che questa espressione configuri un obbligo per le Parti di comportarsi secondo gli impegni assunti, prevedendo una sanzione in caso di violazione di tale obbligo.

Per il Governo italiano, tuttavia, ritrattare un impegno formale del genere non significa soltanto uscire da una comunità di nazioni che si ripromette di difendere le proprie popolazioni da un’epidemia, il tabacco, che nel mondo fa sei milioni di vittime all’anno, una ogni sei secondi, e in Italia rappresenta la principale causa di morte (circa 83.000 morti l’anno). Secondo il Ministero della (nostra) Salute, essa provoca “più decessi di alcol, aids, droghe, incidenti stradali, omicidi e suicidi messi insieme e rappresenta una delle più grandi sfide di sanità pubblica della storia […] la più grande minaccia per la salute nella Regione Europea.” [6]
L’Italia inoltre vanta il triste primato in UE per la più alta percentuale di giovani fumatori.[7]

Sottrarsi a una sfida del genere per il governo italiano significa anche contraddire, in modo assolutamente grottesco, la propria stessa scelta di politica sanitaria nazionale da anni portata avanti, a volte con grande coraggio (legge antifumo del 2003), altre volte con un approccio comunicativo a dir poco dilettantesco (“Chi fuma è scemo!”): uno spot insulso che non spende una parola sui danni del fumo.

Inoltre, imboccare la strada dell’economia del tabacco, in decisa controtendenza rispetto all’Unione Europea[8] e ai paesi OCSE, significa soprattutto ignorare le previsioni più attendibili sul futuro di tale politica economica. In un documento sull’onere economico globale del tabacco, Howard Barnum, Senior Economist della Banca Mondiale, calcolati i benefici del consumo di tabacco per produttori e consumatori, i costi di morbilità e mortalità e i costi indiretti, stima che il mercato mondiale del tabacco produca una perdita netta globale annua di US $ 200 miliardi (siamo negli anni ‘90). Il messaggio finale è che ” il consumo di tabacco fornisce una perdita economica netta, e le politiche anti-tabacco sono un modo conveniente per salvare vite umane e procurare vantaggio all’economia”[9].

“Scienza in rete” cita uno studio commissionato dall’Unione Europea secondo cui i costi sanitari delle malattie associate al fumo per l’anno 2000 sono “stimati pari a oltre quattro miliardi di euro, la perdita di produttività dovuta ad assenteismo e pensionamento anticipato legati al fumo in più di un miliardo di euro e il valore monetario delle morti premature… in oltre 22 miliardi di euro”[10].
Un groviglio di dilemmi etici

La questione è colma di dilemmi etici. Il primo riguarda la domanda su quale sia il compito di uno statista o semplicemente di un politico onesto: massimizzare il bene dell’intera popolazione con politiche di medio-lungo termine con scelte spesso difficili da comunicare efficacemente al cittadino comune, oppure limitarsi a perseguire risultati locali a breve termine, in genere molto popolari e con un verosimile positivo ritorno in termini elettorali, ma senza un impatto significativo a livello nazionale? Il detto popolare “meglio un uovo oggi che una gallina domani” riflette la brutale razionalità economica dell’investitore finanziario che preferisce incassare subito dividendi anche modesti anziché aspettare il realizzarsi di un guadagno maggiore non garantito nel futuro.

Un secondo dilemma investe la moralità dell’azienda e dei suoi dipendenti produttori di strumenti dannosi alla salute. Con tutta la simpatia e solidarietà dovuta ai lavoratori che col nuovo posto di lavoro possono finalmente vivere una vita dignitosa, esistono anche casi in cui i dipendenti di fabbriche “produttrici di morte” come armi o sigarette, si pongono il quesito lacerante sull’eticità di quanto stanno facendo. Che tale quesito se lo ponga un’industria come Big Tobacco, con una storia pluridecennale di corruzione, menzogne, interferenze nelle decisioni politiche ai massimi livelli e manipolazione della ricerca scientifica[11], è ingenuo soltanto pensarlo.

Il dilemma etico si fa letteralmente grottesco per il decisore politico se, pur attraverso canali diversi di comunicazione, finisce per porre i propri cittadini di fronte a due messaggi antitetici: uno che sponsorizza il fumo di tabacco e l’economia a esso collegato, l’altro che promuove campagne contro il tabagismo.  Se poi ci si addentra nei meandri perversi di quella che è stata definita ”ipocrisia di stato”[12], ci si scontra con uno dei più evidenti conflitti di interesse nello Stato italiano che con le imposte sul tabacco raccoglie ogni anno quasi l’equivalente di una manovra finanziaria. Quello che quindi dovrebbe essere l’interesse dello Stato, ossia il benessere dei suoi cittadini, cozza contro il suo interesse di “fare cassa”.

 

Perché una tale scelta?

È difficile, di fronte a questi fatti, riuscire a immaginare quali motivazioni possano indurre il capo di un governo a dirigere il proprio paese lungo una strada così accidentata le cui esternalità appaiono profondamente negative.

La prima, comprensibile ragione è, come detto sopra, la creazione rapida di posti di lavoro.Soluzione molto popolare come detto che si scontra tuttavia con la considerazione che non sempre l’urgente è anche il più importante.

Un altro possibile motivo dietro la scelta del capo del governo potrebbe essere la volontà di mostrare al mondo l’immagine di un’Italia su cui i mercati internazionali possono contare, come dimostrato da una prestigiosa multinazionale che investe nel nostro paese con un progetto ricco e ambizioso.

Commentatori più severi verso il governo Renzi potrebbero invece argomentare che l’immagine più verosimile che traspare dalla scelta del governo di buttarsi tra le braccia di BigTobacco è di un governo talmente in difficoltà sul fronte economico da accettare qualsiasi “proposta indecente”, la cui gravità tuttavia avrebbe richiesto un più ampio e approfondito dibattito pubblico a livello nazionale, dibattito che è stato invece virtualmente assente.

Un’ultima ragione riguarda la “vicinanza” di Matteo Renzi all’industria del tabacco. Non è un segreto che nel luglio 2014 la BAT, British American Tobacco, abbia depositato sui conti della fondazione del politico fiorentino (Fondazione Open) un bonifico da 100 mila euro[13]. In quelle stesse settimane il governo licenziava un decreto che, dopo la cosiddetta “battaglia delle accise”, finiva per favorire sia BAT che PMI, a loro volta avvantaggiate dall’introduzione di una nuova tassa che raddoppia il prezzo delle ricariche liquide delle sigarette elettroniche.

Più recentemente BAT ha elargito un ulteriore finanziamento di 50 mila euro alla Fondazione Open, che forse non ha nulla a che vedere con il già citato veto posto da Renzi alla proposta del Ministro Lorenzin di aumentare di un centesimo a sigaretta la tassa sul fumo per coprire la spesa dei farmaci innovativi.

Conclusione

Come rileva uno studio del Royal College of Physicians[14], parte delle preoccupazioni generate dall’introduzione di sigarette “innovative’ con lo scopo di una riduzione del danno del fumo di tabacco è che portino a un aumento dei fumatori di sigarette tradizionali grazie ad una sorta di normalizzazione dell’atto del fumare, agendo da porta di passaggio verso i più giovani.

Decisamente contraria a questo genere di prodotti innovativi è la Direttrice Generale dell’OMS, Margaret Chan, che li vede come “fumo agli occhi” sostenendo l’azzeramento del tabagismo a livello mondiale come unica via percorribile[15].

È prevedibile che a novembre, quando in India si riunirà l’organo direttivo della FCTC, si consumerà lo scontro, forse decisivo, sul futuro delle sigarette di nuova generazione. L’articolo 5.3 dell’accordo invita a una limitazione nelle interazioni tra legislatori e l’industria del tabacco: “Nell’impostare e attuare le loro politiche di salute pubblica riguardo al controllo del tabacco, le Parti fanno in modo di proteggere queste politiche da interessi commerciali e di altro tipo dell’industria del tabacco in conformità con la legislazione nazionale.

Sarà interessante osservare come si destreggerà il governo italiano tra politiche di salute pubblica e interessi commerciali di Big Tobacco.

Bibliografia

  1. Una tassa sulle sigarette. Anzi no. E Renzi inaugura lo stabilimento della Philip Morris. Repubblica, 23.09.2016
  2. Stili di vita. La ricetta neo-liberista. Saluteinternazionale.info, 23.09.2015
  3. Tabacco: firmata Intesa con Philip Morris per valorizzazione filiera da 80 milioni di euro anno. Ministero delle Politiche Agricole, 24.04.2015
  4. Dan Caplinger. 3 Key Markets for Philip Morris International. Fool.com, 26.09.2016
  5. Convenzione quadro OMS per la lotta al tabagismo. Ministero della salute, 22.10.2010
  6. Tabagismo nel mondo. Dati epidemiologici. Ministero della salute, 06.06.2007
  7. http://www.panoramasanita.it/2016/09/21/italia-prima-in-europa-per-la-piu-alta-percentuale-di-giovani-fumatori/
  8. Nuova direttiva sui prodotti del tabacco: una vittoria per la salute pubblica in Europa.
    A cura di Tonio Borg, commissario europeo per la Salute
  9. Barnum H. The Economic Burden of the Global Trade in Tobacco. Tobacco Control 1994; 3: 358-361
  10. D’argenio P. L’economia associata al consumo di tabacco. Scienza in rete, 31.o5.2012
  11. Big tobacco: exposing its deadly tatics [PDF: 98 Kb]. Global.tobaccofreekids.org
  12. Sabrina Giannini. Ipocrisia di stato. Report.rai.it, 15.10.2000
  13. Pipitone G. Lobby, Renzi e Boschi: “Non ne siamo schiavi”. Ecco le leggi a favore di tabacco, armi, banche e assicurazioni. Il fatto quotidiano, 06.04.2016
  14. Nicotine without smoke: Tobacco harm reduction. Royal College of Physician
  15. WHO Chief Wants to Put Tobacco Industry ‘Out of Business’ . Voanews.com, 15.03.2015

Angelo Stefanini

24/10/2016 www.saluteinternazionale.info

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