Amianto, ecco l’altra strage di Bologna.

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749 persone morte a causa dell’amianto, dal 1989 al 2014. Il prezzo altissimo dell’amianto pagato finora dalla città di Bologna. Molte di loro, come i 403 lavoratori delle Officine Grandi Riparazioni (OGR) sono “colpevoli” di aver convissuto per troppo tempo con la fibra killer con cui si isolavano le carrozze delle Ferrovie dello Stato fino al 1992, anno di messa al bando dell’amianto.

“Un dramma che ho toccato con mano dal 1986, l’anno in cui sono entrato in OGR, ma di cui abbiamo appreso la vera entità, per la prima volta, dall’AUSL nell’istruttoria pubblica sull’amianto voluta finalmente dal comune di Bologna a dicembre 2014 – racconta Salvatore Fais, combattivo delegato sindacale e rappresentante per la sicurezza dei lavoratori, solo da qualche giorno in pensione.

“A pieno regime, entravano nell’area di via Casarini almeno 100 tonnellate di amianto l’anno e fino al 1990 i treni, tra cui il famoso Pendolino, ne erano ancora imbottiti“. Quello stesso amianto che i lavoratori per decenni hanno usato e maneggiato con disinvoltura fino a quando non hanno cominciato ad ammalarsi. E morire.

“Quando mi sono reso conto di cosa stava succedendo, nel silenzio generale, ho deciso di documentare tutto- racconta Fais- ma la strage iniziata allora, continua, e oltre piangere i nostri colleghi, viviamo tutti con l’angoscia di una malattia che non perdona”.

Per non dimenticare, il caparbio operaio ha raccolto oltre che un vero e proprio dossier, le foto e i nomi di oltre duecento colleghi scomparsi, proprio all’interno dei capannoni,  creando una sorta di museo e monumento civile dedicato ai morti di lavoro. Quei “numeri” che le fredde statistiche epidemiologiche pongono nel “picco di mortalità previsto tra il 2015 e il 2020” hanno un volto, una storia. Le loro vite si sono spente in un susseguirsi cadenzato di funerali, che ha scosso, finalmente, la comunità bolognese.

“Il museo alle vittime è stato aperto alla cittadinanza -racconta Fais- lo scorso 28 aprile, durante la giornata dedicata alle vittime dell’amianto, quando una catena umana ha circondato l’intero perimetro delle ex-OGR, gli oltre 120 mila metri quadrati nel quartiere Porto, oggi di proprietà Trenitalia e in dismissione.

“Ma non tutto l’amianto non è stato ancora completamente bonificato ma confinato” denuncia Fais – e INAIL non ha ancora riconosciuto l’esposizione professionale agli ex-lavoratori OGR che non usufruiscono dei benefici di legge per gli esposti all’asbesto, quel prepensionamento per la minor aspettativa di vita. Anche per questo Fais il 21 luglio si è incatenato davanti alla sede bolognese dell’istituto. “Un gesto estremo per cercare di attirare l’attenzione delle Istituzioni- racconta il delegato CGIL- il prefetto Sodano ha promesso una sua mediazione, speriamo”.

La conferma che gli ambienti di lavoro fossero dei veri e propri gironi danteschi arriva dalla preziosa testimonianza di Matteo Antonio, responsabile del reparto scoibentazione delle carrozze, in OGR per 32 anni.“I reparti di lavorazione e riparazione delle carrozze erano tutti contigui e in un ambiente unico, la polvere d’amianto volava dappertutto, dalla falegnameria, alla tappezzeria agli elettricisti fino alla mensa”. Matteo ha passato tutta la sua vita lavorativa in OGR e ha visto morire i propri compagni di lavoro, nonostante abbia lottato per lavorare in sicurezza. “Ho vinto il concorso nel gennaio del 1970, insieme a me oltre 1000 operai vennero assunti nel giro di tre anni- racconta il ferroviere- sono andato in pensione il 30 giugno 2002 ed ho vissuto il prima e il dopo”. Già, perché fino al 1992 l’amianto veniva usato dappertutto. “L’officina era specializzata nella riparazione degli elettrotreni e degli “alta velocità”. L’asbesto era ovunque: dalle guarnizioni all’isolamento di pareti e pavimenti”. Per coibentare completamente una carrozza venivano impiegati fino a 250 kg di amianto. “Ci accorgemmo che qualcosa non andava quando, alla fine degli anni ’70 cominciarono a morire gli operai specializzati della Davidson e Rhodes di Genova, la ditta genovese incaricata di spruzzare le pareti dei treni con l’amianto. Quei pezzi che poi noi limavamo, spolveravamo e tagliavamo senza nessuna protezione, neppure una mascherina”.

Eppure, come ricorda Paola Ugliano, lucana emigrata prima a Bari, dove ha seguito da vicino le lotte del Comitato Cittadino per la bonifica della Fibronit, ora trapiantata a Bologna e attiva nella neonata Associazione Familiari e Vittime dell’amianto Emilia Romagna “Oltre la legge del 1956 che obbligava i datori di lavoro a fornire ai lavoratori “i necessari mezzi di protezione” per proteggersi dalle polveri, c’era già stato un Regio Decreto del 1906 che vietava l’esposizione alla pulviscolo d’amianto e la sua tessitura alle donne e ai bambini”. Invece, in una azienda di Stato, negli anni ’80 a Bologna, si lavorava ignorando le più elementari norme di sicurezza e nonostante dal 1943 al 1965 la legislazione, aveva già iniziato a cercare di arginare i danni dell’esposizione all’amianto, come silicosi e asbestosi, con disposizioni speciali, vedi la Legge 12/4/1943 n° 455 e il DPR 30/6/1965 n°648.

Così, mentre Antonio lavorava in officina già da tre anni a contatto con la fibra killer senza nessuna protezione e senza che il Servizio Sanitario interno delle FS obbligasse all’uso di protezioni e mascherine, lo Stato con il Decreto Ministeriale del 18/4/1973 ribadiva che l’esposizione all’amianto poteva provocare il cancro. “Ma noi non lo sapevamo, nessuno ci aveva detto niente- racconta l’ex ferroviere- internet non esisteva e per capire quello che stava succedendo abbiamo cominciato da soli a cercare di informazioni e andare a vedere cosa succedeva nelle altre aziende”.

Iniziò così un viaggio che porto gli operai delle OGR ad incontrare le maestranze della Italcantieri di Monfalcone “loro spruzzavano fino a 40 centimetri di spessore di amianto, contro i nostri quattro” e all’Italsider di Genova. “Lì abbiamo scoperto che i lavoratori si erano fabbricati da soli tubi respiratori collegati a dei motorini elettroventilati per non respirare le fibre, al ritorno realizzammo le tute di protezione- ricorda Antonio.

La scoibentazione delle vetture avveniva a porte aperte. Fino al 1984, quando finalmente i lavoratori, dopo le lotte iniziate nel 1979, ottennero una linea di di smontaggio in completo isolamento e le docce di decontaminazione. Ma ormai era troppo tardi. “Che fosse l’inizio della tragedia l’ho capito proprio quell’anno. mori un mio amico, compagno di scuola e di lavoro” ricorda Antonio.

Dopo la messa al bando dell’amianto nel 1992, l’ENEA, due anni dopo, fece proprio il protocollo sulla sicurezza, realizzato di fatto dalle maestranze della OGR, da affiancare al piano decennale delle Ferrovie dello Stato per la bonifica del materiale rotabile. Nel frattempo i dirigenti FS decisero di dare in appalto all’esterno la rimozione dell’amianto dalle carrozze. “Vagoni che poi ritornavano a Bologna, ma che erano stati trattati male, sporchi e pieni di polvere d’amianto”.

Tra le aziende appaltatrici, oltre la Tecnologie Industriali di San Giorgio di Nogaro e la Magnolia di Santhia, l’Isochimica di Avellino. Nelle officine campane, come abbiamo raccontato su Wired si lavorava senza nessun regola e precauzione per la salute dei lavoratori e la strage silenziosa tra gli ex-operai è in atto anche lì. “Nonostante la messa al bando dell’amianto ci sono voluti gli scioperi per ottenere le visite di ARPA e AUSL all’interno delle OGR e l’intervento del Procuratore Guariniello per denunciare l’enorme quantità di vetture ancora da bonificare” ricorda Antonio. Intanto le rilevazioni fornivano dati agghiaccianti: oltre 800 fibre /litro a cui chiunque fosse nel perimetro delle officine, dagli operai agli impiegati, era esposto. Come la signora Iole, mancata lo scorso Natale per mesotelioma. “Iole era in servizio al bar della mensa, era andata in pensione proprio nel 1984. E si è ammalata per aver convissuto con noi operai e le nostre tute sporche di polvere”. La strage continua. Solo a giugno sono stati altri tre, gli ex lavoratori OGR deceduti.

Chi ha pagato per tutto questo? Se nelle cause civili FS/Trenitalia ha corrisposto i risarcimenti, fino al 2014 l’unico condannato per omicidio colposo aggravato dal Tribunale di Bologna è stato Mario Monti, Responsabile Sanitario nazionale delle FS dal 1973 al 1979. “La pena è passata in giudicato perché l’imputato è deceduto- rammenta però l’avvocato penalista Donatella Ianelli, impegnata da anni nei processi fin dagli anni ’90. “I due procedimenti pendenti, uno con condanna, l’altro di assoluzione, sono arrivati alla Corte di Appello. Nella sentenza di gennaio 2015, depositata poi a marzo, i giudici hanno confermato la condanna in appello e ribaltato l’assoluzione per l’unico sopravvissuto”. Una sentenza che sembra riportare un po’ di giustizia ma l’avvocato Ianelli ci riporta alla realtà del diritto “L’imputato, unico sopravvissuto era responsabile del Materiale Trazione, farà ricorso in Cassazione, ha 92 anni”.

“In ogni caso si è segnato un punto fermo in materia di responsabilità penale su chi ha agito contro la salute dei lavoratori e delle lavoratrici, ignorando le tutele necessarie per il trattamento dell’amianto” sottolinea il sindacalista della CGIL bolognese, Andrea Caselli.

“Si tratta di un precedente importante anche per altri processi che si stanno facendo e si faranno in tutta l’Emilia Romagna, come quello per il Petrolchimico di Ravenna- ricorda Caselli- che dà forza a chi sta soffrendo, a tutti coloro che affollano gli sportelli che, come Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto, abbiamo aperto a Reggio Emilia e Bologna”.

“Oltre che nelle Officine Grandi Riparazioni, Casaralta, Breda Menarini Bus di Bologna e l’Eternit di Rubiera, il cemento-amianto è stato usato dappertutto” ricorda Caselli- dalle tubature dell’acqua, all’edilizia fino al petrolchimico. E molto è ancora l’amianto di copertura degli edifici pubblici e privati. “Ma la mappatura regionale è ancora ferma al 2004,  anche se ci sono iniziative partite dal basso, ci sono voluti il terremoto del 2012 e le indagini della magistratura per far comprendere che la strage dell’amianto, se non bonificato, anche qui è senza fine”.

Rosy Battaglia

Settembre 2015 www.wired.it/

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