MA E’ DAVVERO UNA NOVITA’ (per i lavoratori) IL CORONAVIRUS ?

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Che il coronavirus sia una vecchia conoscenza (assieme ad altri virus) è agevolmente verificabile nella normativa sulla sicurezza sul lavoro.
Il “coronaviridae” è infatti elencato tra gli agenti biologici di classe 2 nell’allegato XLVI del Dlgs 81/2008 (testo unico sulla sicurezza sul lavoro), ed è comparso nella normativa sulla sicurezza sul lavoro già con il Dlgs 626/94 a sua volta recepimento della “Direttiva 90/679/CEE del Consiglio, del 26 novembre 1990, relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro (settima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE)”.
Ma anche il vecchio dpr 303/1956 conteneva norme in proposito e riconosceva esplicitamente agenti infettivi professionali (batteri e parassiti principalmente) come :

– carbonchio (concia pelli, macellai, residui animali)
– anchilostomiasi (gallerie)
– leptospirosi (bonifiche – lavori nelle fogne)
– tubercolosi e sifilide (soffiatura del vetro)

Anche i rischi biologici in senso lato sono ben conosciuti (o dovrebbero esserlo) anche al di fuori del comparto sanitario: ogni anno muoiono nel mondo 320.000 lavoratori (di cui 5.000 nella Unione Europea) per malattie infettive trasmissibili “prese” sul lavoro ma questo non produce particolari ansie nei governi e nei media (come pure non provocano ansia i morti per cancerogeni, per amianto o per altre malattie professionali a meno che i lavoratori non portino in giudizio i responsabili).

Per tornare a parlare nello specifico occorre sempre partire dalle definizioni così è chiaro di cosa si sta parlando.
Il Dlgs 81/2008 definisce agenti biologici :

a) agente biologico: qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed
endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni;
b) microrganismo: qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico;
c) coltura cellulare: il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari

Il coronavirus è, appunto, un virus qualificabile come microrganismo (pur non essendo cellulare).

GLi agenti biologici sono classificati in relazione alla pericolosità (da 1 poco pericolosi a 4 estremamente pericolosi): il coronavirus è nel gruppo 2 (a meno che il nuovo coronavirus non venga prossimamente riclassificato per la sua inattesa capacità di propagarsi nel gruppo 3) quindi allo stesso “livello” della influenza A,B e C, dell’Herpes, del morbillo, della parotite, della poliomelite.

1. Gli agenti biologici sono ripartiti nei seguenti quattro gruppi a seconda del rischio di infezione:
a) agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;
b) agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaga nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
c) agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
d) agente biologico del gruppo 4: un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

Senza entrare nel merito delle attività lavorative che volutamente impiegano agenti biologici (dal gruppo 2 al gruppo 4) soggette ad obblighi autorizzativi specifici, tutte le attività nelle quali vi può essere esposizione ad agenti biologici devono valutare tale rischio – nell’ambito del principio generale e tassativo che il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi per i lavoratori e le lavoratrici connessi con l’attività – nello specifico è comunque obbligatoria la valutazione in queste lavorazioni per escludere o meno la necessità di specifici interventi prevenzionali o di protezione:

1. Attività in industrie alimentari.
2. Attività nell’agricoltura.
3. Attività nelle quali vi è contatto con gli animali e/o con prodotti di origine animale.
4. Attività nei servizi sanitari, comprese le unità di isolamento e post mortem.
5. Attività nei laboratori clinici, veterinari e diagnostici, esclusi i laboratori di diagnosi microbiologica.
6. Attività impianti di smaltimento rifiuti e di raccolta di rifiuti speciali potenzialmente infetti.
7. Attività negli impianti per la depurazione delle acque di scarico

Misure specifiche sono previste per le strutture sanitarie e veterinarie, l’obbligo è di prestare ” particolare attenzione alla possibile presenza di agenti biologici nell’organismo dei pazienti o degli animali e nei relativi campioni e residui e al rischio che tale presenza comporta in relazione al tipo di attività svolta”.
Dalle notizie sul numero dei lavoratori della sanità colpiti dal virus per il contatto con i pazienti, probabilmente, queste misure non sono state adottate appieno o non sono state sufficienti, costringendo i lavoratori a essere “eroi” loro malgrado.

Quando si parla di misure di prevenzione in ambito lavorativo si finisce per parlare di iniziative consigliate alla popolazione in questa occasione :

– pulizia/detersione/disinfezione di superfici/luoghi;
– gestione e manutenzione di impianti aeraulici (impianti di condizionamento);
– gestione dell’approvvigionamento idrico (non interessato in questo caso perché la via di propagazione è solo aerea ma caratteristiche idonee dei rubinetti, non manuali, sarebbero un passo avanti);
– lavaggio delle mani.

Per quanto concerne i dispositivi di protezione individuali (mascherine a livello generale, indumenti per i lavoratori) esiste una circolare del Ministero del lavoro (15/2012 del 27.06.2012) che ricorda come “risultano idonei per la protezione da agenti biologici sia i dispositivi di protezione delle vie respiratorie provvisti di certificazione CE di cui al Capitolo II della Direttiva 89/686/CEE4, che attesti la protezione da agenti biologici dei gruppi 2 e 3 così come definiti nella Direttiva 2000/54/CE, sia quelli provvisti di certificazione CE di cui al Capitolo II della Direttiva 89/686/CEE4, basata sulla norma europea armonizzata EN 149.”
Quindi se una persona vuole proteggersi dalla “contaminazione” proveniente dall’esterno deve utilizzare un DPI per vie respiratore specificatamente certificato CE per la protezione da agenti biologici di gruppo 2 (per il nostro caso), l’utilizzo di mascherine per le polveri (quelle più agevolmente acquistabili da tutti) non possono avere questa funzione protettiva (incluse quelle a maggiore protezione ovvero le FP3), mentre queste ultime possono essere idonee per “isolare” una persona ammalata ed evitare che propaghi agevolmente il virus nell’ambiente intorno.
Per inciso non sono DPI le “mascherine chirurgiche” o “igieniche” anche se provviste di filtro.

Marco Caldiroli

28/2/2020 www.medicinademocratica.org

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