UN POPOLO IN TSO VOLONTARIO?

rabbia

Nel Paese degli orrori, conosciuto come l’ex bel paese, ci siamo giocati in pochi anni oltre due secoli di pensiero, e pratica politica, liberale a trazione democratica eliminando con un colpo di spugna, iniziato vent’anni fa, il criterio di lettura – e di convivenza, fatta di accordi e scontri politici e sociali – che impone a chi governa una nazione la composizione mediatoria di molti interessi con relative idee diverse supportate da organizzazioni a scopo partecipativo. Con questo gruppo che legifera senza consenso elettorale (ricordiamo che questo governo – come quello di Monti, è stato imposto dalla Banca Centrale Europea tramite Draghi e Napolitano e non scelto dal Parlamento – a supporto degli interessi di gruppi finanziari e industriali, determina un cambiamento oligarchico e dittatoriale basato sulla fine della mediazione politica e sindacale, sostenuto da banditori quotidiani travestiti da giornalisti e opinionisti, i quali con la loro petulante opera per diffondere i suggerimenti del pensiero dominante inibiscono la capacità delle persone d’intendere la realtà e di volere il cambiamento dello stato di cose presenti.

Ovviamente il parere di valutazione dell’operato di questo gruppo di legislatori, e delle loro succursali, una volta chiamate Giunte regionali e Comunali, non spetta più al popolo con il voto, e se comunque viene ancora permesso, con limitazioni e dissuasori legislativi, non conta più in quanto espresso da subordinati, confusi mentalmente data la loro instabile situazione di vita, come lavoratori, pensionati, precari, studenti, disoccupati e faziosi intellettuali. Per completare la ristrutturazione dell’ex bel paese bisognava sostituire l’architrave della “vecchia” organizzazione produttiva e sociale, come? Nulla da inventare, il medioevo è una fonte inesauribile per chi vuole dominare: misericordia e carità al posto di diritti e giustizia. Da dove iniziare, o meglio da chi iniziare?

Ma ovvio, dai lavoratori che rappresentano il pilastro della pretesa di diritti sul lavoro e di giustizia sociale. E quindi su di loro si è abbattuta la scure della graduale, ma incessante, cancellazione delle conquiste ottenute dopo la fine del fascismo. I primi vagiti gutturali dei poteri dominanti sono spuntati agli inizi degli anni 80 col lamento inventato e bugiardo dell’assenteismo degli operai (condito da un mare di sugo terrorista, fatto artificialmente con pochissimi pomodori ben cucinati dalle loro macchine da scrivere nei giornali e dai loro pappagalli nelle TV).

I primi passi si sono concretizzati con licenziamenti di massa e quindi con la cancellazione della protezione sociale della scala mobile. Senza soluzione di continuità nell’opera di massacro delle fasce povere della società si è arrivati all’era del berlusconismo, vera e propria anticamera dell’inferno, e quindi agli esecutori di fatto, da Monti in avanti fino a questo bamboccione senza arte né parte che ha avuto il compito di ottimizzare il lavorio dei suoi predecessori e cancellare l’art. 18 come pilastro delle tutele del lavoro e lo smantellamento dei servizi pubblici essenziali, come la sanità, la scuola pubblica, l’università, i beni culturali e la del territorio. Quindi le classi popolari sono state riavviate ad essere destinate come i poveri del mondo preindustriale, nel quale, appunto, la loro speranza era la misericordia dei nobili e dei potenti. Risulta evidente che pochi hanno troppo e troppi hanno poco per sopravvivere.

La crisi imposta alle fasce popolari, per finanziare le banche, la finanza parassitaria e la speculazione, ha di fatto accentuato la disuguaglianza tra le classi sociali, ma a ricaduta anche quella, comunque già esistente a causa dei contratti negli ultimi dieci anni, tra le diverse figure professionali governate da istituti contrattuali utilizzati in forma clientelare per favorire pochi fidati e altri da fidelizzare con migliaia di euro. Sono percorsi più infami nel servizio pubblico che nel lavoro privato, perché rendono le persone più inclini all’egoismo sul lavoro. Più indifferenti ai bisogni dei cittadini, ai quali è impedita una fruizione facile e qualitativa del diritto, facendoli sentire più poveri e il Jobs act, piede di porco della banda Renzi, sancisce definitivamente la condizione di precarietà e solitudine del lavoratore di fronte al datore di lavoro pubblico e di fronte al padrone del lavoro privato che, nella loro posizione di forza, possono pretendere dai lavoratori che si accontentino di salari insufficienti per una vita dignitosa, che accettino un incremento senza limiti di ore lavorate, che accelerino i ritmi, che si possa risparmiare sulle condizioni di sicurezza. E’ vero o no che in questa condizione data cosa può fare il lavoratore lasciato solo, senza rappresentati e senza leggi di protezione elementare? Lo chiediamo ai grossi sindacati e ai parlamentari che ancora si dicono di sinistra. La risposta, ovviamente per noi comunisti, è scontata e inconfutabile: il lavoratore è costretto al silenzio, a non avere pretese di lavoro e di vita decente.

Dopo avere recintato gli operai bisognava assoggettare anche l’ossatura dei servizi dello Stato. Ed ecco il blocco totale, dopo decenni di slittamenti e vacui rinnovi dei contratti del pubblico impiego. L’obbiettivo è sempre lo stesso: derubare i lavoratori per ingrassare i poteri, le fasce già straricche e le banche ridisegnate come isole a monarchia acostituzionale. Il governo Berlusconi aveva già provveduto a bloccare i contratti degli impiegati pubblici riducendo gli stipendi agli statali. Verrà poi confermata da Montie da Renzi e nulla importa loro che la Corte Costituzionale abbia sancito l’incostituzionalità sia del blocco delle pensioni che di quello dei contratti statali. Ora, siccome è evidente come gli stessi governi violino ormai abitualmente le leggi dello Stato, possiamo solo definirli dei sovversivi contro la Costituzione e sobillatori dell’ordine pubblico.

Tanto per fare un solo esempio, è stato calcolato che il blocco dei contratti dei dipendenti pubblici sia costato, in media, circa il 10% dei loro salari per un totale di circa 35 miliardi di euro in cinque anni, mentre negli ultimi anni si sono persi oltre 300mila posti di lavoro nel pubblico impiego. Soldi che lo stato ha risparmiato e che sono serviti a ripagare il debito verso gli speculatori internazionali, a finanziare le spese e le avventure militari all’estero, a salvare le banche. Insomma: un enorme travaso di soldi dalle tasche dei lavoratori, dei pensionati, dei precari a quelle dei capitalisti, tanto per usare una definizione scientificamente esatta che ormai solo noi comunisti abbiamo il coraggio di usare, per non nascondere la testa sotto la sabbia. Ma a questo punto possiamo fare, e farci, una domanda terribile che riguarda milioni di italiani? Sono malati di mente, per assistere in silenzio al loro massacro e dare il loro consenso ai massacratori, i quali li deridono indicando loro di prendersela con quelli ancora più deboli per farli sfogare con i rutti della pancia isolando il cervello?

Se questa domanda ha un suo perchè allora meglio non avere momenti di lucidità, altrimenti milioni di italiani chiederebbero un Trattamento Sanitario Obbligatorio per fare più male a se stessi e agli altri. E’ una percezione drammatica supportata da almeno vent’anni di atti inconsulti, certamente intermezzati da sporadici momenti di lucidità, dal masochismo concreto nascosto, dall’esibizionismo fatuo fino all’individualismo asociale produttore di cattiveria, verso i propri simili e i più deboli, di materiale analitico ne abbiamo a iosa. Una percezione che potrebbe portare a una risposta depressiva, anche per un serio e coerente politico o sindacalista: niente e nessuno può salvare questo Paese con, in maggioranza, cittadini senza più memoria, cultura e autostima, intesa come capacità di riflessione delle proprie condizioni reali. Un Paese con, in maggioranza, cittadini che si mascherano dietro i luoghi comuni, i dettami televisivi, e, tanti, dietro il palcoscenico di Facebook. Domanda ai lettori: senza questa maschera il popolo italiano, nella sua maggioranza, potrebbe andare verso un suicidio di massa, come una setta pseudoreligiosa? Riformulo la domanda, ripulita dal misticismo della prima: questa maschera che ci nasconde la realtà è vista come una salvezza perché non intravediamo la cura per il vuoto mentale che affligge la maggioranza? La nostra vi pare retorica politica perché sono depresso dagli insuccessi elettorali di Rifondazione comunista insieme al resto della sinistra coerente?

Andiamo a leggere i dati, sempre per difetto a causa della non libera informazione in Italia, siamo agli ultimi posti nel mondo. Nei primi otto mesi di questo anno si è venuto a conoscenza che 150 sono state le persone che si sono tolte la vita per motivazioni fortemente correlate alla mancanza di lavoro e alla crisi economica. Quindi, quasi il doppio dei suicidi rispetto a 3 anni fa, escalation delle tragedie soprattutto nel Mezzogiorno e nel Nord-Est; aumento dei casi tra gli imprenditori, abbassamento dell’età media, crescita dei tentati suicidi di quasi il 50% rispetto allo stesso periodo 2014. Produci a prescindere dalle condizioni di diritti e sicurezza, consuma secondo le imposizioni alimentari e voluttuarie delle multinazionali, crepa nei tempi predeterminati dalle tue condizioni di reddito: questo è il percorso di vita predeterminato per la maggioranza degli italiani.

Questo è l’assunto della politica di governo mentre in Italia si lavora e si produce molto di più che nel resto dell’Europa; si consuma poco e male nelle fasce povere o in via di povertà; si crepa, causa lavoro e ci si ammala per povertà economica nei ceti meno abbienti. E, secondo l’ultimo rapporto dell’Ocse, la precarietà è in continua crescita. Tale condizione sociale non permette a chi la vive di riconoscere la propria soggettività di cittadino e si trasforma in cliente che ogni giorno deve elemosinare un diritto nonostante faccia parte della grande fetta di società che con la fiscalità generale contribuisce alla ricchezza nazionale. Ma permette di ignorare che quella ricchezza è in grossa parte regalata alle guerre contro altri popoli.

L’Italia spende 80 milioni al giorno in spese militare alle dipendenze degli USA. La spesa militare italiana è salita da 65 milioni di euro al giorno nel 2013 a circa 70 nel 2014. Anche nell’ipotesi, remota,che resti invariata nel 2015, la spesa annuale del 2014 equivale, all’attuale tasso di cambio, a 29,2 miliardi di euro, ossia a 80 milioni di euro al giorno. Quindi di cosa parlano governo, TV e giornali quando lanciano allarmi sull’economia nazionale? Ovviamente, il pensionato, il disoccupato, il lavoratore è lasciato solo di fronte ai poteri padroni dello Stato in una condizione che non gli permette di riconoscere, rivendicare e godere dei suoi diritti e che lo priva (anche indotto dalla mistificante e debilitante comunicazione dei grossi e grassi media, tutti in mano ai gruppi industriali e finanziari) della stessa volontà di reagire, della forza per lottare mettendo insieme i suoi bisogni, che gli paiono individuali ma che sono simili a quelli di tanti altri milioni di italiani, compresi i migranti che lavorano.

L’unica reazione che hanno è l’apatia, la passività che li porta a disarmarsi intellettualmente e interiormente, cadendo in un oblio che li inibisce nella personalità e nella parola autonoma, e contemporaneamente capaci solo di produrre violenza inconsulta verso chi sta peggio di loro, cadendo in un masochismo sociale che li arruola come servitù dei loro carnefici al potere nelle istituzioni e nell’economia. Lo stato di prostrazione conseguente alle difficoltà in una società guidata, con le politiche economiche e con le guerre, verso la depressione con l’aumento delle diseguaglianze e delle ingiustizie sociali generano ansia, timori e bisogno di compensazione.

La risposta emotiva individuale, seppur dentro spazi vissuti intimamente come “rifugio collettivo” determina indifferenza verso le proprie condizioni materiali, come fosse un destino. Viene meno la rabbia, si tende ad attutire i conflitti, in una logica di conforto predestinato all’offerta del bene a prescindere. Inconfutabile è il risultato della rinuncia allo spirito critico verso lo stato di cose presenti, all’irriverenza verso i poteri politici, divenuti anch’essi religiosi per la loro lontananza dai problemi reali. Quanto sia preoccupante lo stato depressivo degli italiani lo appuriamo nel silenzio col quale accolgono lo smantellamento del diritto al bene primario, quella sorgente di vita e fonte di benessere psicofisico rappresentata dal Servizio Sanitario pubblico. E certamente non possiamo giustificare questo silenzio con l’ignoranza, causa emarginazione dalle difficoltà di capire le decisioni politiche ed economiche sempre più lontane dai cittadini, perché la ribellione è istintiva di fronte al pericolo di salute e della stessa vita.

Che la salute non può diventare un lusso per pochi non è uno slogan di polemica politica ma una ribellione istintiva di fronte al pericolo. Già ben 10 milioni di persone in Italia non hanno accesso alle cure per problemi economici. Un numero destinato a crescere con gli ultimi provvedimenti che intervengono direttamente sulle prestazioni sanitarie specialistiche. Il taglio netto del 5% di spesa per beni e servizi, poi, produrrà il solo effetto di licenziamenti e peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori esternalizzati, “con conseguente abbassamento della qualità dell’assistenza, senza intaccare minimamente il sistema degli appalti e il profitto dei privati. Meccanismo criminale questo della banda Renzi, che lascerà un numero sempre più alto di pazienti privi di diagnosi accurate, quindi più esposti a errori o peggioramenti della malattia. E’ sempre più urgente che cittadini, infermieri e medici come professionalità più numerose e forti, dicano basta a questo scempio dello stesso concetto di convivenza civile. Solo per noi comunisti è inconcepibile che curarsi sia diventato un lusso per pochi? Che oltre a pagare la sanità con le tasse dobbiamo anche ripagarla con i ticket? Che dobbiamo assistere alla chiusura di reparti di degenza, servizi specialistici e interi ospedali per trasferire la domanda di cura nelle strutture private, comunque già finanziate con denaro pubblico?

Ad oggi, spesso la risposta indotta dai messaggi della politica vincente è stata quella di prendersela con chi lavora. E’ pur vero che chi lavora in sanità, e in tutti servizi pubblici, non ha saputo reagire. Ma questa non è una giustificazione per accanirsi sul loro corpo già debellato da sindacati. E’ tardi per ribellarsi? E’ una emergenza sociale e politica arrestare questi malfattori, al più presto prima che chiediamo noi stessi un Trattamento Sanitario Obbligatorio per incapacità di intendere e di volere. Non è mai troppo tardi!

Franco Cilenti

dal nuovo numero di Lavoro e Salute – settembre 2015

www.lavoroesalute.org

 

 

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