Due anni fa l’assassinio della giornalista Shireen Abu Akleh. RSF: “Aspettiamo ancora giustizia”

Due anni fa, l’11 maggio 2022, veniva assassinata la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh. Si trovava nel campo profughi palestinese di Jenin per raccontare uno dei tanti raid dell’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata. È stata uccisa da un proiettile che l’ha colpita alla testa nonostante la scritta PRESS fosse chiaramente visibile su casco e giubbotto di sicurezza.

Tra le altre, un’indagine dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha concluso senza dubbio che il colpo è stato sparato da un soldato israeliano. Le immagini dell’esercito che carica e colpisce i palestinesi che portano sulle spalle la bara di Shireen, durante il suo funerale, hanno fatto il giro del mondo, suscitando sdegno e disapprovazione.

Dopo aver tentato di incolpare i palestinesi per l’accaduto, Israele ha definito la sua morte un “incidente” e si è rifiutato di aprire un’indagine penale.

Palestinese con doppia cittadinanza statunitense, Shireen Abu Akleh era una giornalista molto conosciuta, di grande esperienza ed estremamente apprezzata. In Cisgiordania sono decine i murales che la ritraggono e i luoghi dedicati alla sua memoria, presenti anche in molti altri Paesi del mondo. È diventata un simbolo di coraggio e di libertà non solo per i giornalisti ma per tante persone che hanno conosciuto la sua storia e ne hanno apprezzato il lavoro. Nel campo profughi di Jenin, nel punto in cui è stata uccisa si ergeva un memoriale che l’esercito israeliano ha distrutto in un raid nello scorso mese di ottobre, insieme alle strade del campo profughi e alla rete idrica.

Il memoriale di Shireen Abu Akleh sul luogo in cui è stata uccisa, nel campo profughi di Jenin, distrutto dall’esercito israeliano (Foto Eliana Riva)

Dopo la sua morte gli Stati Uniti hanno chiesto a Israele un’inchiesta sull’accaduto. Proprio come decine di volte è accaduto in questi setti mesi di guerra a Gaza. Quando Tel Aviv ha dichiarato che si è trattato di un “incidente” e che non avrebbe indagato oltre, Washington si è detto soddisfatto e ha chiuso la questione senza domandare un’inchiesta indipendente: per gli Stati Uniti Israele ha istituzioni che gli permettono di indagare su se stesso. Seguendo questa convinzione l’amministrazione Biden si è detta contraria anche al coinvolgimento della Corte Penale Internazionale.

In realtà varie associazioni per i diritti umani, anche israeliane hanno ormai da tempo testimoniato con dati e relazioni precise che molto raramente Israele persegue i propri soldati.

“Sono passati due anni da quando l’esercito israeliano ha ucciso una dei giornalisti palestinesi più emblematici della regione” ha scritto venerdì 10 maggio Reporter senza frontiere. “Due anni dopo l’omicidio di Shireen Abu Akleh in Cisgiordania e un anno dopo le scuse ufficiali di Israele che ha riconosciuto la sua responsabilità, si aspetta ancora che venga fatta giustiziaReporter senza frontiere (RSF) condanna questa impunità e invita la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, a fare pressione sull’esercito israeliano per rispondere dell’uccisione di Abu Akleh”.

Foto: Reporter senza frontiere

Più di 100 giornalisti sono stati uccisi nella Striscia di Gaza in sette mesi di guerra. Un numero altissimo, che rende il conflitto in corso il più letale della storia per i reporter. Fino a questo momento, tuttavia, Israele gode della stessa impunità di cui si è avvalso per l’omicidio di Shireen. Il governo Netanyahu ha inoltre attaccato il network Al Jazeerachiudendo le sue trasmissioni, gli uffici, sequestrando computer, apparecchiature e oscurandone i siti web.

Protezione è la risposta enfatica dei giornalisti di Gaza quando gli viene chiesto da RSF di cosa hanno più bisogno oggi. Hanno vissuto in costante terrore dal 7 ottobre, contando la morte di persone care e colleghi. Secondo il conteggio di RSF, almeno 105 sono stati finora uccisi da attacchi aerei israeliani, razzi e spari, di cui almeno 22 nel corso del loro lavoro.

Nonostante le ripetute richieste da parte delle ONG, tra cui RSF, per l’apertura del valico di frontiera di Rafah, solo i giornalisti incorporati nelle forze di difesa israeliane sono stati in grado di entrare a Gaza e sono limitati a coprire le aree consentite dall’esercito. Nel frattempo, Israele ha permesso solo a una manciata di giornalisti di Gaza di essere evacuati“.

Eliana Riva

11/5/2024 https://pagineesteri.it/

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