AUTONOMIA DIFFERENZIATA. La consapevolezza è ancora di pochi nel popolo escluso dal benessere sociale

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Il titolo è il filo conduttore di questo ragionamento dopo la partecipata manifestazione del 16 marzo a Napoli e siccome non ci gongoliamo sul succceso di piazza volgiamo affrontare con chiarezza tutte i problemi che la battaglia contro la secessione degli egoisti potenttai del nord si trova davanti, non solo per continuare l’enorme lavoro fatto fino a Napoli ma per capire coome alzare i toni delle parole e dei fati concreti per fermare la disfatta che si prospetta per la convivenza civile. Parole forti queste? Si lo sono, per stare al passo della ciolenza governativa e dei loro soci nelle Regioni che hanno chiesto la secessione e degli altri che seguiranno in questo sciagurato disegno.

Il NO all’Autonomia Differenziata è la madre di tutte le lotte, per la democrazia sostanziale e le condizioni egualitarie di vita di tutte e tutti? Forse lo sappiamo in pochi su 60 milioni di cittadine e cittadini.
Così come in pochi ormai hanno memoria dell’art. 3 della Costituzione che stabilisce “…. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economicae sociale del Paese.”.

Questo è lo stato delle cose presenti nel quale alcune centinaie di persone come noi organizzati da 6 anni (dal 28 febbraio 2018, quando il governo Gentiloni, prima di dimettersi, ha sottoscritto con tre Regioni (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) nel Comitato contro ogni autonomia differenziata?

Un attacco alla Costituzione con il quale il popolo fuori dalla ricchezza nazionale che produce, perde la stessa dignità di cittadinanza, con il risultato della guerra tra poveri, del conflitto generazionale tra giovani e vecchi, tra lavoratori precari e lavoratori “garantiti”.
Non ci nascondiamo che siamo in pochi, politici, intellettuali, costituzionalisti, giuristi, sindacalisti e giornalisti, ad affermarlo, a chiedere la barbarie sostenuta dalle cupole governative che vorrebbero disintegrare l’Italia tramite 20 sistemi regionali completamente diversi su tutte le materie: sanità, contratti di lavoro, sicurezza sul lavoro, previdenza integrativa, ambiente, lavoro servizi pubblici, scuola, università, ricerca, professioni, infrastrutture, trasporti, energia, beni culturali, che governano – bene o male – regole, diritti e doveri della collettività e dell’identità nazionale.
Anche nei sindacati si produrrebbe una concorrenza perchè ogni ambito regionale penserebbe a se stesso

producendo la fine della contrattazione nazionale e la stessa autorevolezza.

E’ vero che molte volte nella storia del mondo le battaglie delle minoranze sono poi diventate battaglie di popolo per la trasformazione di società arretrate e hanno preso forma culture di governo atte a determinare la sconfitta dei dei peggiori tratti deipoteri dominanti all’opera per dimensionare a loro immagine somiglianza i rapporti sociali e politici tramite restrizioni violente delle libertà quando non riuscivano con gli atti legislativi come quelli in corso in Italia per ritornare alle forme divisive precedenti all’Unità d’Italia, seppur dentro un guscio, ormai svuotato, chiamato nazione.

La divisione in atto, per soddisfare gli animi secessionisti delle Giunte del nord ( non delle cittadine e dei cittadini tenuti all’oscuro) è stata programmata dagli ultimi quattro governi e coperta dalla maggior parte dell’esercito suddito dell’informazione stampata e televisiva, obeso di conflitti d’interesse e corruzione, e dalla quasi totalità degli zombi in un Parlamento a distanza siderale anche dalla cultura e dai principi costituzionale.

Quello che fa rabbia è il silenzio di intellettuali di peso politico, di storici, di giornalisti che si vantano di essere indipendenti, di artisti influencer in questa società dell’immagine, che potrebbero cambiare i rapporti di forza comunicativa nell’informare l’opinione pubblica, programmaticamente esclusa di fautori di quella che è una vera e propria secessione delle zone ricche, o meglio dire dei settori ricchi delle Regioni del nord in quanto le disuguaglianze e le disparità dicondizioni sociali aumenterebbero ancora per le già ampie fasce di povertà nelle periferie di quelle Regioni.

Ne sono drammaticamente consapevoli i milioni di cittadini ormai costretti a ricorrere all’onerosa sanità privata? Pare di no se constatiamo che la loro rabbia resta repressa e tarsformata in rancore verso tutti i politici, senza distinzioni. Paradossalmente lo stesso popolo sofferente regala al potere che lo opprime un disinteresse funzionale a lasciare le cose come sono, senza avere il minimo sentore che vivranno sempre peggio come cittadini del sud scartati dentro delle riserve di povertà dalle quali usciranno solo per poter, chi potrà farlo, elemosinare lavoro e salute fuori dai confini regionali, e come cittadini poveri del nord relegati nelle riserve di periferia, senza adeguati Servizi sociali e destinati a vivere di meno, e male, nei confronti delle zone ricche nelle grandi città, come nei paesi delle città metropolitane, come nei paesi di montagna.

Quindi l’Autonomia Differenziata porterebbe alla scomparsa dei principi di uguaglianza e solidarietà, politica, economica e sociale previsti dall’art.2 della Costituzione, determinante per l’unità del Paese – la Repubblica è “una e indivisibile, art. 5- anche se mai applicato compiutamente a causa dello sviluppo diseguale tra le Regioni del centro-nord e quelle del sud lasciate dalle politiche di tutti i governi a marcire intenzionalmente nell’inedia della disoccupazione e nel ricatto delle compiacenti mafie.

Quindi, la secessione andrà avanti e sempre in forma silenziosa dato che non compare nel dibattito pubblico in TV e sui giornali. Questo silenzio è la corsia preferenziale scelta per lasciare gli italiani ignari della catastrofe che stanno preparando e che peggiorerà ancor di più le loro condizioni di vita.
Niente più sarà uguale dall’Italia che abbiamo conosciuto, anche la politica sarà sempre più lontana dalla realtà quotidiana di chi è fuori dai palazzi, e gli italiani del sud vivranno sempre peggio come cittadini scartati dentro delle riserve dalle quali usciranno solo per poter, chi potrà farlo, elemosinare lavoro e salute fuori dai confini regionali.

Vogliamo dire senza giri di parole e furbizie politiciste che ci sono state delle assenze che hanno determinato questo vuoto di conoscenza delle conseguenze di una probabile approvazione del DdL Calderoli nello squallido rapporto pattizio con il Partito della Meloni?

Vogliamo dire con coraggio, scontando malumori e accuse di estremismo, che chi avrebbe dovuto mobilitarsi, onorando la lungimirante scelta del Comitato contro ogni autonomia differenziata e del Tavolo nazionale AD di tenere aperte le porte a tutti quelli, Partiti, sindacati e associazioni, che vogliono camminare, – pur con delle crepanti contraddizioni tra il il dire e il fare – nel solco costituzionale, non l’ha fatto pienamente mobilitando tutta la propria grande potenzialità organizzativa nazionale e terrioriale sui luoghi di lavoro, parlo della CGIL e della UIL.
Risulta del tutto assente la CISL ma non è una novità.

Non l’ha fatto per nulla come l’opposizione parlamentare – parlo del PD – con tutti i mezzi che i regolamenti mettono a disposizione, vedi l’ostruzionismo, a causa della propensione a non scalfire rapporti di compromesso istituzionalie con il governo e, ancor di più, per non mettere in discussione il fragile compromesso interno come le altre componenti, vedi Bonaccini con la sua richiesta di Autonomia Differenziata che non ha nulla di diverso nella sostanza dagli obbiettivi di Salvini.
Ma è così doloroso mettersi in connessione con la realtà e fare autocritica per i danni prodotti, almeno sul tema della secessione? Non vi si chiede altro!

A questi organismi dico che non bastano le dichiarazioni, gli striscioni nelle manifestazioni e i convegni, sono atti comunque importanti ma poco incisivi. Non è mai troppo tardi per fare molto di più!

Lo stato di mobilitazione sarebbe stato più adeguato, per attenzionare cittadine e cittadini sulle consegueze che comporterà l’autonomia differenziata sulle loro condizioni di vita, se in questi anni si fossero costituiti Comitati almeno in ogni capoluogo, invece oggi sono ancora pochi ma la strada è lunga e sarebbe fondamentale (anche nell’ipotesi di un referendum) che venissero costituiti ed entrassero in azione nelle piazze della proprria città, Va da sè che sono le forze politiche, sindacali e associative che nazionalmente aderiscono a rendersi operativi con i loro ambiti locali, è una strada obbligata se vogliamo tenntare di ridurre il gap tra la narrazione del governo e il nostro impegno.

Franco Cilenti

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