Veneto. La Regione delle fake news sulla sanità

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Politiche socio-sanitarie in Veneto: dalla eccellenza alla desolazione

di Salvatore Lihard Co. Ve. SAP (Coordinamento Veneto Sanità Pubblica)

Giova ricordare che negli anni ’70 la Regione del Veneto si è caratterizzata con un buon modello dei servizi sanitari e sociali anticipando addirittura la legge di riforma sanitaria 833/78: non solo ospedali ma anche strutture territoriali di prevenzione e assistenza primaria.

Anche negli ’80 si è dato seguito a tale modello organizzativo: l’assistenza ospedaliera connessa all’assistenza territoriale coinvolgendo gran parte del mondo politico, sociale, sindacale, nonostante la guida della Regione su base democristiana; un lavoro positivo fatto di confronto continuo con i Comuni, con l’Università, con le professioni, con il volontariato, ecc. e con eccellenti risultati: offerta dei servizi socio-sanitari adeguati ai bisogni di salute per la prevenzione, la cura e la riabilitazione.

Negli anni ’90 il Veneto, nonostante gli assalti alla diligenza per importare il modello lombardo, ha continuato a proporre metodiche di politiche di integrazione tra il sanitario ed il sociale conseguenti ad una buona programmazione, dalla continuità assistenziale alla presa in carico della persona.

Negli anni 2000 si assiste alla svolta “involutiva”: massima restrizione dei processi di partecipazione, accentramento della programmazione, presunzione e arroganza politica. Il protagonista? Il partito della Lega che dal 2005 a tutt’oggi gestisce la sanità in Veneto abbassando la qualità e la quantità dei servizi assistenziali. Gli strumenti di programmazione e pianificazione (Piano socio-sanitario regionale e Piano di di Zona) evidenziano l’inversione di tendenza: nel rapporto ospedale-territorio, quest’ultimo ha subito importanti tagli indebolendo la integrazione sociale-sanitario. Da ricordare poi il fallimento dello strumento del project financing a Mestre e l’assurda proposta di costruzione di un grande ospedale a Padova.

Poi la ciliegina sulla torta? La legge regionale 19/2016 che ha ridutto le AULSS da 21 a 9 e ha istituito l’Azienda Zero, quest’ultima addetta alla centralizzazione della gestione della sanità ovvero l’esercizio del potere politico a scapito degli organi istituzionali di rappresentanza “utilizzati” solo per consultazione (Consiglio regionale, V^ Commissione consiliare, Direttori Generali delle AULSS con l’esclusivo compito di vigilare sui bilanci).

Il disastro? Sicuramente la pandemia. Essa ha scoperto il classico vaso di Pandora. La pandemia ha colpito duramente: migliaia di decessi, contagi a tappeto, migliaia di ricoveri nei reparti Covid e nelle terapie intensive. Gravi sono state le conseguenze sulla normale attività di assistenza sanitaria: oltre 400.000 prestazioni sospese nel 2020 con il risultato di avere nel 2021, un numero di decessi per altre patologie da parte di ultra65enni , molto superiore alla norma, frutto probabile delle mancate cure.
Il CoVeSaP (Coordinamento Veneto per la Sanità Pubblica) in più documenti ha evidenziato: “…la risposta complessiva all’emergenza pandemica non è stata efficace. La trasformazione in Covid Hospital di alcuni ospedali ha lasciato sguarniti interi territori che hanno pagato più di altri la mancata assistenza. Le ULSS non hanno messo a punto sistemi efficaci né per la cura domiciliare né per il tracciamento e sorveglianza dei contagi; in particolare, durante l’ultima ondata di variante Omicron, hanno riversato sui medici di medicina generale e pediatri di libera scelta una grande quantità di compiti burocratici, mettendo in crisi anche l’assistenza di base.

La Regione Veneto, nonostante abbia avuto a disposizione notevoli risorse per far fronte alla pandemia, non ha investito nell’unica cosa davvero utile per rinforzare il servizio sanitario: le risorse umane. La maggior parte del personale aggiuntivo è stata assunta con contratti temporanei, il personale in servizio è in numero di gran lunga inferiore a quello necessario, ed è fortemente stressato dopo tre anni di lavoro in condizioni gravose per ritmi elevati e mancanza di tempi di recupero.

Queste pesanti criticità si sono aggiunte a quelle accumulate nel tempo, in particolare:

  • La grave carenza dei Servizi di Emergenza/Urgenza nei territori più disagiati con la chiusura o il declassamento dei Servizi di Pronto Soccorso nelle zone di montagna del bellunese, nei territori dell’area polesana, nelle isole delle zone lagunari.
  • Il depotenziamento degli Ospedali periferici, con diminuzione dei posti letto, chiusura di reparti, interventi chirurgici ritardati e servizi ambulatoriali ridotti.
  • La mancata realizzazione di Ospedali di Comunità e Strutture Riabilitative Pubbliche;
  • L’aumento esponenziale delle liste di attesa e l’invio dei pazienti presso le Strutture Private che sono molto cresciute in numero e fatturato.
  • La riduzione e accentramento dei Servizi Territoriali quali la Neuropsichiatria Infantile, le attività di Prevenzione e di Screening, i Consultori Familiari, i Servizi per la Disabilità e per le Dipendenze, i servizi per la Salute Mentale, l’Assistenza Domiciliare, la Rete delle Cure Palliative.

A questo si aggiunge un grave degrado ambientale: inquinamento atmosferico tra i più alti in Italia e in Europa, inquinamento delle falde acquifere e dei corsi d’acqua con sostanze tossiche (PFAS), massiccia speculazione edilizia con indiscriminato consumo di suolo…”.

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