In Italia chi nasce povero resta povero: uno studio
In Italia, chi nasce povero ha pochissime possibilità di riscattarsi. Lo confermano sia i dati Istat, sia uno studio internazionale dell’Università di Oxford pubblicato su Research in Social Stratification and Mobility, che colloca il nostro Paese tra quelli europei con la maggiore persistenza intergenerazionale della povertà.
Lo studio mostra che in Italia la trasmissione della povertà da una generazione all’altra è particolarmente forte: chi cresce in una famiglia povera ha molte più probabilità di restare povero da adulto, ben più che in Francia o Germania e addirittura più che in alcuni Paesi dell’Est Europa, come Polonia o Slovenia.
Secondo l’analisi dei dati condotta da Lorenzo Ruffino, basata sullo stesso studio di Oxford, chi nasce povero in Italia ha circa il 15% di probabilità in più di restare povero da adulto rispetto a chi nasce in una famiglia agiata. Questo rende l’Italia uno dei Paesi con la minore mobilità sociale in Europa. L’effetto della povertà familiare è più di otto volte più forte che in Francia e più del doppio rispetto alla Germania.
Nei Paesi scandinavi, invece, l’impatto delle origini familiari è pressoché nullo: chi nasce svantaggiato può migliorare le proprie condizioni grazie all’istruzione di qualità e a un welfare robusto. In Danimarca e Svezia può perfino accadere che chi parte da condizioni difficili superi, grazie a scuola e lavoro, chi nasce benestante.
In Italia questo meccanismo si è inceppato da tempo: la povertà non solo è diffusa, ma tende a trasmettersi senza interruzioni da una generazione all’altra. Non basta crescere per liberarsene.
Lo studio individua due fattori centrali che spiegano circa due terzi di questa trasmissione ereditaria della povertà: il livello di istruzione raggiunto e la posizione occupazionale. In Italia, chi nasce in una famiglia svantaggiata tende a raggiungere un livello di istruzione più basso e incontra più ostacoli nell’accesso a un lavoro qualificato.

I dati Istat lo dimostrano chiaramente: tra i giovani di 25-34 anni, ha un titolo universitario il 67% di chi ha almeno un genitore laureato, il 40% di chi ha genitori diplomati e appena il 13% tra chi proviene da famiglie con al massimo la terza media. L’abbandono scolastico segue lo stesso schema: solo il 2% nei figli dei laureati, contro il 24% tra i figli di genitori con bassa scolarizzazione.
L’istruzione resta dunque un canale privilegiato per uscire dalla povertà, ma da sola non basta. Anche tra chi riesce a studiare, il peso delle origini familiari continua a condizionare il futuro occupazionale e reddituale. Il rischio è che l’ascensore sociale funzioni soltanto per chi già parte dal piano rialzato. La povertà in Italia, infatti, non è solo economica: è anche culturale, sociale e simbolica.
Pesa la mancanza di reti di contatti, di fiducia nelle proprie possibilità, di accesso a servizi educativi e informativi di qualità. Chi nasce povero ha meno strumenti, vive un orizzonte più basso e viene giudicato più per il suo punto di partenza che per le sue capacità effettive.
Secondo lo studio di Oxford, l’Italia è un Paese “high static”: la povertà era elevata nella generazione precedente e continua a esserlo oggi. Non è tanto la mancanza di crescita economica a spiegare questa situazione, quanto l’assenza di politiche redistributive efficaci. Non è la spesa pubblica in sé a fare la differenza, ma il modo in cui viene impiegata. I sussidi generici, gli incentivi regressivi e la retorica del “chi ce la fa è bravo” hanno fallito nel rompere questo ciclo.
Nonostante questi dati siano noti da anni, i governi italiani – di qualsiasi orientamento politico – continuano a ignorare il problema. Nei documenti ufficiali e nelle leggi di bilancio, la povertà viene trattata come un accidente individuale e non come un problema strutturale che richiede interventi di lungo periodo. Il risultato è che in Italia il destino di un bambino si scrive troppo presto.
Chi nasce povero ha molte più probabilità di restarlo rispetto a un coetaneo tedesco o francese. Non perché valga meno, ma perché cresce in un Paese che gli chiede di scalare una montagna a mani nude, mentre altrove i coetanei hanno l’imbracatura. È una questione politica, non di destino.

11/7/2025 https://diogenenotizie.com/










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