USA. La guerra dei dazi

Credits Unsplash/Rod Long

Dopo molte minacce, Trump ha annunciato i dazi sul Canada, sul Messico e sulla Cina. Cosa sono questi dazi? Si tratta di tasse sul valore delle importazioni e vengono imposte per cercare di proteggere la produzione nazionale rispetto alla concorrenza estera. 

Tuttavia, una conseguenza potrebbe essere un aumento dell’inflazione negli Stati Uniti. A questo proposito è importante capire a quali condizioni un aumento dei dazi si traduce in un aumento dei prezzi interni. L’effetto sui prezzi dei beni negli Stati Uniti dipende principalmente dalla politica di prezzo delle imprese esportatrici. Se le imprese vogliono difendere i loro margini di profitto, manterranno immutato il prezzo di vendita, così un bene che si vendeva a 100 prima dell’introduzione del dazio, se viene introdotto un dazio del 25%, si venderà ora negli Stati Uniti a 125%. E questo, ovviamente, alimenta l’inflazione, riducendo il potere d’acquisto dei consumatori. 

Se, d’altra parte, le imprese esportatrici non vogliono perdere quote di mercato sul mercato estero, potrebbero decidere di sopportare loro il costo del dazio in termini di minori profitti, riducendo il prezzo dell’ammontare del dazio, in modo da continuare a vendere sul mercato americano a 100. È probabile che si abbia una combinazione di queste due possibilità. Dunque a seconda della politica di prezzo scelta dagli esportatori si potrà avere un impatto maggiore o minore sull’inflazione. Una seconda questione riguarda l’impatto dei dazi sulla produzione interna: questo dipende dall’esistenza di sostituti dei beni importati, perché se un bene non viene prodotto negli Stati Uniti, non c’è tariffa che tenga, almeno nel breve periodo. 

È bene ricordare che da alcuni decenni esiste un trattato di libero commercio tra gli Stati Uniti, il Canada e il Messico. Era stato lo stesso Trump che aveva riconfermato questo accordo nella sua precedente presidenza, rinnovando quello che era un tempo il NAFTA (North America Free Trade Agreement), in un nuovo trattato, l’USMCA (US, Messico, Canada). In seguito a questo trattato le imprese americane hanno delocalizzato in Messico molte fasi di produzione di industrie importanti, prima fra tutte l’industria automobilistica, al fine di trarre vantaggio dei minori costi. 

Quindi parliamo di economie fortemente integrate, in cui le importazioni non riguardano solo beni finali, ma soprattutto beni intermedi che entrano nella produzione dei prodotti finali assemblati negli Stati Uniti. Ed è questo il principale problema nell’imposizione di dazi: l’aumento di prezzo degli input si trasferisce sul prezzo dei beni finali. 

L’altro aspetto da considerare è la possibilità di ritorsione da parte dei paesi soggetti all’imposizione di dazi. Qui però la dimensione economica relativa conta. Canada e Messico gestiscono più di tre quarti delle esportazioni totali verso gli Stati Uniti, mentre le esportazioni dagli Stati Uniti verso Canada e Messico, per quanto rilevanti, sono molto minori. Quindi per Messico e Canada è molto più gravoso subire dazi, perché il mercato americano per loro è estremamente rilevante. Vi è dunque un’asimmetria di potere che attiene alla forza commerciale. 

A questa asimmetria si aggiunge la forza economico-militare degli Stati Uniti, che è ancora il paese egemone a livello globale. Dunque, più importante ancora dell’effetto dei dazi sull’aumento di prezzo dei singoli prodotti, che può essere dirompente nel caso di un interscambio fra paesi così strettamente integrati, è l’effetto sull’incertezza causata da un presidente che straccia i trattati da lui stesso firmati e usa la minaccia dei dazi come strumento di contrattazione.

Una minaccia che non risparmia l’Europa. Anche in questo caso i rapporti di forza si giocano su diversi tavoli, dagli scambi commerciali fino alla difesa militare – in particolare all’interno della Nato. Gli Stati Uniti hanno “chiesto” all’Europa di aumentare gli stanziamenti perla difesa e le importazioni di gas, petrolio e armi dagli Stati Uniti, pena l’imposizione di dazi. Data la vicinanza del Big Tech alla presidenza americana, non è inconcepibile che venga usata la minaccia dei dazi per ottenere dall’Unione europea una deregolamentazione di tutta la materia attinente alle piattaforme digitali. 

Questo modo di fare politica, basato sulla prevaricazione e sulle minacce a chiunque, amici o nemici, rende molto difficile la gestione delle relazioni internazionali. Una volta che si minacciano gli alleati chi si ritiene più sicuro? Chi farà più affidamento su un trattato commerciale con gli Stati Uniti quando qualsiasi pezzo di carta può essere stracciato all’improvviso? Se è l’intero insieme delle relazioni commerciali a essere in pericolo, dall’altra parte c’è la divisione drammatica dell’Europa.  

Il rischio maggiore in questa situazione è che Trump si muova paese per paese, con accordi bilaterali in cui ciascuno cerca di mettere al riparo il proprio orticello. Questo fa saltare l’idea di una difesa comune dell’Europa rispetto a uno strapotere degli Stati Uniti.

Ma ci possono essere ripercussioni negative anche per il sistema economico statunitense. Nel caso dei dazi sulle importazioni da Messico e Canada, per esempio, si frammenta la catena del valore che travalica i confini in industrie strettamente intrecciate, e danneggia l’industria americana. 

Anche per questo, con l’avvicinarsi della data dell’imposizione dei dazi si sono levate proteste. Per esempio, la Camera di Commercio degli Stati Uniti e i sindacati dei settori automobilistico e dell’acciaio hanno sottolineato i costi di queste misure. 

Alcuni gruppi industriali più interdipendenti nei rapporti commerciali con Messico e Canada, per esempio l’industria dell’auto, l’industria delle costruzioni e l’agroalimentare, avevano chiesto di essere esentati dalle tariffe. Il Wall Street Journal, il giornale rappresentativo degli interessi dell’industria, ha definito quelle di Trump “le misure commerciali più stupide della storia”, in quanto rischiano di essere autolesioniste, contrarie agli interessi dell’industria e costose per i consumatori che dovranno sopportare maggiori tassi di inflazione e quindi minori consumi reali. 

Ma le conseguenze negative potrebbero riguardare tutti i paesi: la riduzione delle esportazioni dei paesi colpiti da dazi ne ridurrà il reddito, e dunque le importazioni, che sono le esportazioni degli Stati Uniti (o di altri paesi), e dunque ridurrà il reddito anche di questi paesi, in un processo cumulativo di riduzione di esportazioni, reddito e consumi, noto come moltiplicatore del commercio internazionale. Se questo processo viene esteso all’Unione europea, alla Cina e al mondo intero, avremo ricreato le condizioni per una nuova grande depressione.

Alla luce di queste considerazioni, più che al dispiegamento di soldati alle frontiere per il controllo di migranti e fentanyl, va letta forse la marcia indietro rispetto alle minacce a Messico e Canada. Ma questo dimostra la pericolosità di una politica ondivaga e assolutamente imprevedibile. 

Annamaria Simonazzi

6/2/2025 http://www.ingenere.it

Questo articolo è una trascrizione dell’intervento tenuto dall’autrice ai microfoni de Il Mondo, podcast di Internazionale

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