Economia di guerra. Le sanzioni gravano sui lavoratori

Parte XV.

di Andrea Vento,  31 gennaio 2025, Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

L’impatto della fiammata inflazionistica e del rialzo dei tassi sul livello salariale, già strutturalmente penalizzato da un trentennio di politiche contrattuali regressive 

A completamento del nostro lavoro di ricerca sugli effetti della speculazione finanziaria sulle quotazioni del gas, delle sanzioni comminate alla Russia e del piano REPowerEU, con le relative conseguenze in termini di frattura geoeconomica interna all’Europa, fiammata inflazionistica,  rialzo dei tassi da parte della Bce e crisi industriale e sociale che hanno interessato il nostro paese a partire dal 2022 [1], ci proponiamo di indagare l’impatto di tali dinamiche sul potere di acquisto dei salari reali.

La ripresa dell’inflazione già dalla tarda primavera del 2021 e l’impennata del 2022 hanno inevitabilmente determinato un’erosione del potere di acquisto delle pensioni e dei redditi da lavoro che ha ulteriormente ampliato le disuguaglianze reddituali in tutta l’Ue e in particolar modo in Italia dove l’inflazione tendenziale su base mensile è risultata più alta rispetto alla media dell’Eurozona (grafico 1) con i salari reali che sono diminuiti in maniera più sensibile rispetto agli altri paesi. La marcata diminuzione del potere di acquisto dei salari nel nostro paese in atto dagli anni ’90 è, tuttavia, riconducibile, oltre che al riacutizzarsi del fenomeno inflattivo, nell’ultimo periodo, soprattutto alla trentennale lenta dinamica della crescita delle retribuzioni nominali per unità oraria di lavoro. 

Grafico 1: tassi di variazione tendenziali mensili dell’indice IPCA , confronto Eurozona – Italia periodo inizio 2019 – novembre 2022

Altro fondamentale fattore che in Italia ha inciso sulla riduzione dei salari reali è legato alle fragilità strutturali del nostro mercato del lavoro, caratterizzato, come sottolineano gli economisti Valeria Cirillo e Domenico Evangelista [2], su Sbilanciamoci “Da una elevata percentuale di posti di lavoro non standard, a breve termine, e da livelli salariali medi reali già molto bassi prima della recente ondata inflazionistica e in significativa flessione da oltre quindici anni”. Come ci confermano i dati diramati dall’Ocse in base ai quali fra il 1990 e 2020 siamo risultati l’unico stato nell’Ue ad accusare una diminuzione dei salari reali, pari a ben -2,9%, mentre in Germania e in Francia crescevano rispettivamente del 33,7% e del 31,1%. Meglio di noi anche la Grecia con +30,5%, nonostante “la cura” della cosiddetta Troika (Bce, Commissione Europea e Fmi) di inizio anni 2010 (grafico 2). 

Grafico 2: incremento percentuale dei salari reali nei paesi Ue nel trentennio 1990-2020 (Ocse [3])

L’effimera ripresa del potere d’acquisto dei salari italiani del 2021, evidenziato dal ritorno in campo positivo nella media mobile trentennale 1991-2021 (+0,3%), tuttavia al cospetto di una media Ocse del 32,5% [4], risulta frutto esclusivo del corposo rimbalzo economico post-pandemico dell’anno in questione (+6,4%) e dalla bassa inflazione, più che da cambiamenti strutturali nella politica salariale. 

Dall’anno successivo, infatti, sotto la spinta inflazionistica il trend trentennale riprende la sua consolidata traiettoria ribassista (grafico 3), come evidenziato dagli economisti Valeria Cirillo e Domenico Evangelista in una recente pubblicazione a cura di Mario Pianta [5]: “I salari reali negoziati hanno reagito molto lentamente, e solo in misura limitata, all’ondata inflazionistica. Sebbene in linea di principio la contrattazione collettiva dovrebbe contribuire a mitigare le perdite del potere d’acquisto dei salari e a garantire una distribuzione più equilibrata del costo dell’inflazione tra imprese e lavoratori. Nel 2022 invece l’onere maggiore è stato scaricato sul lavoro dipendente”.

Grafico 3: andamento dei salari medi reali in Italia (linea verde) Germania (nera), Francia (blu) e media paesi Ocse (marrone tratteggiata) fra il 2000 e il 2022. (Valori anno 2000 posti a base 100)

Dall’analisi della dinamica su base triennale emerge infatti che fra il 2020 e il 2022 i redditi da lavoro dipendente in Italia hanno subito un ulteriore pesante contraccolpo, appurato che alla fine del 2022 i salari reali, nonostante un incremento dell’8% di quelli nominali, risultavano in contrazione del 7,5% rispetto al livello pre pandemico di fine 2019, piazzandoci in coda alla graduatoria dei paesi Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) davanti solamente a Rep. Ceca (-8,3%), Estonia (-9,6%) e Costa Rica (-10,8%). Ciò mentre la media generale dei paesi dell’Ocse, a fronte di un aumento di quelli nominali del 14,3%, accusava una contrazione media dei salari reali del solo 2,2%, nel cui contesto le principali economie registravano situazioni migliori delle nostre: gli Usa in calo del 2,3% e Germania del 3,2%, mentre la Francia (+1,5%) e Regno Unito (+2%) risultavano invece fra i dieci che hanno evidenziato salari reali in crescita (grafico 4) [6].

Grafico 4: tasso di variazione dei salari nominali e reali fra il 4° trimestre 2019 e il 4° del 2022 [7]

Inapp: salari reali in marcata flessione fra il 2019 e aprile 2024

Dal rapporto Inapp pubblicato a metà gennaio 2025 intitolato “L’impatto delle scelte su lavoro e formazione” [8] emerge che ad aprile 2024 la perdita di potere di acquisto dei salari rispetto al 2019 ammontava al -6,9% a causa dell’impennata inflazionistica del biennio precedente. 

Dinamica salariale regressiva confermata anche dalle indagini Ocse che evidenziano una riduzione dei salari reali (salari nominali al netto dell’inflazione) sempre del -6,9%  fra il quarto trimestre 2019 e il primo del 2024, rimarcando un ulteriore aumento rispetto alla media dei paesi sviluppati membri della suddetta organizzazione, a causa della bassa crescita della produttività. 

Secondo l’Inapp influisce negativamente sulle dinamiche salariali proprio la stagnazione della produttività in diversi settori dei servizi, principalmente a causa del tasso decrescente degli investimenti nei comparti dei servizi privati ad alta intensità di occupazione, principalmente riconducibili al terziario tradizionale. 

Gli ultimi dati pubblicati dall’Istat indicano, che nel contesto di una crescita media annua modesta del +0,5% nel decennio 2014-2023, la produttività del lavoro è invece diminuita di ben -2,5% nell’anno 2023 per effetto di un aumento delle ore lavorate maggiore rispetto al valore aggiunto prodotto che ha determinato una riduzione diffusa in tutti i settori economici, industria compresa.

La fase declinante dell’industria nazionale non riguarda solamente la contrazione della produzione, ormai al 22esimo mese consecutivo su base tendenziale, ma interessa anche la produttività del capitale che nel 2023 è diminuita del -0,9% a causa dei bassi investimenti in innovazione. Conseguentemente si è ridotta di ben il 2,5% anche la produttività totale dei fattori (Pft) produttivi 

L’Inapp, nello stesso rapporto, precisa inoltre che “La dinamica dei salari nominali è stata inferiore a quella dei prezzi per la quasi totalità delle attività economiche, ma molto differenziata negli andamenti settoriali. Trai settori meno sofferenti troviamo le attività bancarie e assicurative e la manifattura. Risultano allineati alla media le costruzioni e i trasporti. Quelli in maggiore sofferenza sono il commercio, gli alberghi e ristoranti e l’informazione-comunicazione”. Mettendo in luce come i settori del terziario tradizionale continuino ad essere quelli più penalizzati nella dinamica salariale, oltre che quelli maggiormente afflitti da forme contrattuali non standard. Mentre quelli del terziario avanzato, in virtù anche della maggior remuneratività del loro lavoro a beneficio delle aziende, sono risultati quelli ad aver subito una minore erosione del potere d’acquisto. L’inapp conclude individuando le principali cause nei “meccanismi previsti dai contratti collettivi per il recupero dell’inflazione e i ritardi dei rinnovi contrattuali”.

Conclusioni

Risulta quindi evidente che stiamo attraversando un intero trentennio perduto per le condizioni di vita delle classi lavoratrici del nostro paese sul quale, fra le varie, gravano in origine gli effetti degli Accordi del 31 luglio 1992 fra sindacati confederali, Governo Amato e Confindustria che introdussero la moderazione salariale e l’abolizione della Scala Mobile. I quali, insieme al Protocollo fra parti sociali e governo Ciampi del 23 luglio 1993 che ha introdotto la concertazione salariale e la politica dei redditi, hanno segnato profondamente la storia e l’evoluzione delle relazioni industriali e delle politiche del lavoro nei trent’ anni successivi, in senso regressivo e penalizzante per i livelli salariali.

Note:

  1. Saggio:  “Economia di guerra parte X – Cronaca di un disastro annunciato”. Le ripercussioni delle sanzioni alla Russia e del piano REPowerEU sulla dinamica economica, commerciale e sociale dell’Italia nel 2022
  2. https://sbilanciamoci.info/la-caduta-del-potere-dacquisto-dei-salari-in-italia/
  3. https://www.openpolis.it/numeri/litalia-e-lunico-paese-europeo-in-cui-i-salari-sono-diminuiti-rispetto-al-1990/
  4. https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/08/30/stipendi-nel-2021-inversione-di-tendenza-ma-in-30-anni-sono-saliti-solo-dello-03-litalia-resta-ultima/6769153/
  5. “L’inflazione in Italia. Cause, conseguenze, politiche” a cura di Mario Pianta, Carozzi editore – ottobre 2023
  6. https://www.oecd-ilibrary.org/sites/18976028-it/index.html?itemId=/content/component/18976028-it#:~:text=Alla%20fine%20del%202022%2C%20i,e%20al%203%25%20nel%202024.
  7. https://www.itinerariprevidenziali.it/site/home/ilpunto/lavoro/salari-reali-inflazione-e-produttivita-il-caso-italia.html
  8. https://www.inapp.gov.it/wp-content/uploads/2025/01/INAPP-INFOGRAFICHE-RAPPORTO-2024_versione-stampabile.pdf https://www.ilsole24ore.com/art/per-l-impatto-dell-inflazione-perso-79percento-potere-d-acquisto-rispetto-fase-pre-covid-AGjgtIIC https://www.7grammilavoro.com/presentato-il-rapporto-inapp-sul-mercato-del-lavoro/#:~:text=Il%20calo%20dell’inflazione%20in,elevata%20(%2D7%2C9%25).

4/2/2025 https://www.marx21.it/

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