C’è urgente bisogno di notiziari sulle lotte sociali

Mentre i media monopolizzati si dedicano ad amplificare le voci del capitale, a estetizzare la miseria e a criminalizzare la protesta, milioni di lavoratori sono protagonisti di azioni invisibili su base giornaliera che non arrivano alle “prime pagine”. Ecco perché è urgente aumentare i notiziari degli insorti e costruire un’infrastruttura di comunicazione rivoluzionaria.

di Fernando Buen Abad

Un Nuovo Ordine Mondiale dell’Informazione e della Comunicazione (NOMIC) sarà impossibile senza moltiplicare e ampliare la conoscenza delle lotte sociali con i propri notiziari. Non c’è progresso se non si va verso una comunicazione insurrezionale, veritiera e proletaria a partire dalla trincea semiotica della verità organizzata. Viviamo in un’epoca in cui la storia si disputa non solo nelle strade, nelle fabbriche e nei campi, ma anche nei circuiti mediatici che fabbricano la realtà. La lotta di classe non si limita al campo economico o giuridico: si gioca, con intensità crescente, nel campo delle apparenze, nella guerra dei significati, nella manipolazione simbolica. Ed è lì che il silenzio imposto alle lotte sociali diventa una forma brutale – e molto efficace – di repressione.

Mentre i media monopolizzati si dedicano ad amplificare le voci del capitale, a estetizzare la miseria e a criminalizzare la protesta, milioni di lavoratori sono protagonisti di gesti invisibili che ogni giorno non arrivano alle “prime pagine”: scioperi, recuperi di fabbriche, blocchi popolari, resistenza contadina, mobilitazioni studentesche, assemblee di quartiere, difesa del territorio, reti di economia solidale, Media alternativi che nascono in condizioni avverse. Lotte che non solo denunciano le ingiustizie, ma costruiscono anche il futuro.

Dove sono i vostri telegiornali? Dove sono i loro cronisti, i loro microfoni, i loro archivi? Il silenzio è anche una strategia per demoralizzare il capitalismo insieme a menzogne e calunnie. L’invisibilizzazione della lotta sociale non è casuale, è strutturale. Fa parte dell’impalcatura ideologica della borghesia, che richiede corpi docili, memorie amputate e storie mutilate. L’assenza di telegiornali operai, contadini, popolari, femministi o giovanili non è una svista: è un crimine di censura strutturale. Ciò che non è nominato non esiste. Ciò che non viene registrato non viene ricordato. Ciò che non viene comunicato, non diventa coscienza storica.

Questo è il motivo per cui è urgente aumentare i notiziari degli insorti. È urgente costruire un’infrastruttura di comunicazione rivoluzionaria capace di cogliere il polso delle lotte sociali, di raccontarle con dignità e di trasformare ogni rapporto in un atto pedagogico, ogni cronaca in uno strumento di organizzazione, ogni immagine in un manifesto di umanità. La comunicazione non può continuare a dipendere dall’agenda di aziende private o governative. Non può essere soggetta agli interessi degli azionisti o ad algoritmi burocratici. La classe operaia deve costruire la propria rete mediatica, dal proprio punto di vista, con i propri metodi, tecnologie, linguaggi e obiettivi.

Ciò implica rivoluzionare sia la forma che il contenuto-racconto. Non basta parlare “del” popolo. Dobbiamo parlare a partire dalle persone in lotta e con le persone in lotta. Ovvero: fare comunicazione in classe. Contenuti che non solo informano, ma rafforzano anche l’organizzazione e i suoi programmi di trasformazione sociale, che non solo rendono visibili, ma che articolano, che non solo documentano, ma mobilitano. La comunicazione come motore della coscienza organizzata.

Un telegiornale di lotte sociali non è un bollettino di buone intenzioni o una raccolta di aneddoti di solidarietà. È un fronte di battaglia simbolico, una trincea etica e politica, un laboratorio di verità collettiva. È anche un atto di giustizia: rendere visibile ciò che il potere nasconde, dare un nome a ciò che è stato negato, registrare la storia che altri vogliono cancellare. È urgente una semiotica della resistenza

Con i telegiornali delle lotte sociali, dobbiamo promuovere una pedagogia critica del linguaggio e dell’immagine. Non si tratta solo di “mostrare” la lotta, ma di creare significati che la valorizzino. Abbiamo bisogno di una semiotica combattiva, che smantelli le trappole del discorso dominante, che smascheri le narrazioni dello sfruttamento, che interpreti i segni dell’insurrezione quotidiana. Una semiotica della totalità combattente. Dobbiamo formare comunicatori popolari, nati dalle lotte sociali stesse, che non solo sappiano azionare una telecamera o scrivere una nota, ma che comprendano il potere del significante, che gestiscano ogni parola e ogni inquadratura con precisione ideologica. Che costruiscano non uno specchio ma una leva per l’emancipazione. Che la comunicazione non sia un supplemento alla lotta è una parte essenziale della sua architettura. E come tutta la produzione, richiede mezzi, modi e relazioni. È tempo di rivoluzionare le politiche semantiche della comunicazione popolare, del finanziamento collettivo e sovrano, delle tecnologie libere e della formazione militante. La comunicazione rivoluzionaria non può continuare ad essere una militanza eroica sostenuta dal sacrificio. Deve diventare un progetto strategico del movimento popolare.

Non si tratta solo di avere “media alternativi”. Si tratta di trasformare le mediazioni. Cambia la logica. Fare di ogni lotta un centro di produzione simbolica. Da ogni battaglia un significato. Da ogni lotta una scuola di narrazione storica. Oggi più che mai è urgente promuovere i notiziari delle lotte sociali perché è una necessità rivoluzionaria. Perché la verità organizzata è una forza materiale. Perché le persone che non comunicano la loro storia sono condannate a essere raccontate dai loro nemici. E perché la classe operaia ha il diritto di dire la sua parola, alle sue condizioni, in tutti i formati, ogni giorno, in qualsiasi momento.

È fondamentale notare che anche i lavoratori della comunicazione sono classe operaia. Giornalisti, cameraman, fonici, montatori, designer, reporter di comunità, divulgatori popolari, emittenti radiofoniche e documentaristi: tutti affrontano precarietà, censure, licenziamenti, persecuzioni, violenze e sfruttamento del lavoro. Le loro lotte fanno parte della grande lotta del popolo. E le loro agende devono essere urgentemente incorporate in qualsiasi progetto di comunicazione emancipatoria.

È urgente una critica strutturale del protagonismo narcisistico dei media o del comunicatore, riaffermando che l’unico protagonista legittimo è la lotta stessa, la sua agenda, la sua verità e la sua voce. Dal Chiapas alla Patagonia, dai quartieri popolari alle officine grafiche, milioni di lavoratori stanno conducendo lotte invisibili, sistematicamente esclusi dai media dominanti. Lotte per la terra, il pane, la dignità, l’aria, la memoria e il futuro.

Lasciamo che sia la lotta a parlare, non lo spettacolo dell’intermediario. Non sostituite la parola popolare con discorsi filtrati, modificati, interpretati dall’esterno. Non sostituite le lotte sociali con il logos o l’istrionismo degli intermediari, né il contenuto, né la forma, né la voce collettiva con il “volto professionale” del “comunicatore”. Non la logica o l’estetica dell’intermediario diventato protagonista addestrato a eclissare la lotta subordinata allo spettacolo.

Che la lotta non è un “tema”, ma un soggetto. Che la notizia non sia una vetrina di buoni propositi, ma uno strumento di organizzazione e consapevolezza. Lascia che il microfono non sia il simbolo del singolo emettitore, ma un assemblaggio portatile della storia popolare. Che le agende sono costruite e prioritarie da coloro che combattono e non da coloro che le “coprono”. Un telegiornale di lotte sociali non è un allegato della cultura alternativa, né un programma di nicchia per un pubblico militante. È uno strumento strategico di intervento popolare. Una fabbrica di significati contro-egemonici. Uno strumento per costruire energia dal basso. E che la comunicazione sia messa, una volta per tutte, al servizio della rivoluzione.

26/6/2025 www.telesurtv.net

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